Danno ambientale: Finanziaria 2006 e T.U.
Ambiente, il colpo d’ascia del legislatore cade sull’azione di risarcimento del
danno ambientale di Regioni ed Enti locali.
Sommario: Premessa – Il danno ambientale nella Finanziaria 2006 – Il danno
ambientale nel Codice dell’ambiente – L’azione di risarcimento del danno delle
Regioni e degli Enti locali – Conclusioni.
1.Premessa
Il 29 aprile 2006 il Codice dell’Ambiente
entra finalmente in vigore, dopo che in
terza lettura[1]
è stato approvato in via definitiva da parte del Consiglio dei Ministri.
L’attuazione della legge delega ambientale n.308 del 2004[2], diventa l’occasione per
ricostruire una struttura giuridica che consente il riordino, la semplificazione
nonché l’integrazione con le normative internazionali di una materia, quella
ambientale, caratterizzata da una stratificazione normativa, che a partire dal 1966 con la legge
sull’inquinamento atmosferico, ha
comportato una sovrapposizione di regimi diversi diventata pressocché
impraticabile per gli operatori giuridici. Il metodo che il Governo ha inteso
utilizzare nella redazione di questo corpus
normativo, è il recepimento delle
direttive comunitarie, di otto per l’esattezza, che non hanno ancora per il
momento trovato accoglimento nel nostro ordinamento. I settori oggetto di questo poderoso disegno
di razionalizzazione e riordino sono sei. Si tratta di sei ambiti considerati
per così dire cruciali per la materia ambientale: rifiuti e bonifiche, acque,
difesa del suolo, inquinamento atmosferico, procedure ambientali, danno
ambientale.
Il
primo capitolo è quello che si occupa di Via (Valutazione di
impatto ambientale) - Vas (Valutazione ambientale strategica)
Ippc (Prevenzione e riduzione integrate dell'inquinamento),
ordina e coordina attraverso l’integrale recepimento di quattro direttive. E in particolare prevede la disciplina
puntuale dei procedimenti Via e la
definizione dei meccanismi di coordinamento tra Via e Vas e tra Via e Ippc,
nonché l’accoglimento del principio del silenzio-rifiuto e il rafforzamento
della disciplina di informazione al pubblico.
L’approccio del secondo capitolo è quello di
un riordino e coordinamento delle disposizioni normative frammentate in una
pluralità di testi riguardanti la difesa
del suolo, la tutela delle acque,
la gestione delle risorse idriche.
In materia di acque il codice recepisce integralmente la direttiva 2000/60/Ce
prevedendo l'istituzione di Autorità di bacino distrettuale che risulta
dall’accorpamento delle diverse autorità di bacino esistenti e la definizione
del Piano di gestione che si riconferma
come strumento di pianificazione.
Terzo capitolo: Rifiuti
e bonifiche. Anche questo settore è oggetto di un grosso lavoro di razionalizzazione e coordinamento delle
disposizioni normative precedentemente in vigore. Per le bonifiche vengono
confermati sostanzialmente i parametri in vigore per la definizione di
"sito inquinato" e per la successiva bonifica viene compiuta
un'analisi di rischio. Norma particolarmente innovativa è quella che istituisce
un'Authority per acque e rifiuti, creando due sezioni al posto del vecchio
Comitato di vigilanza sull'uso delle risorse idriche e dell'Osservatorio
nazionale dei rifiuti, con una diminuzione nel numero degli organi.
Anche
per la Tutela dell'aria è compiuto un necessario riordino e coordinamento di tutte
le misure concernenti la prevenzione dell'inquinamento dell'aria dove
particolarmente accentuate risultano le disposizioni riguardanti la promozione del ricorso alle migliori tecniche
disponibili e introduzione di una durata fissa per l'autorizzazione pari a 15
anni.[3]
Danno ambientale: nel sesto capitolo viene
definita la nozione di danno ambientale e una nuova disciplina in materia per
conseguire l'effettività delle sanzioni amministrative per consentire la piena
applicazione del principio chi inquina paga. Per accorciare i tempi
del risarcimento del danno, ad oggi il Ministero ha incassato soltanto le somme
derivanti da transazioni, è prevista un'ordinanza-ingiunzione per il
risarcimento del danno che darà la possibilità al Ministero di incassare in
modo certo e veloce le somme.
2. Il danno ambientale nella Finanziaria 2006.
Difficile da ripercorrere si rileva la
strada che conduce al varo definitivo di quest’opera di riordino della materia
ambientale, infatti lo schema del suddetto testo, non solo è stato oggetto del
vaglio della commissioni di esperti ma
anche e soprattutto della Conferenza Stato –Regioni che più volte ha censurato
il testo deliberato, per non parlare poi di un giudizio negativo di congruità
sollevato dalle associazioni ambientaliste. Tutto ciò ha portato il Governo a
presentare varie versioni del Testo e ad aggirare l’ostacolo del parere
negativo sia del Consiglio di Stato che della Conferenza Stato –Regioni
attraverso la giustificazione della mancata esaustività di un Codice, che se
pur riveste un ruolo importante di riordino normativo, ma non può essere
considerato certamente un vero e proprio Testo Unico dal momento che molte aree
di interesse ambientale per il momento rimangono fuori da questo lavoro di
razionalizzazione.[4]
Ma nonostante le varie difficoltà, la concretizzazione della legge delega
308/2004[5] sfociata nell’entrata in vigore
del Testo Unico Ambiente continua a suscitare enormi perplessità con riguardo a
innumerevoli aspetti che si presentano in distonia con certi equilibri, per
molti versi faticosamente conquistati dal nostro ordinamento. Uno di questi
aspetti problematici che è dato di cogliere, non potendo certamente essere
questa la sede per la disamina delle varie questioni che pur si muovono intorno
al Testo Unico Ambiente, è il rilevante problema istituzionale dei rapporti tra
le competenze, non solo normative, tra Stato Regioni. Rapporti di cui il
legislatore non si cura, finendo con riaprire nuove lacerazioni con gli Enti
territoriali. Infatti uno dei motivi per il quale il Capo dello Stato ha
sollevato eccezioni, rifiutandosi di firmare l’articolato normativo di cui
trattasi, risiede nelle lamentele sollevate dalle Regioni che hanno sempre
sottolineato la presenza nel decreto legislativo di innumerevoli aspetti di
incompatibilità con le norme regionali vigenti nel nostro ordinamento. Forse è
troppo presto per giudicare la portata di questo Codice, che già è “candidato”
a presentarsi, attraverso il meccanismo della via diretta, dinanzi alla Corte
Costituzionale. Tuttavia in tal senso interessante appare il tracciato
normativo seguito dal legislatore in chiave di “taglio” delle competenze degli
enti territoriali, ma anche di un altro aspetto molto importante che è quello
relativo all’azione da parte di questi Enti volta al risarcimento del danno
ambientale. Il legislatore, infatti esordisce nel 2006 con la finanziaria[6] con la prescrizione di una
disciplina definita mini rispetto a
quella del Testo Unico ambiente perché contenente in via riassuntiva e
prodromica ciò che poi ha stabilito in maniera più completo nel il Codice, ma
già anticipatrice in parte di molte delle problematiche del Testo e in
particolare della cancellazione dell’azione degli enti territoriali. E’ noto
che da molti anni oramai il legislatore utilizza la finanziaria come
contenitore di norme di vario contenuto, che se non direttamente, attengono pur
sempre a preoccupazioni di tipo finanziario legate a far quadrare il bilancio
dello Stato. Anche quest’anno il legislatore non si è smentito e tra le varie
disposizioni a contenuto finanziario spiccano quelle relative all’ambiente. In
particolare la disciplina proposta dal legislatore della finanziaria, che
evidenza chiaramente la scelta del modello di attuazione interna delle
prescrizioni comunitarie[7], ricomprende nell’ordine i
seguenti temi: a) la bonifica dei siti di interesse nazionale e la
responsabilità per danno ambientale (commi 434-438; e comma 442 prima parte);
b) il potere di ordinanza spettante al Ministro dell’ambiente e della tutela
del territorio per il fatto che abbia provocato il danno ambientale e i
parametri di quantificazione di quest’ultimo (commi 439-441; 449; 450), una
disciplina transitoria (comma 442 prima parte); d) la definizione dei rapporti
tra disciplina del danno ambientale e la bonifica dei siti inquinati (comma 442
seconda parte); e) una serie di clausole di rinvio alla normativa vigente in
materia di danno ambientale. La novella contenuta in finanziaria è incentrata
su un nuovo procedimento nel caso in cui un soggetto pubblico incaricato della
tutela dell’ambiente abbia accertato un danno ambientale, così come definito e
disciplinato dalla direttiva 2004/35/Ce[8], e dopo aver obbligato il
responsabile al ripristino dei luoghi, tale ripristino non sia stato accertato.
In caso di inerzia del responsabile del danno il Ministro dell’Ambiente emana
una ordinanza esecutiva, impugnabile innanzi al T.A.R. o mediante ricorso
straordinario al Capo dello Stato, per obbligare entro un certo termine a
ripristinare la situazione ambientale antecedente. Nell’ipotesi in cui il
soggetto non provveda alla riduzione in pristino nei termini oppure il ripristino
non sia possibile o risulti troppo oneroso il Ministro dell’Ambiente ingiunge
il pagamento di una somma pari al valore economico del danno ambientale
accertato. Il soggetto obbligato è l’autore materiale del fatto dannoso, in
solido con il soggetto che aveva interesse o che ha tratto vantaggio dal fatto
lesivo. Per quel che concerne la quantificazione del danno la legge richiede
che esso comprenda il pregiudizio arrecato alla situazione ambientale con
particolare riferimento al costo necessario per il suo ripristino, richiamando
espressamente a tal fine quanto previsto dalla direttiva ce. Qualora non sia
possibile una quantificazione, l’ordinanza ne determina l’ammontare in via
equitativa, sulla base del profitto conseguito dal trasgressore, a seguito del
comportamento lesivo. Il richiamo contenuto alla disciplina di cui alla
direttiva circoscritto al riferimento dei soli costi di ripristino da
considerare ai fini della quantificazione del danno solleva il rilievo critico
che il legislatore lungi dal recepire o dallo sforzarsi di recepire la nozione
comunitaria di danno ambientale, che deve imperativamente considerarsi un
irrinunciabile valore interpretativo essendo la disciplina comunitaria
connotata da profili altamente specifici che per il momento sono del tutto
estranei al nostro diritto positivo, ha come unica preoccupazione quella di
predisporre un meccanismo efficiente, efficace e veloce di reperimento delle
somme dovute in caso di danno ambientale. Difatti se si analizza l’articolato
normativo della disciplina ambientale in Finanziaria 2006 da questo punto di
vista deve concludersi per una coerenza con l’intento primario del legislatore
dell’intenzione di reperire risorse
economiche, attraverso il regime della responsabilità per danno ambientale.
Infatti il contenuto normativo di cui al comma 439 stabilisce che la misura
privilegiata di riparazione del danno ambientale , cioè il ripristino debba
essere eseguito secondo le modalità previste dalla citata direttiva a titolo di
risarcimento in forma specifica e che laddove tale misura non sia seguita dal
responsabile nel termine prescritto o che non sia possibile da un punto di
vista strettamente tecnico ovvero sia
eccessivamente oneroso, il Ministro ordina il pagamento di una somma peri al
valore economico del danno accertato. Ma la valutazione economica del danno
ambientale prevista in questo modo svolge una funzione del tutto diversa da
quella stabilita dalla direttiva
2004/35/Ce nella quale la valutazione
rappresenta unicamente il criterio suppletivo per definire le misure di
riparazione complementare e compensativa, il cui costo sia equivalente al
valore monetario stimato delle risorse naturali e o dei servizi perduti nel
caso in cui non sia possibile applicare a questi ultimi il metodo generale e
privilegiato di equivalenza “ risorsa – risorsa o servizio- servizio” e si
debbano utilizzare tecniche di valutazione alternative. La finanziaria, invece si preoccupa solo
dell’aspetto relativo alla liquidazione monetaria del danno, alla stregua del
valore del danno accertato, ove il ripristino resti in tutto o in parte
ineseguito. L’aggravante che presenta la norma in finanziaria, e che qui
interessa ai fini del discorso relativo al profilo del ruolo delle Regioni ed Enti territoriali è
che il legislatore, non solo non pone attenzione a questo importantissimo
aspetto della suddivisione dei compiti, ma nulla dicendo a proposito della
vigente normativa, né attraverso esplicite abrogazioni né mediante la
proposizione di norme per un coordinamento, lascia in sospeso la situazione
normativa fatta di multistrati di disciplina, conferendo alla natura di questo nuovo regime il sapore di un
potere solo extra ordinem, nel senso
che il potere di ordinanza del ministro debba intendersi come straordinario e
suppletivo di riparazione o risarcimento del danno ambientale avente la
finalità di “riscossione dei crediti di cui ai commi 439 e
3. Il danno ambientale nel Codice Ambiente
Come si diceva innanzi il neo Testo
Unico approvato rappresenta un apprezzabile sforzo di riordino e di
semplificazione per un tema, quello ambientale e in particolare del
risarcimento del danno ambientale, di fatto affrontato molto frettolosamente
dalle disposizioni della finanziaria 2006, che in qualche modo risultano a
questo prodromiche. Nel Codice Ambiente, a differenza della minidisciplina
ambientale contenuta nella finanziaria 2006, si ritrova una disciplina più
ampia e completa proprio nell’ottica della semplificazione e riordino di tutta
la materia tanto che qui a differenza della disciplina ambientale in
finanziaria sono puntuali le norme di raccordo con le disposizioni normative
vigenti. Nella parte sesta del Testo che
si occupa del danno ambientale viiene definita la nozione di danno ambientale,
del tutto assente in finanziaria 2006, e una nuova disciplina in materia per
conseguire l'effettività delle sanzioni amministrative anche e soprattutto
attraverso la riduzione dei tempi del risarcimento del danno, per il quale è
ripreso il meccanismo già auspicato dalla disciplina ambientale contenuta in
Finanziaria, dell’'ordinanza-ingiunzione
che da’ di fatto la possibilità al Ministero di incassare in modo certo
e veloce le somme. Le somme riscosse confluiscono in un fondo di rotazione che
va a finanziare interventi di messa in sicurezza, disinquinamento, bonifica e
ripristino ambientale. Si è già accenato al fatto che sono sicuramente molti i
profili problematici posti dall’approvazione di detto decreto tanto che è
facile cadere in un commenti generali e generici. Ma il primo “scavo” che qui interessa
fare è quello di cogliere un particolare aspetto, all’indomani della definitiva
approvazione del T.U., sulla responsabilità e ripristino del danno ambientale,
che arriva subito dopo una tanto già chiacchierata disciplina ambientale
contenuta nella finanziaria di cui non si è ben capito ne il senso ne la
portata e che l’entrata in vigore del Testo unico non chiarifica, ma anzi
finisce col gettare delle nuove ombre su questi percorsi normativi intrapresi
dal legislatore assolutamente incoerenti. Infatti, tralasciando per un momento
l’aspetto relativo al mancato obiettivo da parte del legislatore delegato di
allinearsi ai modelli comunitari in punto di unitarietà dei regimi giuridici
propugnati da varie norme a cominciare
dall’art.18 che propone in tema di danno ambientale un regime improntato sui
requisiti di dolo e colpa a finire con il decreto Ronchi[10] incentrato sulla
responsabilità obiettiva, con un solo colpo di accetta, di scure elimina
l’importante legittimità in capo a regioni ed enti territoriali di far valere
nelle aule giudiziarie l’azione di risarcimento danni.
A partire dall’art. 311e ss.,
intitolato “Azione risarcitoria in forma
specifica e per equivalente patrimoniale”il legislatore si occupa del
regime di responsabilità che segue la “norma principio” dell’illecito doloso e
colposo e obbligo risarcitorio nei confronti dello Stato, integrato dal
successivo art. 314 che prevede che la
quantificazione del danno, secondo gli enunciati presenti agli allegati 3 e 4
della Sezione VI, deve comprendere il pregiudizio arrecato alla situazione
ambientale con particolare riferimento al costo necessario per il suo
ripristino. E dove non sia possibile l’esatta quantificazione del danno non
risarcibile in forma specifica, il danno per equivalente patrimoniale si
presume fino a prova contraria, di ammontare non inferiore fino al triplo della
somma corrispondente alla sanzione amministrativa oppure alla sanzione penale
applicata. inoltre il disposto di cui al secondo comma dell’art.311 stabilisce
che “ Chiunque, realizzando un fatto
illecito, o omettendo attività o comportamenti doverosi, con violazione di
legge, di regolamento, o di provvedimento amministrativo, con negligenza,
imperizia, imprudenza, o violazione di norme tecniche, arrechi danno
all’ambiente, alterandolo, deteriorandolo, o distruggendolo in tutto o in parte
è obbligato al ripristino della precedente situazione, e in mancanza al
risarcimento per equivalente patrimoniale nei confronti dello Stato.”
Per quanto concerne invece
l’istruttoria che precede l’ordinanza- ingiunzione volta all’ottenimento del
risarcimento del danno, l’art312 ricalca nei medesimi termini quanto già
stabilito nella finanziaria 2006. Ed ecco che anche qui torna una
preoccupazione di “cassa”, dove l’ordinanza, che deve essere adottata nel
termine perentorio di 180 giorni, contiene l’ingiunzione al pagamento di una
somma pari al 15% del danno accertato e stimato in base ai criteri sopra
riferitioltre alla irrogazione di sanzioni amministrative di competenza
ministeriale previste nei casi specifici dalla legislazione vigente.
Allora questa norma conferisce una chiara direzione alla
disciplina del danno ambientale, già peraltro contenuta in nuce dalla minidisciplina contenuta nella finanziaria 2006, che qui
trova la sua giustificazione nell’assunto che si tratta pur sempre di un
contesto normativo preoccupato di perseguire obiettivi di contenimento di
spesa. Ma anche nel caso del Codice Ambiente, invece ci si chiede quale
sia la portata e il senso delle
norme che comunque non appaiono
propriamente in linea con le discipline comunitarie, e che lasciando
sopravvivere tutto all’art.318 solo il comma 5 dell’art.18 interviene
drasticamente sulla legittimità ad agire in tema di danno ambientale degli enti
territoriali. Sotto l’aspetto organizzatorio l’art.318, che accentrando tutte le competenze in capo
al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, solleva dubbi di
conformità alla Tavola Costituzionale relativamente a quelle disposizioni, sia
del Titolo V della Cost. sia dell’art.9 T.U. degli enti locali n. 207/2000 che
attribuiscono competenze regionali e locali in materia di danno ambientale.
4. L’azione di risarcimento del danno delle Regioni e degli Enti
locali
Prima
che intervenisse il Testo Unico sull’ambiente la Responsabilità civile in
materia di danno ambientale, ispirata chiaramente dall’obiettivo di creare uno
strumento giuridico, per la tutela dell’ambiente, che recepisse un principio
fondamentale di diritto internazionale, quello tradizionalmente noto come “chi
inquina paga”, trovava il suo immediato referente nell’art.18 della legge
349/86. Il comma 1 dell’articolo
L’azione
di risarcimento era anche qui finalizzata al recupero economico dei danni
ambientali o al ripristino originario della risorsa ambientale danneggiata. Il
risarcimento veniva pertanto effettuato in forma specifica (ripristino dello
stato dei luoghi a spese del responsabile) o per equivalente (attraverso una
precisa quantificazione economica/monetaria del danno o attraverso una
valutazione equitativa operata dal Giudice sulla base della gravità della
colpa, del profitto conseguito dal trasgressore e del costo necessario per il
ripristino dei luoghi).
Il
principio della responsabilità civile nei confronti del danno ambientale veniva
esercitato dal Giudice ordinario nell’ambito di un procedimento penale o
civile, e per essere applicato necessitava che:
A ben vedere l’art.18 individuando i soggetti legittimati
all’esercizio dell’azione di risarcimento del danno, conferiva la titolarità
della relativa azione allo Stato e agli Enti territoriali che godevano a pieno
titolo di una legittimazione processuale attiva per il risarcimento del danno
lesivo di beni rientranti nella propria sfera di competenza. Era dunque
assolutamente pacifico, nonché espressamente riconosciuto dalla norma, un ruolo
attivo della Regione e degli enti territoriali a costituirsi parte civile ai
sensi dell’art.18 purchè aventi un legame “qualificato” con il territorio leso
considerato elemento imprescindibile alla base di questa azione di
risarcimento, considerata una vera e propria forma di attivazione di una
sanzione per la lesione di un diritto della personalità di questi enti. In
altre parole l’azione spettava allo Stato
ma anche alle Regioni e Enti locali. Il legislatore del T.U.Ambiente
abrogando l’art.18 recide, come il taglio di una scure, drasticamente questa
disposizione che riconosceva tale legittimazione ad agire a favore degli Enti
locali e Regioni. Già alcune Regioni come l’Emilia-Romagna hanno dichiarato di
ricorrere alla Corte Costituzionale a cui spetterà il compito di stabilire se
il taglio a questo importante ruolo svolto dagli enti territoriali, il cui
compito rimane oggi relegato alla proposizione di osservazioni e solleciti,
chiamati fino a questo momento ad esercitare una funzione di tutori della protezione
del bene ambiente proprio in base alla loro natura di enti esponenziali degli
interessi delle comunità territoriali, sia rispettoso dei principi ormai
saldamente proclamati dalla Carta fondamentale del 1948, relativi alla
sussidiarietà, alla quale poi dovrebbe fare seguito l’azione di questi enti.
Per il momento all’indomani dell’entrata in vigore del testo unico si registra
un passo indietro del legislatore attraverso una operazione di nuovo
accentramento da parte dello Stato come risulta dal nuovo assetto di competenze
delineato dal T.U.
5.Conclusioni
Dall’esame di prima lettura dell’articolato normativo del Codice
dell’ambiente recante “Norme in materia di tutela risarcitoria contro i danni
all’ambiente” emergono molteplici tratti problematici. Quelli messi in evidenza
nel presente contributo, è che emerge un dato del tutto incontestabile: un
passo indietro del legislatore in materia di danno ambientale che non si
esclude avrà come conseguenza una ulteriore revisione di tutta la neonata
normativa ambientale. Innanzi tutto preoccupazioni di cassa oscurano i veri
intenti cui avrebbe dovuto perseguire il legislatore in conformità alle
impostazioni di matrice comunitaria, e la prova evidente e lampante risiede
nella disciplina ambientale contenuta in finanziaria 2006. così come
altrettanto chiara appare la volontà di accentrare le competenze in materia di
danno ambientale in capo allo Stato proponendo una disciplina maggiormente ispirata ad una logica
fortemente centralista che azzera le funzioni faticosamente conquistate da
regioni ed enti locali in ordine alle scelte da adottarsi nel loro territorio.
Avv. Antonella Robustella – dottoranda in Diritto Amministrativo “
La programmazione negoziale per lo sviluppo e la tutela del territorio” –
Facoltà di Giurisprudenza – Università Federico II
[1] Il T.U. Ambiente è stato firmato dal Presidente della Repubblica il 3 Aprile scorso è stato pubblicato nel supplemento ordinario della G.U. n.88 il 14.05.2006.
[2] Si tratta della legge del 15/12/2004 recante Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione in G.U.27/12/2004 n. 301.
[3] L'apparato sanzionatorio non è stato variato rispetto al passato in quanto la delega non prevedeva modifiche di questo capitolo. Impegni maggiori sulle fonti rinnovabili con priorità nel dispacciamento ed interventi finanziari per incentivare l'energia rinnovabile al Sud, soprattutto per raggiungere gli obiettivi di Kyoto
[4] Il legislatore, infatti, non affronta il problema per esempio delle aree protette, dell’inquinamento acustico, né dell’energia, materie previste nella legge delega n.308/2004, che a ben vedere risulta notevolmente ampia tanto da stabilire che il riordino, il coordinamento, e l’integrazione delle disposizioni legislative avvenisse attraverso uno o più decreti legislativi.
[5] Legge 15/12/2004 n.308 recante la delaga al Governo per il riordino, il coordinamentoe l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione, in G.U. 27/12/2004
[6] Legge 23/12/2005 n.266 in G.U.del 29 dicembre 2006
[7] Si rammenta che il principale criterio ispiratore della direttiva del parlamento e del consiglio europei (2004/35/Ce)e quello della prevenzione e riparazione del danno ambientale attraverso il principio del “chi inquina paga”. Di tal che cade sugli operatori la responsabilità dei danni provocati dalla loro attività. L’intento è senz’altro quello di creare uno stimolo per indurre i soggetti coinvolti ad adottare misure volte a sviluppare pratiche per indurre al minimo i rischi.
[8] Direttiva del 21/04/2004 n.35, pubblicata in G.E.del 30 aprile 2004 n.143.
[9] Tale fondo servirà a finanziare in via anticipata anche gli interventi urgenti di disinquinamento, bonifica e ripristino ambientale nonché altri interventi per la protezione dell’ambiente e del territorio (art.449)
[10] Si tratta del D.Lgs 22/1997.