FUNZIONAMENTO DEI CONTROLLI
INTERNI
DI REGOLARITÀ
AMMINISTRATIVA E CONTABILE
DELLE PROVINCE CALABRESI
(Nota alla Relazione di sintesi della Sezione regionale di
controllo della Corte dei conti
per la Calabria,
Adunanza pubblica del 18 luglio 2005 .
di Michela Condemi
Quello dei controlli interni negli Enti
locali è un argomento di grande rilevanza giuridica sia sotto il profilo
teorico, sia sotto l’aspetto pratico. E ciò principalmente dopo l’entrata in
vigore della legge costituzionale n. 3 del 2001, modificativa del Titolo V
della Carta fondamentale della Repubblica.
Tale legge è venuta ad impingere anche
sul sistema dei controlli, ivi compresi quelli di regolarità amministrativa e
contabile, su cui la Sezione calabrese della Corte dei conti si è pronunciata
con la relazione avanti indicata.
Comunque, su questo tema già la stessa
Corte dei conti si era in parte espressa con alcune delibere della Sezione
centrale di controllo intestata alle “Autonomie”.
Anche in dottrina non pochi autori si
sono interessati dell’argomento; ma la ricostruzione sistematica dell’istituto
giuridico in questione, operata dalla Sezione calabrese della Corte, si
appalesa, ad avviso della scrivente, la più rispondente alla normativa vigente.
Essa parte da una premessa, nella quale
è affermato che “dopo l’entrata in vigore del testo unico n. 267 del 2000
(T.U.EL.) e, soprattutto, della legge costituzionale n.3 del 2001, la Corte dei
conti, allo scopo di avere elementi utili per la redazione dei propri referti
concernenti le valutazioni sul funzionamento dei controlli interni negli enti
locali – ivi compreso quello di regolarità amministrativa e contabile – ha
inviato un questionario agli enti medesimi affinché indicassero, tra l’altro,
gli organi esercitanti quest’ultimo tipo di controllo.
Le risposte pervenute hanno suscitato
non poche perplessità per le differenti soluzioni adottate.
Infatti, taluni hanno indicato
l’ufficio di ragioneria, altri il responsabile del servizio finanziario, oppure
il segretario generale, altri ancora i revisori dei conti.
Insomma, si è constatata una grande
difformità di orientamenti (certamente non voluta dal legislatore)
relativamente ad un profilo molto importante nel sistema dei controlli; vale a
dire, proprio quello concernente l’accertamento della legittimità e della
correttezza dell’azione amministrativa, il quale dopo l’abrogazione espressa
dell’art. 130 della Costituzione – e, quindi, la cancellazione dei Comitati
regionali di controllo quali organi di controllo esterno di legittimità –,
risultava forse il più pregiudicato”.
Ciò premesso, la Sezione mette in
evidenza che la propria “relazione è articolata in due parti: la prima, di
carattere generale, la quale – comune a tutti gli enti presi in considerazione
– tratta dei controlli interni con riferimento alla disciplina vigente,
lumeggiando la sua genesi e le sue finalità; la seconda, di carattere speciale,
concerne l’attività e gli interventi degli organi di controllo di regolarità
amministrativa e contabile, e, quindi, espone dati, valutazioni, giudizi e suggerimenti
singolarmente per ciascuno di essi”.
In questa sede la seconda parte della
relazione a noi non interessa, per cui fermiamo la nostra attenzione soltanto
sulla prima, atteso che essa attiene più specificamente alle problematiche
giuridiche, ed esamina in forma approfondita il sistema dei controlli interni
referenti.
La Sezione sostiene, infatti, che per
“avere piena intelligenza di tale nuovo sistema, si ritiene opportuno, in breve
sintesi, spendere alcune considerazioni in ordine al quadro normativo di
riferimento o, quanto meno, alla vera essenza del cambiamento.
Anzitutto, giova porre mente al fatto
che, nell’ultimo decennio, si è assistito allo svolgimento di un processo di
riforma che ha trovato i principali elementi ispiratori già nel 1993 con il D.
lgs. n. 29, con il quale, unitamente ad altre norme sopravvenute, venivano
affermati i principi:
a) della separazione tra politica ed
amministrazione;
b) della cultura del risultato;
c) della previsione delle
responsabilità coniugate con i principi di efficienza, efficacia ed economicità
dell’azione amministrativa;
d) della gestione per obiettivi;
e) dell’introduzione di controlli non
solo formali;
f) della valutazione dell’azione e
dell’operato dei dirigenti.
In sostanza, si è venuto ad accreditare
un modello che, superando quello dell’amministrazione per atti, tendesse all’effettiva
realizzazione dei risultati, mettendo in campo un sistema di valutazioni volto
a verificare il conseguimento degli obiettivi prefissati, non trascurando, nel
contempo, di attuare il modello della responsabilità dirigenziale.
In siffatto quadro normativo è venuta a
incidere marcatamente la legge costituzionale n. 3 del 2001, la quale, per quel
che qui interessa, ha recato, tra l’altro, due novità di grande momento:
1) con il novellato art. 114 della
Costituzione ha posto sullo stesso piano le c.d. cinque basi territoriali della
Repubblica, e cioè: Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni e Stato;
2) per quanto riguarda i vecchi
controlli, ha fatto venir meno le commissioni statali di controllo ed i
CO.RE.CO. (rispettivamente ex artt. 125 e 130 della Costituzione, ormai
abrogati); organi, entrambi che, nell’ordito della nuova Carta della
Repubblica, non potevano più aver ragione d’essere, essendo i predetti enti
territoriali legati tra loro da un rapporto di equiordinazione.
Pertanto, per tali enti, divenuti
pienamente autonomi, non era possibile, stricto iure, ammettere
controlli esterni da parte di organi di emanazione di altri enti che con quello
avevano (ed hanno) pari dignità costituzionale.
Ne è scaturito, di conseguenza, che il
profilo della legalità dell’azione amministrativa è rimasto appannaggio degli
organi interni a ciascun ente, che lo attuano in forma referente.
L’esercizio di tale tipo di controllo è
caratterizzato da tre fasi tra loro coordinate:
a) una fase di accertamento (o verifica),
concomitante all’azione degli organi di amministrazione attiva;
b) una fase valutativa di fatti e
comportamenti posti in essere da tali organi;
c) un’ultima fase consistente nella
redazione di una relazione sui predetti fatti e comportamenti, diretta all’organo
volitivo (o politico) dell’ente.
Quest’ultima fase conclude l’articolato
iter del controllo di regolarità amministrativa e contabile e fornisce la vera
sostanza di tale tipo di controllo, al quale dà – ci si passi l’espressione –
calore, sapore e qualificazione.
La cennata relazione, che accompagna il
rendiconto approvato dalla Giunta, viene rassegnata nelle mani del Consiglio,
il quale è l’organo dell’ente competente ad effettuare l’approvazione finale e
definitiva del rendiconto medesimo.
In sostanza, si è in presenza del c.d. diritto
di bilancio, il quale può essere enucleato in alcune proposizioni di facile
comprensione. E cioè: una porzione del popolo sovrano, rappresentata dal
Consiglio dell’Ente locale, approva con delibera il bilancio preventivo,
autorizzandone la gestione; la Giunta gestisce tale bilancio (cioè riscuote le
entrate ed eroga le spese) nei limiti e nei termini indicati dalla stessa
delibera approvativa ed autorizzativa; la gestione, per il profilo che qui
interessa, è verificata dall’organo di controllo di regolarità amministrativa e
contabile, il quale con una sorta di “parificazione” certifica “la
corrispondenza del rendiconto alle risultanze della gestione” (art. 239, comma
1 lettera d, del T.U. 267 del 2000), e riferisce al Consiglio i risultati a
consuntivo del controllo eseguito; lo stesso Consiglio approva con delibera il
rendiconto anche sulla base delle valutazioni contenute nella citata relazione,
redatta dal predetto organo di controllo.
Il circuito quindi si chiude: ciò che è
nato dal potere popolare a questo infine viene ricondotto: sempre in termini di
rappresentanza, s’intende”.
È di facile intuizione che quello di
regolarità amministrativa e contabile è un controllo di tipo referente. Esso,
diversamente dagli altri modelli di controllo – che generalmente producono come
diretta conseguenza una “misura” che va ad incidere sull’atto o sull’attività
controllata – ha solamente un effetto indiretto. Si potrebbe parlare di uno
strumento di conoscenza. Parte della dottrina e della giurisprudenza lo
definiscono, appunto, “controllo conoscenza”.
La Sezione della Corte dei conti per la
Calabria sostiene che “il controllo referente non è altro che la dilatazione di
altri controlli, e il suo connotato essenziale si appalesa come la funzione
tipica dell’ausiliarietà”.
In tale attività ausiliaria è
rinvenibile un rapporto strutturale tra il controllo e il referto, in modo che
non può esserci questo senza quello, tanto da potersi affermare che in certe ipotesi
il referto rappresenta un aspetto ulteriore del controllo, quasi
un’ultrattività di questo dopo l’esaurirsi del momento proprio della sua
funzione.
Ciò posto, giova evidenziare che i
controlli interni disciplinati dal decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 286,
appartengono proprio a questo tipo di controlli.
Infatti, il comma 6 dell’art. 1 di
detto decreto dispone che gli addetti a tali controlli “riferiscono sui
risultati dell’attività svolta”.
Essi, comunque, non pongono in essere
atti di gestione.
Il loro è un monitoraggio costante e
completo che sfocia in un giudizio finale e globale sull’oggetto delle loro
indagini.
Essi costituiscono strutture dell’ente
pubblico, al quale sono giuridicamente incardinate da un rapporto in tutto e
per tutto assimilabile a quello di servizio – a cui sono connesse le relative
responsabilità – per l’instaurazione del quale hanno scarso o punto rilievo le
modalità della loro provvista.
Orbene, ciò considerato, occorre
evidenziare che il primo dei controlli interni – per così dire di nuova generazione
– vide la luce con la legge n.142 del 1990, e precisamente con il comma 9
dell’art. 57, che, inserito tra le norme riguardanti la “revisione
economico-finanziaria” degli enti locali, disponeva che lo statuto potesse
‘prevedere forme di controllo economico interno della gestione””.
E l’attenzione primaria della Sezione,
con la Relazione di sintesi approvata il 18 luglio 2005, è stata, appunto,
dedicata proprio all’organo di revisione economico-finanziaria, cioè ai
revisori dei conti.
Proseguendo nella sua disamina, la
Sezione medesima, soffermandosi sui compiti dei revisori dei conti, ha
affermato che “tra le più importanti funzioni intestate ai revisori dei conti
rivestono fondamentale importanza i controlli contabili, quelli di legittimità
e, in parte, quelli di buon andamento”.
Come dire l’ampio campo d’applicazione,
in sede di verifica, dell’art. 97 della Costituzione.
Non solo, ma i revisori medesimi sono
tenuti a svolgere la funzione certificativa della ‘corrispondenza del
rendiconto alle risultanze della gestione (art. 239, comma 1, lettera d) del
T.U. 267 del 2000).
Ancora, di non minore importanza –
anche perché permea di sé tutte le funzioni dei revisori – è “l’attività di
collaborazione con l’organo consiliare secondo le disposizioni dello Statuto e
del regolamento” (art. 239, comma 1, lettera a) del T.U.). Subito dopo, alla
lettera b), è previsto l’intervento consultivo degli stessi revisori
sull’intera attività che l’Ente locale, in sede di previsione, dichiara di
voler svolgere nell’esercizio finanziario preso in considerazione. Vale a dire,
tutti gli atti programmatori della gestione, in particolare:
1. il bilancio annuale di previsione;
2. la relazione previsionale e
programmatica, che, allegata al bilancio, deve riguardare un arco di tempo pari
a quello della Regione di cui l’Ente fa parte e comunque temporalmente non
inferiore a tre anni;
3. gli allegati, elencati nell’art. 172
del Testo unico.
I revisori devono essere consultati
anche in ordine alle variazioni di bilancio.
Comunque, nei loro pareri essi devono
esprimere “un motivato giudizio di congruità, di coerenza e di attendibilità
contabile delle previsioni di bilancio e dei programmi e dei progetti, anche
tenuto conto del parere espresso dal responsabile del servizio finanziario ai
sensi dell’art. 153 (del Testo unico), delle variazioni rispetto all’anno
precedente, dell’applicazione dei parametri di deficitarietà strutturale e di
ogni altro elemento utile”.
“Trattasi, come è evidente, di
un’attività consultiva che investe tutta la gestione dell’ente in ogni suo
singolo settore, e i relativi pareri sono obbligatori. Con essi vengono
‘suggerite all’organo consiliare tutte le misure atte ad assicurare
l’attendibilità delle impostazioni”. E l’organo consiliare “è tenuto ad
adottare i provvedimenti conseguenti o a motivare adeguatamente la mancata
adozione delle misure proposte” dai revisori. Gli stessi revisori (cfr. art.
239, comma 1, lett. d) devono redigere anche “una relazione sulla proposta di deliberazione
consiliare di rendiconto della gestione e sullo schema di rendiconto”.
Tale relazione- che com’è noto, deve
contenere la citata “attestazione sulla corrispondenza del rendiconto alle
risultanze della gestione, nonché rilievi, considerazioni e proposte tendenti a
conseguire efficienza, produttività ed economicità della gestione” – chiude il
circuito della verifica sull’attività gestoria, nel senso che questa, iniziata
con l’atto previsionale, termina con il rendiconto finale.
L’organo di revisione
economico-finanziaria deve, inoltre, con cadenza trimestrale provvedere, ai
sensi dell’art. 233 del Testo unico, alla verifica ordinaria di cassa, alla
verifica della gestione del servizio di tesoreria e di quello degli altri
agenti contabili.
Pertanto, qui si appalesa evidente come
i revisori abbiano anche rapporti esterni, nel senso che l’Ente, per loro
tramite, opera all’esterno. Come verso l’esterno gli stessi revisori agiscono
direttamente quando denunciano le gravi irregolarità riscontrate nella
gestione; irregolarità di cui danno notizia, oltre che al Consiglio, ‘pure ai
competenti organi giurisdizionali ove si configurino ipotesi di responsabilità
‘ (art. 239,comma 1, lett. e) stesso Testo unico).
Inoltre si ritiene opportuno
sottolineare che il successivo comma 6 sancisce che lo Statuto dell’ente locale
può prevedere ampliamenti delle funzioni affidate ai revisori.
Occorre ancora rammentare che ulteriori
e importanti funzioni sono state assegnate agli organi di revisione da leggi
emanate successivamente all’entrata in vigore del più volte citato Testo Unico,
quali ad esempio:
1. il comma 6 dell’art. 24 della legge
448 del 2001, per il quale gli atti relativi “all’acquisto di beni e servizi”
devono essere “trasmessi ai rispettivi organi di revisione contabile per
consentire l’“esercizio delle funzioni di controllo” per i fini dalla stessa
norma previsti;
2. i commi 16 e 17 dell’art. 29 della
legge 289 del 2002, in forza dei quali “il collegio dei revisori verifica il
rispetto delle norme sul patto di stabilità, con la possibile responsabilità
personale dei componenti del Collegio””.
La Corte dei conti si è pure soffermata
ad esaminare la normativa vigente in materia di verifiche contabili e di
legittimità.
Essa sostiene che “in proposito, è
molto chiara la norma contenuta nell’art. 1, comma 1, del Decreto legislativo
30 luglio 1999, n. 286, laddove è precettivamente indicato, al punto a), che le
amministrazioni pubbliche devono dotarsi di strumenti adeguati a garantire la
legittimità, la regolarità e correttezza dell’azione amministrativa che, come è
noto, costituiscono i profili fondamentali del controllo di regolarità
amministrativa e contabile; controllo che, in base alle norme vigenti, deve
ritenersi attribuito – come si vedrà meglio appresso – all’organo di revisione
economico finanziaria e non ad altri.
Siffatto organo, sempre secondo le
leggi vigenti, si avvale anche dei risultati degli atti, delle attività e dei
comportamenti di altri organi interni, alcuni dei quali svolgono pure verifiche
e controlli di vario genere.
Sennonché, queste ultime attività,
anche se nel sistema dei controlli sono di grande utilità ai fini della
corretta e regolare gestione, non valgono a far attribuire agli organi che le
compiono la qualifica di organo di controllo interno di regolarità
amministrativa e contabile, inteso nel significato espresso dal legislatore
nell’art. 147 del T.U. 267 e nell’art. 2 del d.lgs. 286. E ciò per parecchie e
diverse ragioni. Le quali, viceversa, convergono tutte univocamente
all’individuazione della funzione di cui trattasi in capo ai soli revisori dei
conti. Almeno per quanto riguarda gli enti locali”.
La stessa Corte dei conti osserva,
infatti, che:
“1. il comma 1 dell’art. 2 del citato
D.lgs. 286, che contiene una norma di carattere generale per tutti i comparti
della pubblica amministrazione, individua (in particolare ed in via
esemplificativa) quali organi di controllo di regolarità amministrativa e
contabile “gli organi di revisione” (ovviamente là dove esistano), “ovvero” (in
mancanza) “gli uffici di ragioneria, nonché i servizi ispettivi”, ecc..
Infatti, l’espressione lessicale “ovvero” contenuta nella norma non ha valore
esplicativo (nel senso di cioè o di ossia), bensì disgiuntivo (nel senso di
oppure);
2. numerosi altri organi effettuano
verifiche e controlli di vario genere nell’ambito dell’Ente locale, ma si
tratta sempre di fatti o atti costituenti sequenze tipiche di procedimenti
amministrativi, relativi non ad attività ma a singoli atti, come ad esempio:
a. per taluni provvedimenti, ‘il parere
in ordine alla sola regolarità tecnica del responsabile del servizio
interessato e, qualora comporti impegno di spesa o diminuzione di entrata, del
responsabile di ragioneria in ordine alla regolarità contabile (art. 49 del T.U
267).
b. l’assistenza
giuridico-amministrativa del segretario comunale nei confronti degli organi
dell’Ente (art. 97 dello stesso testo unico).
Nelle succitate ipotesi trattasi di
interventi endoprocedimentali che conducono infine ad un provvedimento
amministrativo;
c. del pari fa parte del singolo
procedimento amministrativo (fase c.d. “di integrazione dell’efficacia”)
l’intervento del responsabile del servizio finanziario ai fini dell’apposizione
del visto di “regolarità contabile attestante la copertura finanziaria”
relativamente all’esecutività dei provvedimenti adottati dai responsabili di
altri servizi e comportanti impegni di spesa (art. 151). Nella fattispecie il
responsabile del servizio finanziario ha un potere di controllo solo in ordine
al profilo finanziario del provvedimento e non anche a quelli possibili di
legittimità dello stesso, che rimangono nella totale responsabilità del
titolare del servizio che tale provvedimento ha adottato. Solo dopo intervenuta
l’attestazione, l’atto di base diventa esecutivo;
d. né può essere considerato organo di controllo
interno di regolarità amministrativa e contabile (secondo lo spirito e la
lettera dei citati art. 2 del d.lgs. 286 e art. 147 del T.U.) qualsiasi
dirigente che controlli il proprio operato o quello dei suoi sottordinati
collaboratori, ai sensi dell’art. 107 dello stesso testo unico. Ciò rientra nei
suoi compiti di gestione, dato che egli deve conoscere e migliorare il settore
cui è preposto. Questo è il presupposto ed il principio guida del suo stesso
operare e del bene amministrare. Quindi il solo fatto che ad un organo si
attribuisca l’esercizio di una funzione comporta che esso debba attrezzarsi e
organizzarsi in guisa che il servizio che gli viene richiesto sia il migliore
possibile con il minor dispendio di risorse e nel pieno rispetto della legalità.
Fin qui sono state esaminate ipotesi
che si riferiscono a fasi del procedimento amministrativo, oppure a
provvedimenti che sotto vari profili vengono verificati e controllati in sede
preventiva, prima cioè che essi abbiano cominciato a (o terminato di) produrre
gli effetti che sono loro propri.
Pertanto, si è al di fuori della
previsione normativa, la quale – nella ‘ratio’ del decreto legislativo 286 –
esige che il controllo di regolarità amministrativa e contabile, ancorché
fondato su verifiche concomitanti al dispiegarsi dell’azione amministrativa,
debba conclusivamente svolgersi in via successiva (art. 2, comma 3, del
predetto d.lgs. 286)”.
In aggiunta alle considerazioni fin qui
svolte, la Sezione di controllo della Corte dei conti per la Calabria ne
evidenzia delle altre che non hanno certo minor pregio.
Essa, infatti, osserva che “se per pura
ipotesi si volesse prescindere dalle considerazioni fin qui svolte, non si può
non osservare che, in base al testo unico 267, gli altri organi o uffici dell’Ente
locale (diversi dai revisori) non sarebbero in grado di svolgere in maniera
esaustiva il controllo di regolarità amministrativa e contabile, in quanto
mancherebbe loro la visione complessiva dei fatti gestori, né avrebbero titolo
a procurarsi, nei diversi uffici attraverso cui opera l’Ente, notizie, atti e
documenti indispensabili per svolgere la funzione di controllo. In ben altra
posizione, invece, si trovano i revisori, i quali, come è noto, sono i diretti
intestatari della funzione di “vigilanza sulla regolarità contabile,
finanziaria ed economica della gestione relativamente all’acquisizione delle
entrate, all’effettuazione delle spese, all’attività contrattuale,
all’amministrazione dei beni, alla completezza della documentazione, agli
adempimenti fiscali e alla tenuta della contabilità” (art. 239, comma 1, lett.
c) del testo unico).
Pertanto, è di facile intelligenza che
si è in presenza di tutta l’attività gestoria relativa al bilancio, visto che
la vigilanza riguarda, tra l’altro, sia le entrate che le spese nella loro
totalità. È per queste ragioni che lo stesso Testo Unico, al comma 2 del
medesimo art. 239, dispone che “al fine di garantire l’adempimento delle
funzioni … l’organo di revisione ha diritto di accesso agli atti e documenti
dell’ente”. Inoltre, ai sensi della stessa disposizione normativa, può
“partecipare all’assemblea dell’organo consiliare per l’approvazione del
bilancio di previsione e del rendiconto di gestione”, nonché a tutte le altre assemblee
dello stesso organo. Infine, se previsto dallo statuto dell’Ente, può altresì
partecipare alle riunioni della Giunta. Non solo, ma è pure normativamente
disposto che all’organo di revisione siano trasmessi “da parte del responsabile
del servizio finanziario, le attestazioni di assenza di copertura finanziaria
in ordine alle delibere di impegni di spesa”.
Occorre ancora aggiungere che i singoli
componenti dell’organo di revisione collegiale hanno diritto di eseguire
ispezioni e controlli individuali.
Da quanto fin qui esposto si evince come
da un’interpretazione sistematica delle norme del testo unico 267 del 2000, del
d. lgs. 286 del 1999, della legge n. 20 del 1994, della legge n. 51 del 1982,
della legge costituzionale n. 3 del 2001 e, da ultimo, della legge n. 131 del
2003, in materia di controllo interno negli Enti locali i revisori dei conti
sono i soli chiamati a svolgere la funzione di controllo di regolarità
amministrativa e contabile. Se tale compito fosse anche assegnato ad altri
organi, si avrebbe la violazione del principio del ne bis in idem, dato
che si potrebbero avere valutazioni e giudizi difformi sul medesimo oggetto.
Orbene, tale quadro normativo può in
prosieguo di tempo subire delle modifiche, atteso che l’art. 2 della citata
legge n. 131 del 2004 (legge La Loggia), avendo previsto una specifica delega
al Governo per la revisione e l’adeguamento del testo unico sugli enti locali
ai nuovi principi costituzionali, introdotti dalla predetta legge
costituzionale n. 3 del 2001, ed avendo stabilito tra i principi e criteri direttivi
l’obbligo di attribuire alla competenza statutaria dei medesimi Enti locali il
potere di “individuare sistemi di controllo interno, al fine di garantire il
funzionamento dell’ente secondo criteri di efficienza, efficacia ed economicità
dell’azione amministrativa”, quando ciò sarà avvenuto, il sistema dovrà essere
riconsiderato sotto una nuova luce”.
Pertanto,
spetta agli Enti interessati provvedere all’inserimento nei loro statuti di
regole autonome disciplinanti sistemi di controllo interno finalizzati
sostanzialmente all’applicazione dei principi contenuti nell’art. 97 della Costituzione;
vale a dire, a dare concretezza alla legalità e al buon andamento nella
gestione della cosa pubblica.
Del
resto, il potere in capo agli Enti locali di darsi siffatte regole scaturisce
anche – se non soprattutto – dal principio di autonomia che a tali enti è accordato
dagli artt. 5 e 114 della Costituzione.