Brevi note in tema di contratti di collaborazione
coordinate e continuative nella P.A.
di Angela Di Giovanni
Funzionario
presso l’Autorità per la Vigilanza sui lavori pubblici
Sommario:
1) Premessa; 2) Quadro normativo di riferimento; 3) Gli interventi della
giurisprudenza: in particolare la delibera delle Sezioni Riunite della Corte
dei conti n. 6-Contr./2005; 4) Segue: la sentenza n. 447-EL/2005
della Sezione Giurisdizionale della Corte dei conti dell’Umbria; 5)
Considerazioni finali.
1) – Premessa.
Alla recente espansione che hanno
avuto le “Forme contrattuali flessibili di assunzione e di impiego del personale”
nella P.A. (ex art. 36 del D.L.vo n.
165/2001), e segnatamente le collaborazioni coordinate e continuative
(c.d. “co.co.co”), è corrisposto lo sforzo della dottrina e della
giurisprudenza di coordinare ed armonizzare tali nuove “forme di assunzioni”
con i principi classici e con le regole tradizionali dell’attività lavorativa
in ambito pubblico .
Sul versante legislativo, invece, l’impegno maggiore
è stato quello di stemperare, proprio mediante il ricorso alle “forme
flessibili di assunzioni”, il divieto di assunzioni
nella P.A., che da anni ormai caratterizza la “politica occupazionale” del
Paese, evitando tuttavia gli “abusi”, ossia il ricorso frequente ed eccessivo
alle predette “forme flessibili di assunzioni”, rispetto al reale fabbisogno.
Il quadro che è andato
via via delineandosi è alquanto variegato e composito,
mentre il concreto assetto operativo che si è raggiunto risente delle non sempre
conciliabili finalità perseguite dalle varie norme che sono intervenute in
materia, rivolte -da un lato- al contenimento dei costi dell’azione della P.A.,
con particolare attenzione al costo del personale, e -dall’altro- alla elevazione
degli standards dell’azione stessa, per risultati da conseguire e per interessi
da soddisfare .
Trattasi, invero, di norme che, sul piano
dommatico-scentifico, creano non pochi problemi di riconduzione “a sistema” e,
sul piano del concreto agire pubblico, creano – a mò di forze tra loro in
tensione– punti di equilibrio alquanto precari e
sfuggenti, occasionando la soddisfazione prevalente ora dell’una ora dell’altra
delle cennate esigenze, secondo una condotta ad andamento piuttosto oscillante
.
Peraltro, la “seconda privatizzazione della P.A.”, quella attuata, cioè, con il D.L.vo n. 165/2001, che consente –tra l’altro– di
ricorrere alle cennate “forme flessibili di assunzione”[1], ha
fatalmente posto in crisi il dogma della tendenziale “autosufficienza”
dell’Amministrazione, su cui si basava il sistema giuslaburista pubblico
tradizionale, che imponeva di cercare all’interno della stessa P.A. qualsiasi
professionalità occorrente per risolvere i problemi connessi all’espletamento
della sua attività, finanche le più elevate, salvo –quale unica eccezione– il
ricorso alla collaborazione di “terzi” (estranei alla PA) mediante il
conferimento di un apposito, quanto costoso, “incarico”[2].
In realtà, al presente, il sempre più frequente
ricorso ad “estranei” alla P.A., per l’espletamento
dell’azione propria della P.A. stessa , ha posto il problema -da risolvere con
una certa urgenza, anche per intuitive esigenze di garanzia degli operatori- di
distinguere quando ci si trova in presenza di un “incarico” (nell’accezione
classica del termine, di cui all’art. 380 del DPR n. 3/1957) e quando, invece,
ci si trova in presenza di un contratto di collaborazione coordinata e
continuativa : entrambi i rapporti di lavoro sottostanti a tali “forme
flessibili di assunzione”, invero, rivestono la duplice caratteristica di
riguardare personale estraneo alla P.A. e di basarsi su un prevalente contenuto
di “lavoro autonomo”.
E’ appena il caso di evidenziare che il problema in
questione, oltre a rivestire un certo interesse dommatico-scentifico, presenta
pure un considerevole rilievo economico-patrimoniale, che assume un particolare
significato anche sul piano della responsabilità innanzi alla Corte dei conti, visto che il costo di un incarico (in senso stretto) è alquanto
più elevato di quello di una co.co.co. e non è, perciò, patrimonialmente
indifferente ricorrere all’uno o all’altra, in base all’esigenza lavorativa
concreta da soddisfare .
2) – Quadro normativo di riferimento.
Di non agevole identificazione, in concreto, i due
istituti (incarico e co.co.co.) hanno trovato, sul piano normativo, un –quanto
mai ambiguo– punto di contatto nelle disposizioni dell’art.
110, comma 6 del D.L.vo n. 267/2000 (“Testo Unico delle leggi sull’ordinamento dgli enti
locali”) e nell’art. 7, comma 6, del precitato D.L.vo
n. 165/2001 (“Norme Generali sull’ordinamento
del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”) [3].
Il primo dei citati articoli, espressamente
intitolato agli “Incarichi a contratto”, al comma 6 stabilisce che : “per obiettivi determinati e con convenzioni a termine,
il regolamento (dell’ente locale di volta in volta interessato) può provvedere
collaborazioni esterne ad alto contenuto di professionalità”.
E’ evidente che il termine “Incarico”, che
compare nell’intestazione del riferito articolo, non è propriamente in linea
con il termine “collaborazione” che compare nel sesto comma
dell’articolo stesso.
Analogamente, l’art. 7, comma 6,
del D.L.vo n.
165/2001, nel prevedere che “le amministrazioni pubbliche possono conferire
incarichi individuali ad esperti di provata competenza, per (le)esigenze cui
non possono far fronte con personale in servizio”, pone qualche problema nel
comprendere appieno se esso si riferisce a “incarichi” in senso stretto,
come lascerebbe pensare la sua prima parte, o non piuttosto a co.co.co., come lascerebbe pensare il termine “collaborazione”,
con cui si chiude il testo dell’articolo stesso.
Peraltro, a rendere ancora più incerti e sfuocati i
contorni delle due figure in comparazioni, sono intervenute le disposizioni
dell’art. 1, commi 9 e 11 del D.L. n. 168/2004, convertito
in L. n. 191/2004, che –per evidenti fini di contenimento – hanno posto un
limite alla spesa per gli incarichi ed hanno individuato tre categorie di incarichi : “di studio, di ricerca, ovvero di consulenza”,
prescrivendo una adeguata motivazione, quanto al loro conferimento, e la
possibilità di ricorrervi “solo nei casi previsti dalla legge o nell’ipotesi di
eventi straordinari”, con l’obbligo di comunicare agli organi di controllo gli
atti di conferimento degli incarichi stessi.
Ebbene, le
norme dei precitati commi 9 e 11 hanno cessato la loro vigenza alla data del
31/12/2004, ma le relative disposizioni sono state trasfuse (con qualche
marginale modifica) nei commi 11 e 42 dell’art. 1 della legge finanziaria per
il 2005 (L. n. 311/2004), la quale però - ed è questo il punto di rilievo- ha
anche considerato a parte le co.co.co., nel comma 116
del medesimo art. 1, stabilendo che, “per l’anno 2005, le amministrazioni …..
possono avvalersi di personale a tempo determinato …… o con convenzioni, ovvero
–appunto – con contratti di collaborazione coordinata e continuativa, nei
limiti della spesa media annua sostenuta per le stesse finalità nel triennio
1999-2001”.
Peraltro, le disposizioni del comma 116 appena citato,
sono identicamente rinvenibili (anche qui con qualche
marginale differenza) sia nella legge finanziaria per il 2003 (L. n. 289/2002), ex art. 34, comma 13, e sia nella legge finanziaria per
il 2004 (L. n. 350/2003), ex art.3, comma 65.
Ciò ha consentito alla dottrina di dare giustamente
soluzione positiva al problema della sopravvivenza, in
ambito pubblico, delle co.co.co. generiche, di cui all’art. 409, n. 3 cpc, pur
dopo l’entrata in vigore delle disposizioni dell’art. 61 del D.L.vo n. 276/2003 (c.d. “Riforma Biagi”), che hanno trasformato tutte le
co.co.co. in “lavoro a progetto”.
Conseguentemente, in base alle disposizioni delle
leggi finanziarie sopra richiamate, è senz’altro da ammettere che nella P.A. hanno continuato a trovare spazio operativo le co.co.co.
generiche[4].
D’altra parte, l’art. 6 della
legge di delega per l’adozione del ripetuto D.L.vo n. 276/2003 (L. n. 30/2003) e lo stesso art. 1, comma 2, del medesimo D.L.vo n.
267/2003 hanno chiaramente escluso l’ applicabilità delle
relative disposizioni alla P.A. [5].
Vedremo, nel paragrafo seguente, come la congiunta
previsione nella legge finanziaria del 2005 sia degli incarichi che delle
co.co.co. abbia comportato l’esigenza di un intervento
chiarificatore della Corte dei Conti, in ordine alla natura di fondo delle due
figure ed in ordine alla individuazione dei criteri di rispettiva identificazione;
e ciò anche al fine pratico di consentire agli operatori di meglio osservare i
limiti di spesa stabiliti per l’una e per l’altra figura e le particolari procedure
di conferimento e di controllo, riferite esclusivamente agli incarichi (ex art.
11 e 42 della L. n. 311/2004).
Il quadro normativo sopra delineato,
peraltro, si è venuto recentemente ad arricchire delle disposizioni dell’art.
13 del D.L. 10/1/2006, n. 4, le quali, al dichiarato “fine di ridurre il
numero delle collaborazioni coordinate e continuative nella pubbliche
amministrazioni”, hanno “sostituito” il comma 6 dell’art. 7 del D.L.
vo n. 165/2001, prevedendo che “le
amministrazioni possono conferire incarichi individuali , con contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o
coordinata e continuativa, ad esperti di provata competenza”, purché
sussistano i seguenti presupposti, attinenti: .
a) all’oggetto della prestazione
, che “deve corrispondere alle competenze (proprie dell’) amministrazione
conferente e (deve) altresì corrispondere ad obiettivi e progetti
specifici e determinati”;
b) alla carenza di personale interno, nel senso che “l’amministrazione
deve avere preliminarmente accertato l’impossibilità oggettiva di utilizzare
risorse umane disponibili al suo interno” ;
c) alle caratteristiche
proprie della “esigenza” da soddisfare, nel senso che essa “deve
essere di natura temporanea e (deve) richiedere prestazioni altamente qualificate.
E’ evidente che una
simile innovazione, che -tra l’altro- espressamente indica le nuove
disposizioni del comma 6 dell’art. 7 del D.L.vo n. 165/2001 come “norme di principio per
l’attribuzione degli incarichi di cui all’art. 110, comma 6, del D.L.vo n. 267/2000” (v. il comma 6-ter
dell’art. 13 del D.L. n. 4/2006), non dovrebbe lasciare più alcuna
ombra di dubbio sul fatto che gli “incarichi individuali” vengono conferiti
con appositi “contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata
e continuativa”, solo in presenza degli specifici ”presupposti”
sopra elencati.
Per tal via, quindi, gli incarichi verrebbero ad
identificarsi con le co.co.co., ed avrebbero entrambi
un carattere assolutamente eccezionale, non potendo “le pubbliche amministrazioni
ricorrere al contratto di collaborazione coordinata per una integrazione ordinaria
dell’organico”, come evidenziato da una parte della dottrina [6].
Da
segnalare che una siffatta conclusione è perfettamente in linea con le
indicazioni fornite dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri- dipartimento
della Funzione Pubblica con la circolare n. 4 del 15 luglio 2004, diramata
–com’è evidente– già prima dell’entrata in vigore dell’art. 13 del D.L. n. 4/2006 ed attinente specificamente alle
“co.co.co.” nella P.A ed ai “presupposti e limiti (per) la stipula
dei (relativi) contratti”.
Sennonché, la legge
finanziaria per il 2006 (L. n. 266/2005) ha continuato a prevedere norme che,
come quelle delle precedenti leggi finanziarie 2003-2005, consentono –ancora
nel 2006 – alle “amministrazioni (di) avvalersi di personale a
tempo determinato, o con convenzioni ovvero con contratti di collaborazione coordinata
e continuativa”, fissando appositi limiti di spesa
al riguardo (v. art. 1, comma 187, della L. n. 266/2005).
3) Gli interventi della giurisprudenza: in
particolare la delibera delle Sezioni Riunite della Corte dei conti n.
6-Contr./2005 .
Tralasciando i profili che attengono all’abuso
delle “forme flessibili di assunzione del personale”
da parte della P.A. nei confronti dei lavoratori, per i quali emergono gli
interventi del Giudice del Lavoro, in rapporto alle disposizioni dell’art. 36,
comma 2, del D.L. vo n.
165/2001[7],
l’attenzione della presente trattazione si incentra essenzialmente sull’abuso
delle “forme di assunzione” in discorso da parte degli amministratori e
dipendenti pubblici nei confronti della P.A., per i quali emergono, invece, gli
interventi propri della Corte dei conti.
Ebbene, l’orientamento della Corte dei Conti sul
ricorso a terzi nella P.A., in effetti, è quello
riportato nella ricordata circolare n. 4/2004 della Funzione Pubblica, alla
quale –per brevità – si rinvia.
Trattasi, però, di orientamento che è maturato con riferimento esclusivo
agli incarichi in senso stretto e, in larga parte, con riferimento a norme
anteriori a quelle riportate nel paragrafo precedente, e segnatamente alla “seconda
privatizzazione”, di cui al D.L. vo n. 165/2001.
In realtà, la prima,
rilevate pronuncia della Corte dei conti sulle co.co.co. in ambito pubblico è
quella di cui alla la delibera n. 6-CONTR./2005,
assunta dalle Sezioni Riunite della Corte dei conti nell’adunanza del
15/2/2005.
Con tale delibera, in pratica, le Sezioni Riunite,
hanno fissato le “Linee di indirizzo e (i) criteri
interpretativi sulle disposizioni della L n. 311/2004 (finanziaria 2005) in
materia di affidamento di incarichi, ex art. 1 commi 11 e 42”, chiarendo quali
siano i presupposti di legittimazione per il conferimento degli incarichi
stessi e chiarendo altresì quale sia l’intrinseca consistenza di ciascun tipo
di incarico (di studio, ricerca o consulenza), in relazione al loro specifico
contenuto; contenuto che comunque coincide –si è precisato – con il “contratto
di prestazione d’opera intellettuale, regolato dagli artt. 2229-2238 del codice
civile”.
Nel contesto dei chiarimenti offerti, e per meglio distinguere gli
incarichi in senso stretto dalle figure affini, le Sezioni Riunite hanno tenuto
a scandire bene il loro pensiero in punto di co.co.co., sottolineando che “restano
fuori dall’oggetto dei commi 11 e 42 (della L. n. 311/2004) i rapporti di
collaborazione coordinata e continuativa, che
rappresentano una posizione intermedia fra lavoro autonomo , proprio
dell’incarico professionale, ed il lavoro subordinato, (ex) art. 409, n. 3, cpc
(ed) art. 61 del d.l.vo n.
276/2003” (v. la citata delibera n. 6-Contr./2005).
In realtà, le “co.co.co.”, secondo
la dottrina, rientrano -senza peraltro esaurirlo- nel più generale fenomeno della
c.d. “parasubordinazione”; dell’attività, cioè, che
–da un lato– richiede una certa sfera di autonomia (organizzativa) nel soggetto
che presta la sua opera e –dall’altro– impone al medesimo di soggiacere se non
altro alle direttive generali del committente [8]
Nel pensiero delle Sezioni Riunite, “l’esclusione
di questo tipo di rapporti”, ossia delle co.co.co.,
dai limiti fissati dai commi 11 e 42 dell’art. 1 della l. n. 311/2004 “si
ricava (anche) dalla stessa L. n. 311/2004, la quale prevede al (successivo)
comma 116 dell’art. 1 che le pubbliche amministrazioni possono avvalersi nel
2005 di personale a tempo determinato con contratti di collaborazione
coordinata e continuativa”, e ciò, nel pensiero delle
Sezioni Riunite significa anche che “i rapporti co.co.co. sono (pienamente)
utilizzabili per le esigenze ordinarie, proprie del funzionamento delle
strutture amministrative, e non riguardano perciò – le Sezioni Riunite hanno
tenuto a ribadirlo – il ricorso agli incarichi” (v., testualmente, la più volte
menzionata delibera n. 6/2005).
Evidente che quest’ultima affermazione, e cioè quella secondo cui le co.co.co. sono pienamente
utilizzabili per soddisfare le “esigenze ordinarie” della P.A., collide con
l’idea della prevalente dottrina, riportata nel precedente paragrafo e seguita
dalla Funzione Pubblica nella circolare n. 4/2004, secondo cui le co.co.co. (al
pari degli incarichi) non possono essere utilizzate per soddisfare “esigenze
ordinarie” di lavoro.
Va da sé che le esigenze “ordinarie”,
di cui alla delibera in discorso, vanno tenute distinte dalle esigenze istituzionali
“durature”, destinate ad avere carattere di stabilità,
le quali vengono più opportunamente soddisfatte con un’adeguata politica di
gestione e di programmazione del personale e della relativa attività di formazione
e/o di mobilità, secondo le indicazioni in tal senso offerte dall’art. 6 del
D.L.vo n. 165/2001.
Particolare interesse, poi, riveste il criterio
“sostanzialista” seguito dalle Sezioni Riunite per identificare in concreto il
rapporto di volta in volta considerato.
A tal proposito, le Sezioni Riunite hanno –ancora una volta chiaramente– espresso il loro pensiero, precisando
che “qualora un atto rechi il nome di co.co.co., ma, per il suo contenuto,
rientri nella categoria degli incarichi di studio o di ricerca o di consulenza,
il medesimo sarà soggetto al limite di spesa, alla motivazione e all’invio
della Corte dei conti, secondo le previsioni dei commi 11 e 42” .
E’ peraltro
evidente, che il diverso fondamento normativo delle “co.co.co.” rispetto agli
incarichi, individuato dalle Sezioni Riunite con la più vote richiamata
delibera n. 6-Contr./2005, ha
comportato il superamento delle direttive diramate dalla Presidenza del
Consiglio dei Ministri – Dipartimento per la Funzione Pubblica con la circolare
n. 4 del 2004.
Seguendo l’impostazione delle
Sezioni Riunite, infatti, il Direttore dell’Ufficio per il Personale delle
Pubbliche Amministrazioni – Servizio per il Trattamento del personale della
Funzione Pubblica ha dato atto, con apposita “lettera
circolare” del 15/3/2005, che “dalla lettura sistematica (delle) disposizioni
della legge finanziaria (per il 2005) emerge come il legislatore abbia
stabilito una linea di demarcazione, costituita dalla tipologia di prestazioni,
fra le collaborazioni ad alto contenuto professionale, quali incarichi
di studio, ricerca e consulenza, di cui ai commi 11 e 42 (della legge stessa),
e le collaborazioni coordinate e continuative in genere, indicate nel
(successivo) comma 116, con la precisazione che l’ “obbligo di comunicazione
alla Corte dei conti” vale per gli incarichi, ossia per le collaborazioni ad alto
contenuto professionale, di cui ai commi 11 e 42 sopra citati, e non già per le
co.co.co., di cui al successivo comma 116.
Quanto poi al criterio per
distinguere gli incarichi dalle co.co.co., la “lettera
circolare” della Funzione Pubblica si è ispirata agli stessi canoni di
sostanzialità seguiti dalle Sezioni Riunite, precisando che le due forme di
collaborazione esterne vanno individuate in base “al contenuto della
prestazione ed alle modalità di svolgimento della stessa e non (in base) alla
tipologia contrattuale cui si fa ricorso”.
In base al medesimo criterio di
sostanzialità delle esigenze da soddisfare, peraltro, la “lettera circolare”
della Funzione Pubblica del 15/3/2005 ha anche offerto gli orientamenti cui
attenersi nel valutare l’opportunità di pervenire ad un contratto di lavoro a
tempo determinato, piuttosto che ad un contratto di collaborazione coordinata e
continuativa, in relazione alle disposizioni del comma
116 della l. n. 311/2004 che, in verità, sembrano porre i due tipi di contratti
su un piano di libera alternatività .
A tal fine, si è precisato che: “laddove si debba rispondere ad una esigenza quantificabile e
definita nel tempo, sarà necessario un effettivo inserimento nella organizzazione
lavorativa e l’esercizio del potere direttivo del datore di lavoro (e) pertanto
l’Amministrazione stipulerà contratti di lavoro a tempo determinato”; laddove,
invece, “ci si trovi in circostanze eccezionali e temporanee, cui non si possa
far fronte con le risorse in dotazione, si ricorrerà a contratti co.co.co., (e)
in tal caso rileva la competenza necessaria a svolgere l’attività richiesta in
autonomia, seppure in coordinamento con i fini dell’ Amministrazione”.
4) – Segue: la sentenza n.
447-EL/2005 della Sezione Giurisdizionale della Corte dei
conti dell’Umbria.
Aderendo pienamente all’ordine di idee espresso dalle Sezioni Riunite, alle quali ha
riconosciuto “il merito di aver dato un ordine sistematico al fenomeno della
c.d. esternalizzazione dell’azione pubblica, distinguendo e separando i
provvedimenti di incarico a terzi dal contratto di co.co.co. che, a sua volta,
si distingue dai rapporti di lavoro a tempo determinato”, la Sezione Umbra
della Corte dei conti, con la sentenza n. 447-EL/2005, ha ulteriormente
approfondito l’esame delle caratteristiche proprie degli incarichi e delle
co.co.co. ed ha risolto il problema concreto, portato alla sua cognizione, seguendo
lo stesso criterio di “sostanzialità” enucleato dalle Sezioni Riunite nella più
volte menzionata delibera n. 6-Contr./2005 [9].
La
sentenza in questione muove dall’idea che si possa
riconoscere a tutte le forme di esternalizzazione dell’attività pubblica “una
comune, generalissima funzione giuridico–economica, costituita dal ricorso, mediante
esse, a personale estraneo alla P.A., per l’ acquisizione, dietro compenso, di
professionalità quali-quantitativamente assenti nella P.A. medesima”.
A tale generalissima funzione fanno
da riscontro poi, secondo i giudici Umbri, dei comuni “presupposti generali di
legittimazione del ricorso a personale estraneo”, corrispondenti –a grandi
linee– a quelli enucleati dalle Sezione Riunite con la delibera n.
6-Contr./2005, costituiti : “(a) dalla rispondenza
dell’incarico, o di altra forma di esternalizzazione, agli obiettivi dell’
Amministrazione; (b) dalla inesistenza, all’interno della organizzazione
amministrativa, della figura professionale idonea a svolgere l’incarico, o
altra forma di esternalizzazione ; (c) dalla indicazione specifica dei
contenuti e dei criteri per lo svolgimento dell’incarico, o altra forma di
esternalizzazione ; (d) dalla indicazione della durata dell’incarico o altra
forma di esternalizzazione ; e) dalla proporzione fra il compenso corrisposto e
l’utilità conseguita dall’ Amministrazione”.
Il carattere discretivo delle varie
forme di esternalizzazione, invece, si individua
-sempre secondo i giudici Umbri- in base alle “speciali prestazioni di elevata
professionalità, non altrimenti reperibili all’interno dell’Amministrazione”,
che caratterizzano gli incarichi in senso stretto; trattasi di prestazioni –si
è specificato – che si raccordano “con la particolare complessità dei problemi
operativi che l’Amministrazione deve risolvere, per attendere correttamente ai
cuoi compiti”.
In realtà, si è soggiunto, “è
proprio facendo riferimento al grado di complessità della esigenza
lavorativa da soddisfare che è possibile separare e distinguere, nell’ambito
del fenomeno unitario della esternalizzazione dell’attività amministrativa, le
specifiche forme concrete di collaborazione da parte dei terzi, individuando
anche le caratteristiche proprie di ognuna di esse” e, in particolare, la “eccezionalità
del conferimento”, che più marcatamente contraddistingue l’incarico in
senso stretto, rispetto alle altre forme di collaborazioni esterne .
La complessità della
esigenza lavorativa da soddisfare consente anche, secondo la sentenza in
riferimento, di “graduare la caratura di ognuna di tali forme collaborative,
secondo un ordine discendente che va: (1) dall’incarico a terzi, quale livello
massimo di complessità del problema da risolvere; (2) alle co.co.co., quale livello
di complessità che richiede semplicemente una competenza tale da assicurare
un’attività lavorativa autonoma[10];
(3) ai contratti di lavoro a tempo determinato, quale livello di complessità
praticamente inesistente, trattandosi di espletare l’attività lavorativa
normale di un qualsivoglia altro dipendente pubblico”.
Nel
contesto delineato dalla Sezione Umbra, come la
Sezione medesima ha chiarito, “la stessa insufficienza organizzativa che
concorre, insieme alla temporaneità dell’incarico ed alla congruità
del relativo compenso, a legittimare il ricorso alle prestazioni
professionali dei terzi, va riguardata diversamente, a seconda che si sia in
presenza di un’esigenza che per essere soddisfatta richiede il conferimento di
un incarico (di studio, consulenza o ricerca), oppure la stipula di un contratto
di co.co.co. o di un contratto di lavoro a tempo determinato.
Nel
primo caso –si è soggiunto – “il parametro di riferimento della
insufficienza organizzativa è costituito dall’Ente pubblico nel
suo complesso, nel senso che la professionalità d’acquisire all’esterno deve
mancare non solo presso la struttura preposta all’attività per la quale è
insorto il problema, ma anche presso ogni altra struttura dell’Ente medesimo,
in relazione alla eccezionalità del problema da risolvere” [11]
.
Nel
secondo caso (stipula di un contratto di co.co.co.
oppure di lavoro a tempo determinato), invece, “il parametro di riferimento
della insufficienza organizzativa è costituito dalla struttura preposta
all’attività per la quale è insorto il problema, stante il carattere del tutto ordinario
dell’ esigenza per la quale si ricorre alla collaborazione dei terzi, nel senso
che basta che sia insufficiente il personale addetto alla struttura, e non vi
siano disponibilità temporanee concrete presso altre strutture, perché
possa farsi ricorso ad un contratto co.co.co., ovvero ad un contratto di lavoro
a tempo determinato, a seconda che occorra una prestazione da espletare con un
adeguato grado di autonomia organizzativa o meno”.
In
conclusione, secondo la Sezione Umbra, “l’insufficienza organizzativa,
nel caso dell’incarico a terzi, pertiene ad una carenza
qualitativa di professionalità specifica all’interno dell’Ente; nel
caso, invece, della stipula di contratti per prestazioni di lavoro temporaneo
(co.co.co. o lavoro a tempo determinato), pertiene ad una carenza di professionalità
ordinaria all’interno dell’Ente” .
5) – Considerazioni Finali.
Gli interventi della Corte dei conti
hanno certamente avuto il merito di aver dato respiro al tema degli “incarichi”,
esaminandone la portata oltre che con riferimento alle specifiche disposizioni
degli artt. 110 del D.L.vo n. 267/2000 e 7, comma 6, del D.L.vo n. 165/2001, anche con riferimento
alle “forme flessibili di assunzione”, proprie
dell’ imprenditoria privata, utilizzabili dalla P.A., in base alle disposizioni
dell’art. 36 del medesimo D.L.vo n.
165/2001 ora menzionato.
In questa ottica,
gli incarichi di ricerca, di studio e di consulenza, o se si vuole le
“collaborazioni (anche coordinate e continuative) di elevata professionalità”
di cui parla la “lettera circolare” della Funzione pubblica del 15/3/2005, sono
state rapportate alle disposizioni degli artt. 110 e 7, comma
6, citati poc’anzi e -sul piano delle norme di spesa- agli artt. 11 e 42
della L. n. 311/2004, mentre le co.co.co. generiche ed i
contratti di lavoro subordinato a tempo determinato sono stati rapportati alle
norme generali del sistema giuslaburista privato e –sul piano delle norme di
spesa – all’art. 116 della predetta L. n. 311/2004.
Non si può non dare atto dello
sforzo compiuto dalla magistratura contabile di dare un certo ordine sistematico
alla materia e di armonizzare istituti propri del sistema pubblico, quali gli
“incarichi a terzi”, con quelli propri del sistema privato, quali le co.co.co.
ed i rapporti di lavoro subordinato a tempo determinato.
Oltremodo interessante anche il
rilievo dato al criterio “sostanzialista” di identificazione
del rapporto in concreto posto in essere, seguito –per le esigenze proprie del
settore del controllo– dalle Sezioni Riunite, con la delibera n. 6/2005, e –per
le esigenze proprie del settore della responsabilità erariale– dalla Sezione Giurisdizionale
dell’Umbria, con la sentenza n. 447-EL/2005.
Trattasi, è evidente, di un criterio
che, superando la soglia dell’ apparenza, o se si
vuole del “nomen iuris”, assicura una maggiore aderenza delle
valutazioni giuridico-economico alla vera natura dei rapporti concretamente
posti in essere e consente, superando la soglia della “mera illegittimità”, di
individuare meglio gli sprechi effetti, in un rapporto di proporzionalità reale
tra la prestazione commissionata (ed eseguita) ed i costi che l’Amministrazione
ha sopportato per la stessa, in relazione all’effettiva esigenza lavorativa che
l’Amministrazione medesima doveva soddisfare [12].
In siffatto contesto
va, dunque, valutato l’intervento del D.L. n. 4/2006 che, per
vero, oltre a riformulare il comma 6 dell’art. 7 del D.L.vo n. 165/2001
in senso più restrittivo, “al fine di ridurre il numero delle collaborazioni
coordinate continuative” (v. art. 13 dl citato D.L. n.
4/2006), modifica anche gli artt. 35 e 36 del medesimo
D.L.vo n. 165/2001, nel senso di
favorire la “sanatoria” del personale “a tempo determinato” già in servizio e
nel senso di ridurre il ricorso a nuovi contratti di lavoro a tempo
determinato, magari valutando, preferenzialmente, anche “l’opportunità di attivazione di contratti con le agenzie …. per la somministrazione a tempo determinato di personale,
ovvero (per la) esternalizzazione e appalto di servizi” (v. art. 4 del ripetuto
D.L. n. 4/2006).
Tralasciando i profili relativi alle norme sul personale “a tempo determinato”, di
cui al precitato art. 4 del D.L. n. 4/2006, le disposizioni del successivo art.
13 del medesimo testo normativo, pongono anzitutto il problema di stabilire se
esse si riferiscono a tutte le forme di collaborazioni coordinate e continuative, come lascerebbe pensare la dichiarazione di
intento con cui si apre il citato art. 13 (“al fine di ridurre il numero
delle collaborazioni coordinate continuative”), o non piuttosto alle sole
“collaborazioni di alta professionalità” (ex incarichi in senso stretto), come
lascerebbero pensare sia il fatto che l’innovazione pertiene all’art. 7, comma
6, del D.L.vo n. n. 165/2001 e all’ “attribuzione degli incarichi di cui
all’art. 110 del D.L.vo n. 267/2000” (v. l’ultimo coma introdotto dall’art. 13
del D.L. n. 4/2006), sia i particolari “presupposti” di alta
qualificazione che vengono stabiliti per il conferimento dei relativi
“incarichi” e sia, infine, il fatto che comunque la finanziaria per il 2006 ha
ancora previsto la possibilità per l’Amministrazione di ricorrere a prestazioni
di lavoro subordinato a tempo determinato e a co.co.co., per sopperire – è
evidente – alle ordinarie esigenze di lavoro, fissando un apposito limite di
spesa, secondo la logica riscontrabile anche nelle precedenti finanziarie
2003-2005 .
Pur nelle incertezze che si legano
alla natura propria del decreto legge, sia per quel che attiene alla
formulazione definitiva delle relative norme e sia per quel che attiene alla
sua stessa conversione in legge, ragioni di ordine
logico-sistematico, connesse anche allo sviluppo dato alla materia dagli
interventi della Corte dei conti e dalle circolari della Funzione Pubblica,
inducono a ritenere che l’art. 13 del D.L. n. 4/2006 si riferisca alle sole collaborazioni
di elevata professionalità, per le quali il citato
articolo ha avuto il merito di aver tradotto in norme legislative i principi
giurisprudenziali, elaborati dalla Corte dei conti, in tema di conferimento di
incarichi a terzi .
Quanto alle co.co.co. generiche,
invece, oltre al limite finanziario entro le quali esse devono
essere contenute (unitamente ai contratti di lavoro subordinato a tempo
determinato), non si intravedono altri limiti per il loro conferimento che non
sia la sola “insufficienza organizzativa”, elaborato dalla Sezione Umbra
con la sent. n. 447-EL/2005; e ciò perché, come la
Sezione stessa ha chiarito, le co.co.co. generiche sono destinate a coprire le
“esigenze lavorative ordinarie” dell’ Amministrazione e per esse, quindi, non
si richiede una professionalità particolarmente elevata e qualificata.
La penuria dei limiti entro cui
contenere le collaborazioni esterne generiche (co.co.co. e contratti di lavoro
a tempo determinato) evidenzia il lato debole del sistema di integrazione
della forza lavoro nella P.A. mediante ricorso alle “forme flessibili di
assunzione”, ex art. 36 del D.L.vo n. 165/2001.
In presenza di una politica di gestione del personale
improntata ad un sempre più elevato grado di flessibilità, infatti, è davvero
arduo stabilire quando può dirsi davvero sussistente una esigenza di integrazione
temporanea della forza lavoro dovuta ad una reale insufficienza del personale
in servizio e quando, invece, una siffatta esigenza dipende solo da un difetto
organizzativo interno, che non porta ad utilizzare appieno e/o al meglio il
predetto personale.
D’altro canto, anche il limite
intrinseco della temporaneità del rapporto di lavoro, al quale danno luogo le
co.co.co. ed i contratti di lavoro a tempo determinato
è, nella esperienza concreta, superato dai rinnovi ai quali, spesso, vengono
sottoposti sia le une che gli altri.
In siffatto contesto,
l’unico limite “certo” è costituito da quello della spesa, fissato per le
co.co.co. e per i contratti a tempo determinato dalle leggi finanziarie.
Ulteriori rilievi critici al sistema, poi, attengono al grado
di compatibilità delle “forme flessibili di assunzione” con i
principi costituzionali di concorsualità e selezione, che presiedono
all’accesso agli impieghi pubblici, da un lato, ed ai principi di efficienza,
efficacia ed economicità, che presiedono all’espletamento dell’attività pubblica,
dall’altro.
Sotto il primo profilo, infatti, può
condividersi, in tesi, quanto precisato dalla Sezione Umbra con la più volte
menzionata sentenza n. 447-EL/2005, in ordine al fatto
che i principi di concorsualità e selezione “si collocano ormai su un piano
diverso dalla mera esternalizzazione dell’attività lavorativa pubblica,
continuando a presidiare esigenze di imparzialità e di professionalità che si
raccordano ai soli funzionari ed impiegati legati da rapporti di lavoro a tempo
indeterminato”[13].
In concreto, però, è innegabile che
quelle stesse esigenze di imparzialità e
professionalità possono rilevare (e di fatto rilevano) anche per chi è chiamato
a svolgere la normale attività lavorativa pubblica per un periodo limitato di
tempo, dipendendo esse non già dalla durata del rapporto di lavoro instaurato
con l’Amministrazione, ma dalla intrinseca natura dell’attività posta in essere
.
Quanto, invece, agli aspetti di efficacia, efficienze ed economicità dell’azione pubblica,
qualche perplessità sulla miglior realizzazione dei principi stessi mediante il
ricorso alle “forme flessibili di assunzione” si trae dalla esperienza
concreta : l’inserimento di personale nuovo, infatti, sconta sempre un periodo
di adattamento, che certo riduce la reale utilità detraibile da una prestazione
lavorativa a tempo, e lo stesso trend di piena collaborazione –a volte –
raggiunge il suo miglior punto proprio alla scadenza della collaborazione
temporanea, in relazione anche al grado di affiatamento lavorativo realizzato
nel tempo con i colleghi .
E’ probabile, ma ci si rende conto
che la materia impegna in valutazioni (anche di politica occupazionale) ben più
approfondite e delicate di quelle –piuttosto modeste – espresse con la presente
trattazione, che una più adeguata realizzazione dei principi di
efficacia , efficienza ed economicità dell’azione amministrativa
potrebbe, forse, esser meglio raggiunta valorizzando il personale interno, da
impegnare anche in prestazioni lavorative di maggior durata, da retribuire con
straordinari, in quanto più capace e qualificato del personale esterno, “assunto”
con le forme flessibili, se non altro in ragione della specifica esperienza
lavorativa già maturata.
[1] Si ricorda che in dottrina parla espressamente di “seconda privatizzazione”, con specifico riferimento agli art.2, 5, 6 e 36 del D.L.vo n°29/1993, quali modificati dagli omologhi articoli del D.L.vo n°165/2001, A.M. Battisti in Le Fonti de Diritto Italiano, il Diritto del Lavoro, vol. III°- Il Lavoro Pubblico, a cura di Amoroso, Cerbo e Fiorillo – Giuffrè 2004, pag.316.
L’autore ha correttamente
evidenziato che, mentre i precitati art. 2 e 5 “denotano una maggiore
flessibilità organizzativa della P.A., (anche )
attraverso (la previsione) che il dirigente agisce con la capacità e i poteri
del privato datore di lavoro”, il successivo art. 6 “ha introdotto più ampi
margini di flessibilità, sia nella gestione del personale e sia nell’ organizzazione
degli uffici, (avendo) attribuito centralità alla dotazione organica,
piuttosto che alla pianta organica”, laddove poi il successivo art. 36,
come viene detto nel testo, ha espressamente previsto “l’estensione alle
pubbliche amministrazioni delle forme contrattuali flessibili di assunzioni e
di impiego del personale, regolate dal codice civile e dalle leggi sui rapporti
di lavoro subordinato nell’impresa”.
[2] Si veda, in tal senso, il carattere del tutto eccezionale con cui l’art. 380 del DPR n°3/1957 consentiva il ricorso ad “estranei all’amministrazione dello Stato”.
Si ricorda, peraltro, che tale articolo è stato poi abrogato dall’art. 9 del DPR n°338/1994.
[3] Si ricorda che le regole per il conferimento degli incarichi da parte dei Ministri sono state definite dal regolamento approvato con il DPR 18/4/1994, n°338.
[4] Si ricorda che la Corte
Costituzionale, con la sent. n°417 del 9-14/11/2005,
ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dei commi 9 e 11, dell’art. 1
della l. n°191/2004, che –come detto nel testo– prevedevano norme
sostanzialmente analoghe a quelle dei commi 11 e 42 dell’art. 1 della
successiva l. n°311/2004 (finanziaria 2005), ma ciò non inficia minimamente le
conclusioni –esposte nel testo stesso – sulla possibilità di continuare ad
instaurare rapporti di co.co.co. generiche, in ambito pubblico, atteso che la
Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità delle precitate disposizioni
in ragione del semplice fatto che esse, “riguardando singole voci di spesa, non
costituiscono principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, ma
comportano una inammissibile ingerenza nell’autonomia degli enti, quanto alla
gestione della spesa”, senza occuparsi in alcun modo della natura delle forme
flessibili di “assunzione” presso la P.A. (v. pagg.23-24 della predetta sentenza,
in G.U. 1^ Serie Speciale n°46 del 16/11/2005).
[5] Cfr., al riguardo, Commentario Diritto del Lavoro, diretto da F. Carinci, vol. 5° “Il Lavoro nella P.A”, pagg. 630-632, UTET 2004.
[6] V., testualmente, Caringi, pag. 629 opera citata.
[7] Si ricorda che l’art. 36, comma 2, del D.L.vo n°165/2001 prevede che “la violazione delle disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e sanzione”e salvo il “diritto al risarcimento del danno” da parte del lavoratore, con il correlativo “obbligo” delle Amministrazioni di recupero le somme pagate a tale titolo “nei confronti dei dirigenti responsabili”.
Le disposizioni dell’art. 36, comma 2, sopra menzionato sono state sospettate di illegittimità costituzionale, ma la Corte Costituzionale ha respinto la relativa questione di costituzionalità con la sent. n°89/2003 .
[8] Cfr. ancora una volta, anche per una carrellata sulle più rilevanti figure di “parasubordinazione” in ambito pubblico, Caringi, opera citata nelle note precedenti.
[9] In pratica, l’incarico di “consulenza” portato alla cognizione della Sezione Umbra è stato riqualificato dalla Sezione stessa come “rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato”, in base alle sue reali caratteristiche sostanziali.
Per tal via, l’illegittimità che inficiava l’incarico di consulenza, in tale sua veste, per carenza sia del requisito della “eccezionalità del conferimento” ( ossia della “complessità e straordinarietà delle esigenze da soddisfare”) e sia della “insufficienza organizzativa”(ossia della “carenza organica di un’apposita struttura della P.A., ovvero della mancanza di personale addetto”) ha finito per non inficiare più l’incarico medesimo, visto non più come “consulenza”, ma come “rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato”, instaurato per consentire l’espletamento di una normale attività lavorativa, per la quale risultava insufficiente il personale in servizio.
La sentenza in commento, poi, ha assolto i convenuti per “assenza del danno”, perché la spesa sostenuta dall’Amministrazione per il rapporto lavorativo in concreto posto in essere non superava i costi normalmente sopportati dall’Amministrazione stessa per una corrispondente unità lavorativa interna di pari qualifica, ed era anzi minore ad essi.
[10] Cfr.., in tal senso, la parte finale della “nota circolare” della Funzione Pubblica del 15/3/2005 .
[11] A tal riguardo i giudici Umbri hanno richiamato a conforto “in maniera implicita” gli artt. 110 del l d.l.vo n°267/2000, e 7, comma 6, del d.l.vo n°165/ 2001 (ovviamente nella versione preesistente al D.L. n°4/2006), nonché “in maniera del tutto esplicita l’art. 1, comma 11, ed ancor più il successivo comma 42 della l. n°311/ 2004”.
[12] In questa ottica, norme come quella del comma 11 dell’art. 1 della l. n°311/2004, secondo cui : “l’affidamento di incarichi in assenza dei (relativi) presupposti costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale”, devono essere intese, almeno per ciò che attiene alla responsabilità erariale, come delle norme che non sanzionano la mera illegittimità in sé della carenza dei presupposti per il conferimento dell’incarico, ma sanzionano il profilo sostanziale della mancanza di utilità per l’Amministrazione dell’incarico conferito, così che è possibile anche modulare, per evidenti ragioni di giustizia, il livello reale di responsabilità, in base alla utilità conseguita con il rapporto lavorativo concretamente posto in essere ed alla spesa sostenuta per lo stesso. In tal modo, quindi, andrebbe esclusa qualsiasi responsabilità erariale per il conferimento di un incarico di consulenza, per il quale mancano i relativi presupposti, ma che in concreto si è tradotto in una collaborazione coordinata e continuativa di tipo generico o, addirittura, in una prestazione di ordinario lavoro subordinato, per la quale ne ricorrevano invece i presupposti ed è stata remunerata come tale.
A voler ragionare diversamente, infatti, si dovrebbero ammettere nuove ipotesi di “responsabilità formale”, ossia di responsabilità senza danno (per mera illegittimità, appunto), per le quali è qui sufficiente richiamare i rilievi critici della sentenza n°72/1983 della Corte Costituzionale.
[13] Sul punto la Sezione Umbra ha richiamato i principi di cui alla sentenza n°89/2003 della Corte Costituzionale.