FUNZIONI E
RESPONSABILITÀ
DEI REVISORI DEI CONTI
PUBBLICI
NEL CONTESTO
DELL’EVOLUZIONE
NORMATIVA E GIURISPRUDENZIALE
di Paolo Luigi Rebecchi
Sommario: Premessa:
una decisione del Consiglio di Stato; Evoluzione del sistema dei controlli
interni alle pubbliche amministrazioni. I controlli di regolarità
amministrativa e contabile. I principi contabili. Competenze dei revisori dei
conti negli enti pubblici e negli enti locali. Le speciali competenze
attribuite dai provvedimenti di contenimento della spesa pubblica (in
particolare su patto di stabilità, debiti fuori bilancio e consulenze esterne).
Obblighi di denuncia. Rapporto di servizio. La responsabilità secondo l’art.
240 TUEL. Cenni alla responsabilità civile verso terzi. La responsabilità amministrativo
contabile. Giurisprudenza della Corte dei conti in tema di responsabilità
amministrativa dei revisori dei conti negli enti pubblici.
1. Il Consiglio di Stato, con la sentenza
n. 5099 del 14 luglio 2004 ha avuto modo di precisare il ruolo dei revisori dei
conti nell’ambito degli enti locali. In particolare la decisione è venuta a
definire una controversia in tema di incompatibilità fra più incarichi
ricoperti da un revisore dei conti sia presso l’ente provincia, sia in più
comuni ubicati nello stesso ambito territoriale. La sentenza ha anche affermato
che “Nel sistema previsto dagli articoli 55 e 56 della legge 8 giugno 1990,
n. 142, i compiti attribuiti ai revisori dei conti vanno ben oltre quello, tradizionale,
di attestazione della corrispondenza del rendiconto alle risultanze di
gestione, comprendendo anche la collaborazione con l’attività del consiglio
comunale, rispetto al quale la funzione del revisore dei conti si atteggia di
volta in volta ad organo di consulenza, sotto il profilo tecnico-contabile; di
controllo, rispetto all’attività degli organi esecutivi; di indirizzo, in
relazione all’adozione dei piani e dei programmi che richiedono un impegno
finanziario; di vigilanza sulla regolarità della gestione e di impulso, in
relazione alla facoltà di formulare rilievi e proposte tendenti ad una migliore
efficienza, produttività ed economicità”[1].
Tali affermazioni, nel
ricapitolare quanto previsto nelle disposizioni normative che regolano ruoli e
competenze dei revisori dei conti negli enti locali, confermano le precisazioni
costantemente fornite dalla Corte dei conti su dette peculiari funzioni di cui
la sua giurisprudenza ha anche indicato i limiti ed i presupposti delle
relative responsabilità.
2. Esse vengono peraltro a situarsi nel
contesto di trasformazione del sistema dei controlli interni delle pubbliche
amministrazioni e della stessa responsabilità amministrativa.
Al riguardo va
preliminarmente richiamato il D.P.R. 27 febbraio 2003, n. 97, pubblicato sulla
G.U., serie gen., n. 103 del 6 maggio 2003, con il quale è stato emanato il
nuovo “Regolamento concernente l’amministrazione e la contabilità degli enti
pubblici istituzionali di cui alla legge 20 marzo 1975, n. 70”.
Il provvedimento
costituisce il nuovo testo di riferimento dell’ordinamento finanziario e
contabile degli enti pubblici non economici di cui alla legge n. 70/1975 e
comporta il superamento del previgente regolamento approvato con il d.p.r. 18
dicembre 1979, n. 696. Le nuove disposizioni, che si prefiggono di armonizzare
i sistemi contabili degli enti pubblici e delle altre amministrazioni secondo
quanto stabilisce la legge n. 208/1999 e tendono, tra l’altro ad avvicinare,
anche in materia di revisione gli impianti contabili pubblici ai principi
civilistici ed a quelli adottati dai consigli nazionali dei dottori
commercialisti e dei ragionieri e dagli organismi internazionali, risultano
sotto tale profilo particolarmente innovative rispetto alle scarne previsioni
contenute nel d.p.r. 696/1979 e appaiono costituire un punto di sintesi dell’evoluzione
normativa, giurisprudenziale e dottrinale nella materia dei controlli interni
nelle pubbliche amministrazioni.
Esse seguono il d.lgs. 30
luglio 1999 n. 286, (“Riordino e potenziamento dei meccanismi e strumenti di
monitoraggio e valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati
dell’attività svolta dalle amministrazioni pubbliche, a norma dell’art. 11
della legge 15 marzo 1997, n. 59”) costituente la attuale disciplina generale
in tema di controlli interni alle p.a. a seguito delle riforme normative
iniziate con la legge 241/1990 e dirette al miglioramento dell’economicità,
efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa[2].
Può essere interessante
constatare[3]
come dallo studio storico dell’evoluzione dell’amministrazione italiana, le
esigenze di valutazione dei costi e dei rendimenti siano state sempre presenti
e siano state attuate con vari strumenti di misurazione quantitativa e
statistica. L’attuale assetto dei controlli pertanto, non costituisce una
totale ““invenzione”” dei tempi nuovi, ma il risultato di un processo
evolutivo.
Il decreto, ha in
particolare innovato l’originaria previsione di un “servizio di controllo
interno” introdotta dall’art. 20 del decreto legislativo n. 29 del 1993[4].
Tale disciplina aveva[5]
“…evidenziato nel tempo due fondamentali lacune: la prima, derivante
dall’affidamento del controllo interno ad un organo unico, incapace di tener
conto delle differenti caratteristiche e finalità che presentano i controlli a
seconda dell’oggetto e del livello al quale vengono esercitati (vedi a d
esempio supporto all’organo di direzione politica e controllo di gestione
propriamente detto); la seconda causata dalla tendenza delle amministrazioni ad
avvalersi di queste strutture per svolgere compiti ispettivi o di verifica
della legalità dell’azione amministrativa, così frustrando la diversa finalità,
propria dell’organo di controllo gestionale, di valutazione della rispondenza
complessiva dell’azione amministrativa agli obiettivi programmati. La normativa
inoltre contraddiceva la premessa dell’autonomia di dette strutture con la
collocazione delle stesse “”alle dipendenze dell’organo politico””…”.
Il d.lgs. 286/99 ha
previsto la istituzione,nell’ambito delle pubbliche amministrazioni, secondo la
rispettiva autonomia (art. 1 comma 1) di “…strumenti adeguati a: a) garantire
la legittimità, regolarità e correttezza dell’azione amministrativa (controllo
di regolarità amministrativa e contabile); b) verificare l’efficacia,
efficienza ed economicità dell’azione amministrativa al fine di ottimizzare,
anche mediante tempestivi interventi di correzione, il rapporto tra costi e
risultati (controllo di gestione);c) valutare le prestazioni del personale con
qualifica dirigenziale (valutazione della dirigenza); d) valutare l’adeguatezza
delle scelte compiute in sede di attuazione dei piani, programmi ed altri
strumenti di determinazione dell’indirizzo politico, in termini di congruenza
tra risultati conseguiti e obiettivi predefiniti (controllo strategico)…”.
Il legislatore[6]
al fine di superare gli elementi di criticità evidenziati nella originaria
strutturazione dei controlli interni, ha pertanto provveduto a “…individuare
distintamente le attività da demandare alle strutture di controllo interno,
prevedere l’affidamento di dette attività a strutture diverse, fissare principi
organizzativi, criteri di incompatibilità tra le diverse funzioni di controllo
interno, evitando la confusione fra controlli collaborativi e repressivi e
assicurando al tempo stesso la distinzione fra attività di supporto all’indirizzo
politico e quella di miglioramento dell’ordinaria gestione amministrativa.
Nell’applicare i principi di cui si è detto il legislatore ha previsto quattro
tipi di controlli interni (art. 1), individuando forme di collegamento e
raccordo tra le varie modalità del controllo; la normativa è stata recepita per
gli enti locali, con i dovuti adattamenti, dall’art. 147 del testo unico enti
locali approvato con d.lgs. 18 agosto 2000 n. 267…”.
In particolare, mentre gli
artt. 2 e 3 si riferiscono al controllo interno di “regolarità amministrativa e
contabile”, l’art. 4 configura le caratteristiche del “controllo di gestione”[7],
l’art. 5 delinea le modalità di valutazione della dirigenza[8]
e l’art. 6 prevede le attività di “valutazione e controllo strategico”[9].
Uno degli elementi
caratterizzanti della nuova disciplina dei controlli interni è la marcata
differenziazione fra controlli genericamente definibili come “gestionali” (“di
gestione in senso stretto”, valutazione della dirigenza, valutazione e
controllo strategico), per i quali è previsto lo svolgimento “in modo
integrato” (art. 1, comma 2, lettera d) e quelli di regolarità amministrativa e
contabile, per i quali non sono invece previsti effettivi momenti di raccordo
con i precedenti. Vi è anzi un principio opposto, quello di “…assoluta
separazione (art. 1, comma 2, lett. e) della funzione di controllo amministrativa
e contabile dalle altre tre forme svolte in modo integrato. Corollario e integrazione
del principio di separazione del controllo interno di regolarità amministrativa
e contabile dagli altri tre tipi di controllo interno appare quello enunciato
dall’art. 1 comma 6, per cui gli addetti ai controlli “”integrati”” debbono
riferire esclusivamente agli organi preposti alla direzione politica e alla
gestione amministrativa, di tal che essi sono esonerati, per i fatti illeciti
conosciuti nell’ambito di tali funzioni, dall’obbligo di denunzia al Procuratore
della Corte dei conti previsto dall’art. 1, comma 3, legge 14 gennaio n. 20…”[10].
3. Fra le varie tipologie di controllo
interno rilevano ai fini dell’erogazione delle spese, in particolare quelli di
regolarità amministrativa e contabile[11].
Dispone in proposito l’art.
2 del d.lgs. 286/99 che ai controlli interni di regolarità amministrativa e
contabile provvedono gli organi appositamente previsti dalle disposizioni
vigenti nei diversi comparti della pubblica amministrazione, e, in particolare,
gli organi di revisione, ovvero gli uffici di ragioneria, nonché i servizi
ispettivi, ivi compresi quelli di cui all’art. 1, comma 62, della legge 23
dicembre 1996 n. 662[12]
e, nell’ambito delle competenze stabilite dalla vigente legislazione, i servizi
ispettivi di finanza della ragioneria generale dello Stato e quelli con
competenza di carattere generale. Le verifiche di regolarità amministrativa e
contabile devono rispettare, in quanto applicabili alla pubblica
amministrazione, i principi generali della revisione aziendale asseverati dagli
ordini e collegi professionali operanti nel settore. Il controllo di regolarità
amministrativa e contabile non comprende verifiche da effettuarsi in via
preventiva se non nei casi espressamente previsti dalla legge e fatto salvo, in
ogni caso, il principio secondo cui le definitive determinazioni in ordine
all’efficacia dell’atto sono adottate dall’organo amministrativo responsabile.
I membri dei collegi di revisione degli enti pubblici sono in proporzione
almeno maggioritaria nominati tra gli iscritti all’albo dei revisori contabili.
Le amministrazioni pubbliche, ove occorra, ricorrono a soggetti esterni
specializzati nella certificazione dei bilanci”.
Può constatarsi come
l’inclusione dei revisori contabili fra i servizi di controllo “interno” sia
espressamente prevista dal legislatore. Ciò viene a chiarire, almeno con
riferimento alle pubbliche amministrazioni per le quali il d.lgs. 286/99 si
applica senza deroghe, un punto controverso in ordine alla collocazione
“interna” o “esterna” di tali organi.
Circa la natura dei
controlli di regolarità amministrativa e contabile è stato osservato che essi[13]
“…appartengono alla più ampia categoria dei controlli di legittimità[14].
Rispetto ai controlli di legittimità tradizionali si differenziano per
l’oggetto, che riguarda gestioni nel loro complesso piuttosto che singoli
atti…”. Essi “…mirano a garantire la legittimità,la regolarità e la correttezza
dell’azione amministrativa…”[15].
Quanto alla distinzione fra
controlli preventivi o successivi, di legittimità o di merito, si rileva che[16]
“… le esigenze di snellimento e di semplificazione dell’attività amministrativa
hanno ridotto il controllo preventivo ad ipotesi marginali e tassativamente
previste dalla legge (art. 2, comma 3). Detta soluzione ha comportato
l’accentuata recessività del controllo su atti, che per lungo tempo aveva di
fatto monopolizzato la categoria amministrativa del controllo. Analogamente
l’applicazione dei nuovi principi di responsabilità manageriale ha imposto la
soppressione di sovrapposizioni di natura decisionale della struttura di
controllo rispetto al controllato. Per questo motivo, l’art. 2 comma 3
stabilisce che “”in ogni caso …le definitive determinazioni in ordine
all’efficacia dell’atto sono adottate dall’organo amministrativo responsabile””.
Le novità introdotte dal decreto n. 286/99 non possono tuttavia inficiare il
principio di legalità sostanziale dell’agire amministrativo, che, pur non
richiamato nel provvedimento normativo in esame, si ricava direttamente dalla
nostra carta costituzionale, oltre alle più disparate norme di settore.
Nell’organizzazione del sistema dei controlli delle amministrazioni pubbliche
detto principio deve anch’esso ritenersi generale e indefettibile…”.
Si tratta, pertanto, di un
controllo generalmente successivo (si attua dopo che l’atto ha acquisito
efficacia) e comunque non idoneo ad impedire all’organo amministrativo
responsabile di adottare le determinazioni definitive, in conformità alla
disciplina generale fissata dal d.lgs. n. 165/2001 sulle competenze dei
dirigenti (art. 4 comma 2),incentrato sulla verifica della conformità delle
attività amministrative alle norme giuridiche e di contabilità.
Per ciò che attiene agli
aspetti organizzativi la nuova disposizione (art. 2, comma 1)[17]
“…lascia sostanzialmente inalterato l’assetto organizzativo dei controlli di
legalità nei diversi comparti della pubblica amministrazione. Specifica
tuttavia che a detta tipologia di sindacato interno provvedono essenzialmente
gli organi di revisione, gli uffici di ragioneria, i servizi ispettivi, i
servizi ispettivi di finanza della Ragioneria generale dello Stato e quelli con
competenza di carattere generale….”.
Va tuttavia considerato che
la norma sembra evidenziare una ulteriore distinzione, nell’ambito della
medesima tipologia di controlli, fra quelli a carattere genericamente ispettivo
e quelli di revisione contabile. Infatti per i primi non vi sono specifiche
innovazioni, rimandandosi alla disciplina vigente. Viene sottolineato che in
proposito “…l’art. 2 effettua un mero richiamo, senza innovare alcunché in
ordine al suo concreto esercizio. Probabilmente l’unica novità di rilievo
(peraltro non assoluta perché già adottata da buona parte dei servizi ispettivi
attualmente operanti) è il principio della programmazione ricavabile dall’art.
1, comma 2…”.
I servizi ispettivi,
pertanto, mantengono la specifica natura di controlli a carattere eminentemente
repressivo. Si esplicano in[18]
“…azioni di controllo mirato e temporaneo, svolte da un organo di amministrazione
pubblica sull’attività di altri organi della stessa amministrazione (controlli
interorganici) oppure da un’amministrazione statale sull’attività di altre
amministrazioni statali e non statali (controlli intersoggettivi)...”.
I controlli ispettivi vanno
distinti dai controlli gerarchici. “[19]…i
primi sono previsti da una norma organizzativa, i secondi rappresentano una
manifestazione della posizione di sovraordinazione (e non hanno pertanto
bisogno di una esplicita statuizione normativa); i primi sono concentrati
nell’organo deputato, i secondi sono diffusi in tutte le articolazioni
organizzative; i primi rappresentano funzioni autonome (di controllo appunto),
i secondi sono strumentali all’esercizio dei compiti istituzionali delle varie
unità operative; i primi costituiscono “”missioni di scopo”” (terminata la
visita l’ispettore rientra in ufficio) e dovrebbero corrispondere a criteri di
programmazione, i secondi sono svolti con carattere di continuità; i primi si
svolgono nella sede del controllato, i secondi in quella del controllore
superiore gerarchico…”. Sotto il profilo del suo svolgimento, l’attività
ispettiva si configura come un procedimento amministrativo, o meglio come un
“sub-procedimento” istruttorio, di regola preordinato ad acquisire elementi
conoscitivi necessari per lo svolgimento dell’azione amministrativa e per
l’adozione di provvedimenti a rilevanza esterna (compresi le misure a carattere
disciplinare), per il quale vigono le regole generali sul procedimento
amministrativo di cui alla legge 241/1990[20].
Il prodotto dell’ispezione è, in genere, il “verbale di ispezione” o la
“relazione ispettiva” “…con cui si esternano al titolare dell’unità operativa
da cui si dipende (o all’organo di vertice dell’amministrazione) i risultati acquisiti,
integrati da eventuali proposte…”[21].
Per quel che concerne il
controllo di regolarità amministrativa e contabile, diverso da quello ispettivo[22],
la norma introduce il richiamo al rispetto dei principi generali della
revisione aziendale[23]
asseverati dagli ordini e dai collegi professionali operanti nel settore, “in quanto applicabili alla pubblica
amministrazione”. Quest’ultima locuzione[24]
“…non è di facile ed immediata applicazione: in primis perché sia a
livello nazionale che internazionale esistono diversi ed eterogenei documenti
riguardanti la revisione aziendale; in secundis perché proprio dalla
dottrina aziendalistica viene sottolineata la peculiarità dell’azienda pubblica
amministrazione rispetto alle realtà di cui si occupano tradizionalmente gli
ordini e i collegi professionali. Proprio la sostanziale indeterminatezza della
funzione di revisione induce a ritenere che questa attività, sia nella ipotesi
di esecuzione tramite propri funzionari che di affidamento all’esterno, debba
essere predeterminata quanto alle modalità di svolgimento. In particolare la
predeterminazione deve riguardare la qualità e la quantità di controlli
sull’attività amministrativa interessata. Con riguardo alla revisione interna
le valutazioni della Corte si devono concentrare soprattutto sulla
predeterminazione e la congruità dei criteri adottati. Ciò soprattutto nelle
ipotesi, ormai prevalenti, in cui è ammesso effettuare i controlli a campione,
anziché sull’universo della gestione contabile. In questi casi possono essere
adottate tecniche di campionamento di tipo oggettivo o soggettivo. Nel primo
caso costituisce corretto canone deontologico che il campione sia idoneo a
rappresentare statisticamente l’universo della gestione. Nel secondo caso,
caratterizzato da una migliore discrezionalità del controllore, devono essere
resi ostensibili i motivi che inducono a concentrarsi su un settore anziché su altri…”.
Sull’argomento è stato
evidenziato[25] che il controllo
amministrativo contabile non si configura più come mero controllo di
legittimità ma assume una connotazione di una vera e propria attività di
revisione, al fine di attestare la legittimità, regolarità e correttezza
dell’azione amministrativa. Si rileva anche che la professionalità di chi è
chiamato a ricoprire tale ruolo sia una condizione necessaria affinché
l’attività di revisione si riveli effettivamente proficua per la gestione
dell’ente pubblico[26].
Il controllo di “regolarità
amministrativa e contabile” deve essere tenuto distinto dai controlli interni
di gestione e strategico e da quello esterno “”sulla gestione””, i quali hanno
altre finalità[27].
Le principali normative che
disciplinano i controlli amministrativo contabili fanno riferimento sia alla
specificazione di compiti prevalentemente successivi, sia alla descrizione di
altri compiti preventivi o concomitanti l’attività amministrativa.
Il controllo di regolarità
amministrativa e contabile negli enti pubblici comprende infatti, la verifica:-
della conformità alle norme legislative (nazionali e comunitarie) e
regolamentari vigenti;- del rispetto delle norme statutarie e delle
disposizioni contenute negli atti e nelle deliberazioni dei competenti organi
dell’ente;- della conformità ai principi di “”corretta amministrazione”” della
gestione economica e finanziaria dell’ente;-dell’applicazione dei principi
contabili del bilancio di previsione e del rendiconto generale; -della regolare
tenuta della contabilità e della relativa documentazione di supporto; - della
cassa e dell’esistenza di titoli ed altri valori di proprietà o detenuti
dall’ente a titolo di pegno, cauzione o custodia; - della corretta esecuzione
degli adempimenti previsti dalla legge in materia tributaria e previdenziale[28].
4. In questo contesto ci si è chiesti
quali siano i principi di revisione aziendale asseverati dagli ordini e collegi
professionali che potrebbero utilmente essere estesi agli enti pubblici[29].
Si è osservato che “…premesso
che il contesto normativo contabile delle amministrazioni pubbliche non è
omogeneo (ente che vai, norma contabile che trovi), i principi di revisione
privatistici da indagare ai fini di una loro applicazione pubblicistica sono:
a) i principi generali di revisione dell’IFAC – International Federation of
Accountants, ossia gli International Standards of Auditing (ISA’s),
i quali nella normalità dei casi si applicano non solo alle imprese private, ma
anche alle aziende pubbliche; b) i “”Principi di revisione””[30]
approvati e raccomandati dai Consigli nazionali dei dottori commercialisti e
ragionieri[31]; -c) i ““Principi di
comportamento del collegio sindacale”” approvati e raccomandati dai Consigli
nazionali dei dottori commercialisti e dei ragionieri. Tuttavia, non tutti i
principi e gli standards di revisione riguardanti la contabilità ed i bilanci
delle imprese private, possono essere applicati agli enti pubblici…”,
dovendosene di volta in volta valutare la piena o parziale compatibilità.
È stato al riguardo
considerato che la peculiarità dei compiti cui sono chiamati i revisori
nell’ambito della pubblica amministrazione determina che non può parlarsi di
mera “revisione contabile” ma di “revisione pubblica”, in quanto finalizzata
alla tutela e garanzia della stessa collettività che conferisce le risorse
utilizzate dall’ente e pertanto “…appare così evidente come la professionalità
di chi è chiamato a ricoprire tale ruolo sia una condizione necessaria affinché
l’attività di revisione si riveli effettivamente proficua per la gestione
dell’ente pubblico. Le diverse funzioni del revisore pubblico, infatti,
richiedono una preparazione sia tecnico-contabile che giuridica, una sensibilità
sia istituzionale che tecnico-aziendale, un’assunzione di responsabilità sia
del pubblico ufficiale che dell’auditor…”[32].
In considerazione di dette
specificità ed in conseguenza delle previsioni contenute nel d.lgs. 286/1999,
il ministero dell’economia e delle finanze ha proceduto alla pubblicazione di
due documenti (richiamati anche nel già richiamato d.p.r. n. 97/2003),
contenenti indicazioni precise sulle modalità di svolgimento dell’attività
revisionale pubblica: 1) i “Principi di revisione per il controllo di
regolarità amministrativa e contabile negli enti pubblici istituzionali”,
emanato dalla commissione istituita con decreto del ministro del tesoro, del
bilancio e della programmazione economica del 21 ottobre 2000 e prorogata con
decreto del ministro dell’economia e delle finanze del 1° agosto 2001; 2)
l’aggiornamento della “Circolare vademecum per la revisione amministrativo-contabile
negli enti pubblici- 1997” attuato con circolare n. 47 del 21 dicembre 2001.
Per quanto specificamente
attiene ai principi internazionali di revisione che si sono ritenuti
applicabili agli enti pubblici (cfr. anche allegato 17 del d.p.r. 97/2003),
alcuni sono stati individuati, negli ISA 220 (controllo della qualità del
lavoro di revisione contabile), ISA 230 (documentazione del lavoro di
revisione), ISA 230 (frodi ed errori), ISA 250 (effetti connessi alla non conformità
a leggi e regolamenti), ISA 300 (pianificazione del lavoro di revisione), ISA
310 (conoscenza dell’attività dell’amministrazione esaminata), ISA 320
(significatività della revisione), ISA 400 (valutazione del rischio e del controllo
interno), ISA 401 (la revisione contabile in un ambiente di elaborazione
elettronica dei sistemi informativi)[33].
Ad integrazione dei
principi internazionali vanno considerati come detto anche i “Principi di
comportamento del collegio sindacale” approvati dai consigli nazionali dei
dottori commercialisti e dei ragionieri[34].
Essi riguardano le società private (quotate e non) ma vanno tenuti presenti,
anche in considerazione del fatto che numerosi statuti e regolamenti di
organizzazione e funzionamento degli enti pubblici richiamano espressamente,
per la definizione delle competenze dei revisori, le norme civilistiche sul
collegio sindacale (art. 2403 c.c.) e la stessa giurisprudenza della Corte dei
conti ha richiamato tale disciplina in ordine alla responsabilità dei revisori[35].
L’attuazione dei sistemi di
controllo interno nell’ambito delle amministrazioni pubbliche costituisce uno
dei temi sui quali maggiormente si sono soffermate le rilevazioni ed analisi
svolte dalla corte dei conti nell’esercizio delle sue funzioni di controllo
sulla gestione.
Può al riguardo richiamarsi
la deliberazione n. 1/2002 della corte dei conti-sezione autonomie (in www.corteconti.it),
della quale un apposito capitolo è dedicato al “funzionamento dei controlli
interni”, con un’analisi rivolta a tutti i capoluoghi di provincia e ai comuni
superiori ai 60.000 abitanti (con valutazioni espresse in forma aggregata ed
ulteriori approfondimenti, con valutazioni analitiche rivolte a 18 province e
20 comuni, scelti in base ad area geografica e alla popolazione). La relazione
ha evidenziato l’esistenza di situazioni fortemente eterogenee, essendosi
riscontrato che “…a fronte di realtà nelle quali i controlli interni, in
particolare il controllo di gestione e la valutazione dei dirigenti,
rappresentano strumenti consolidati e utilizzati in tutte le loro potenzialità
e, sul fronte opposto, di realtà nelle quali i controlli non sono stati neanche
attuati, se ne registrano altre che hanno attivato i controlli e mostrano
concezioni e livelli attuativi molto differenziati…”.
Per quanto attiene agli
enti locali può osservarsi che il T.U. 267/2000 all’art. 234, risponde in primo
luogo alla questione della “professionalità”, evidenziata nella dottrina prima
citata e sottolineata anche dalla sentenza della sezione regionale piemontese
della corte dei conti di cui si è prima riferito. La norma sulla composizione
dell’organo di revisione economico finanziaria richiede infatti che la nomina
cada su soggetti muniti di specifica competenza e scelti fra iscritti albo dei
revisori contabili, dei dottori commercialisti e dei ragionieri.
5. Le funzioni sono espressamente indicate
all’art. 239 e consistono in:
-attività di collaborazione
con l’organo consiliare secondo le disposizioni dello statuto e del regolamento[36];
-pareri sulla proposta di
bilancio e sulle variazioni di bilancio. Nei pareri è espresso un motivato
giudizio di congruità, coerenza e di attendibilità contabile[37]
delle previsioni di bilancio e dei programmi e progetti, anche tenuto conto del
parere espresso dal responsabile del servizio finanziario ai sensi dell’art.
153, delle variazioni rispetto all’anno precedente, dell’applicazione dei
parametri di deficitarietà strutturale e di ogni altro elemento utile. Nei pareri
sono suggerite all’organo consiliare tutte le misure atte ad assicurare
l’attendibilità delle impostazioni. I pareri sono obbligatori. L’organo consiliare
è tenuto ad adottare i provvedimenti conseguenti o a motivare adeguatamente la
mancata adozione delle misure proposte dall’organo di revisione;
-vigilanza sulla regolarità
contabile, finanziaria ed economica della gestione relativamente
all’acquisizione delle entrate, all’effettuazione delle spese, all’attività
contrattuale, all’amministrazione dei beni, alla completezza della
documentazione, agli adempimenti fiscali ed alla tenuta della contabilità;
l’organo di revisione svolge tali funzioni anche con tecniche motivate di
campionamento;
- relazione sulla proposta
di deliberazione consiliare del rendiconto della gestione e sullo schema di
rendiconto entro il termine, previsto dal regolamento di contabilità e comunque
non inferiore a venti giorni, decorrente dalla trasmissione della stessa
proposta approvata dall’organo esecutivo. La relazione contiene l’attestazione
sulla corrispondenza del rendiconto alle risultanze della gestione nonché
rilievi, considerazioni e proposte tendenti a conseguire efficienza, produttività
ed economicità della gestione;
-referto all’organo
consiliare su gravi irregolarità di gestione, con contestuale denuncia ai
competenti organi giurisdizionali, ove si configurino ipotesi di
responsabilità;
- verifiche di cassa, di
cui all’art. 223. Dispone sempre l’art. 239 (comma 2), che al fine di garantire
l’adempimento di tali funzioni, l’organo di revisione ha diritto di accesso
agli atti e documenti dell’ente e può partecipare all’assemblea dell’organo
consiliare per l’approvazione del bilancio di previsione e del rendiconto di
gestione.
Può altresì partecipare
alle altre assemblee dell’organo consiliare e, se previsto dallo statuto
dell’ente, alle riunioni dell’organo esecutivo. Per consentire la
partecipazione alle predette assemblee, all’organo di revisione sono comunicati
i relativi ordini del giorno. Inoltre all’organo di revisione sono trasmessi:
a) da parte dell’organo regionale di controllo le decisioni di annullamento
nei confronti delle delibere adottate dagli enti locali- (ipotesi ormai
superata, per effetto della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3[38])
; b) da parte del responsabile del servizio finanziario le attestazioni di
assenza di copertura finanziaria in ordine alle delibere di impegni di spesa.
Un’ulteriore competenza, è
stata individuata dal Consiglio di Stato, nel parere reso dalla I sezione in
data 26 novembre 2003, secondo cui, nel quadro della generale soppressione dei
controlli preventivi di legittimità sugli atti degli enti locali, sono comunque
sopravvissute le competenze del prefetto circa la vigilanza sugli atti
contrattuali degli enti (deliberazioni relative ad acquisti, alienazioni
appalti ed in generale a tutti i contratti- art. 135, comma 2 TUEL) al fine di
prevenire l’infiltrazione della criminalità organizzata (art. 16, comma 1 bis,
legge 55/1990), rientranti nella materia dell’ordine pubblico e della sicurezza
(art. 117, lettera h della costituzione). In tal modo il prefetto, pur
escludendosi ormai “che permanga a carico degli enti l’obbligo di inoltro
indifferenziato di tutti i deliberati di impiego di risorse economiche quali
elencati all’art. 135 del d.lgs. 267/2000”, può comunque chiedere, per le
finalità predette, che l’organismo di controllo interno dell’ente esamini
l’atto, chiedendo “in assenza di siffatto sistema di controllo” che sia effettuato
un motivato riesame di legittimità da parte dell’organo che lo ha emesso[39].
L’organo di revisione è
dotato, a cura dell’ente locale, dei mezzi necessari per lo svolgimento dei
propri compiti, secondo quanto stabilito dallo statuto e dai regolamenti. Può
inoltre incaricare della collaborazione, nella propria funzione, sotto la
propria responsabilità, uno o più soggetti aventi i requisiti di cui all’art.
234, comma 2. I relativi compensi[40]
rimangono a carico dello stesso organo di revisione. I singoli componenti
dell’organo di revisione collegiale hanno diritto di eseguire ispezioni e
controlli individuali. Lo statuto dell’ente locale può prevedere ampliamenti
delle funzioni affidate ai revisori.
In sostanza, quindi,
l’attività del collegio dei revisori si esplica in attività di collaborazione, rilascio
di pareri, vigilanza e verifiche[41].
6. Un paragrafo a parte merita ormai la
menzione dei compiti particolari, previsti per i collegi di revisione da varie
disposizioni contenute nei sempre frequenti provvedimenti di contenimento della
spesa pubblica.
Si richiamano al riguardo
la vigilanza sui costi per il personale di cui all’art. 14 della legge
finanziaria per il 2002 e le funzioni di vigilanza ed informazione sul rispetto
delle prescrizioni in tema di atti di riconoscimento di debito, acquisto di
beni e servizi, patto di stabilità, e divieto di indebitamento per finanziare
spese correnti introdotte dagli artt. 23[42],
24 e 30 della legge 289/2002-legge finanziaria per il 2003, nonché, a regime
dall’ art. 11, comma 6-ter della legge 5 agosto 1978, n. 468, aggiunto dalla
legge n. 246/2002, secondo cui “Per gli enti ed organismi pubblici non
territoriali gli organi interni di revisione e di controllo provvedono agli
analoghi adempimenti di vigilanza e segnalazione al parlamento e al ministero
dell’economia e delle finanze”, in tema di corretta applicazione delle disposizioni
di cui all’art. 11 ter, comma 6 bis della stessa legge 468/1978 (efficacia
delle disposizioni comportanti nuove o maggiori spese solo entro i limiti dello
stanziamento autorizzato dallo specifico provvedimento legislativo)[43].
La legge 21 febbraio 2003
n. 27 (“Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 24 dicembre
2002, n. 282, recante disposizioni urgenti in materia di adempimenti comunitari
e fiscali, di riscossione e di procedure di contabilità”) ha previsto, all’art.
9 che “In relazione alle prioritarie esigenze di controllo e di monitoraggio
degli andamenti della finanza pubblica, i collegi di revisione o sindacali
degli enti ed organismi pubblici di cui all’art. 1 comma 2, del decreto
legislativo 30 marzo 2001 n. 165, e successive modificazioni, ad eccezione
delle regioni, delle province, dei comuni e delle comunità montane e loro
consorzi e associazioni, degli enti pubblici non economici regionali e locali,
degli ordini e dei collegi professionali, sono integrati da un componente
nominato dal Ministro dell’economia e delle finanze, senza oneri a carico dello
Stato e degli enti o degli organismi pubblici. Tale disposizione non opera
quando nei collegi di revisione o sindacali dei suddetti enti ed organismi
pubblici è già prevista la presenza di uno o più componenti in rappresentanza
del ministero dell’economia e delle finanze”.
Il decreto legge 12 luglio
2004, n. 168 (in G.U. n. 161 del 12 luglio 2004 - S.O. n. 122/L), convertito
dalla legge 30 luglio 2004, n. 191 (in G.U. n. 178 del 31 luglio 2004 -
S.O. n. 136)- “Interventi urgenti per il contenimento della spesa pubblica”, ha
previsto ulteriori obblighi di comunicazione ed informazione agli organi di
controllo ed alla Corte dei conti in ordine all’attività contrattuale relativa
i beni e servizi ed al conferimento di incarichi professionali e consulenze
(cfr. art. 1 comma 3 bis che integra l’articolo 26 della legge 23 dicembre
1999, n. 488, prevedendo che “… I provvedimenti con cui le amministrazioni
pubbliche deliberano di procedere in modo autonomo a singoli acquisti di beni e
servizi sono trasmessi alle strutture e agli uffici preposti al controllo di
gestione, per l’esercizio delle funzioni di sorveglianza e di controllo, anche
ai sensi del comma 4. Il dipendente che ha sottoscritto il contratto allega
allo stesso una apposita dichiarazione con la quale attesta, ai sensi e per gli
effetti degli articoli 47 e seguenti del decreto del Presidente della
Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, e successive modifiche, il rispetto delle
disposizioni contenute nel comma 3”. Art. 5 – “Dopo l’articolo 198 del testo
unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali di cui al decreto
legislativo 18 agosto 2000, n. 267, è inserito il seguente:- “Art. 198-bis
(Comunicazione del referto). - 1. Nell’ambito dei sistemi di controllo di gestione
di cui agli articoli 196, 197 e 198, la struttura operativa alla quale è assegnata
la funzione del controllo di gestione fornisce la conclusione del predetto
controllo, oltre che agli amministratori ed ai responsabili dei servizi ai
sensi di quanto previsto dall’articolo 198, anche alla Corte dei conti”. Art.
10 “La spesa annua sostenuta nell’anno 2004 dalle pubbliche amministrazioni di
cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, per
missioni all’estero e spese di rappresentanza, relazioni pubbliche e convegni,
deve essere non superiore alla spesa annua mediamente sostenuta negli anni dal
2001 al 2003, ridotta del 15 per cento. Gli atti e i contratti posti in essere,
dalla data di entrata in vigore del presente decreto, in violazione della
disposizione contenuta nel primo periodo del presente comma costituiscono
illecito disciplinare e determinano responsabilità erariale. Gli organi di
controllo e gli organi di revisione di ciascun ente vigilano sulla corretta applicazione
del presente comma (Il limite di spesa stabilito dal presente comma) può essere
superato in casi eccezionali, previa adozione di un motivato provvedimento
adottato dall’organo di vertice dell’amministrazione, da comunicare
preventivamente agli organi di controllo ed agli organi di revisione
dell’ente”. È stato al riguardo osservato con spunti di perplessità sulla reale
portata delle nuove norme che[44]
“…Non si può, comunque, negare che il decreto abbia cercato di prendere di mira
alcune tipologie di spese ritenute comunque da tagliare. L’elenco comprende le
missioni all’estero, le spese di rappresentanza, le spese per relazioni pubbliche
e convegni, nonché incarichi e consulenze esterne, ivi compresi gli incarichi
di alta professionalità, di cui all’articolo 110, comma 6, del d.lgs 267/2000.
Non può che convenirsi con questa decisione del legislatore, il quale ha
meritoriamente ritenuto necessario ridurre esborsi finanziari che, nell’attuale
fase, possono concretamente considerarsi un “lusso”. Tuttavia, non ci si può
nascondere che l’elencazione, condivisibile in astratto, lascia l’amaro in
bocca. Infatti, il decreto non prevede che i tagli si applichino “in
particolare” alle voci di spesa prima elencate, ma dispone che la riduzione del
10% si applica “anche” a dette spese. Si tratta di una formulazione che
accomuna spese innegabilmente “voluttuarie” a spese essenziali, spesso, per il
buon andamento dell’azione amministrativa. Inoltre, mentre il taglio per le
spese per i consumi intermedi non prevede eccezioni, al contrario, nel caso
delle spese per missioni all’estero, relazioni pubbliche e convegni si ammette
un superamento dei limiti di spesa in “casi eccezionali”, purché l’organo di
vertice motivi adeguatamente tale superamento dei limiti e comunichi il
provvedimento (non si capisce se prima o dopo della sua approvazione, ma il
sistema dei controlli è improntato sui controlli successivi) agli organi di controllo
e revisione. Francamente, riesce difficile da capire perché casi eccezionali
consentano di andare oltre i limiti di spesa per organizzare un convegno, e non
per acquistare beni e servizi necessari allo svolgimento delle funzioni
dell’ente. Ancora, se il legislatore ha colto nel segno nell’individuare le
spese per incarichi e consulenze un possibile annidamento di sprechi, lascia
quasi di stucco la formulazione della norma che ne prevede il contenimento. Si
prevede, infatti, che “l’affidamento di incarichi di studi o ricerca, ovvero di
consulenze a soggetti estranei all’amministrazione in materie e per oggetti
rientranti nelle competenze della struttura burocratica dell’ente deve essere
adeguatamente motivato ed è possibile solo nei casi previsti dalla legge ovvero
nell’ipotesi di eventi straordinari. […]Un’osservazione appare doverosa e
lecita. La Corte dei conti ha prodotto una giurisprudenza costante e pacifica[45],
che da sempre considera illecito amministrativo, per le amministrazioni
pubbliche, conferire incarichi e consulenze in materie ed oggetti rientranti
nelle competenze della struttura burocratica. Anzi, tra le restrittive circostanza
che, secondo il giudice contabile, possono rendere leciti tali incarichi,
rientra senz’altro il presupposto della mancanza all’interno della struttura burocratica
di una struttura o di dipendenti che possano rendere la consulenza, in quanto
essa sia riferita, necessariamente, a materie ed oggetti non rientranti nelle
competenze dell’ente. La Corte dei conti, per altro, ha sempre aggiunto che gli
enti debbono operare sì da evitare di accrescere artatamente le proprie competenze,
allo scopo di giustificare il ricorso ai consulenti. Alla luce di tale giurisprudenza,
le norme del decreto legge, per quanto rigorosa…, sembrano addirittura
prefigurare quello che la Corte dei conti non aveva mai consentito: incarichi a
soggetti esterni, per materie ed oggetti di competenza della struttura
burocratica. All’apparenza restrittiva contro gli incarichi, letta sotto questa
luce la disposizione appare, invece, maggiormente permissiva. Se non fosse che,
però, consente il ricorso a detti incarichi solo “nei casi previsti dalla
legge”. Qui, la norma torna restrittiva. Ma, se ammette il ricorso alle
consulenze solo nei casi ammessi dalla legge, c’è da chiedersi quale sia lo
scopo della disposizione, che pare avere un contenuto normativo sostanzialmente
inesistente.In effetti, il rimando ai casi in cui la legge ammette gli incarichi
fa tornare ciclicamente alle condizioni richieste dalla Corte dei conti come
presupposti necessari per il loro affidamento: tra tali presupposti ricorre,
ovviamente, il rispetto della legge ed, in particolare, delle disposizioni di
cui all’articolo 110, comma 6, del d.lgs 267/2000, norma simmetrica
all’articolo 7, comma 6, del d.lgs 165/2001. Il vero contenuto innovativo del
decreto legge, allora, sta nell’apertura alla possibilità che gli incarichi riguardino
competenze della struttura amministrativa, che possano essere comunque
conferiti nell’indefinibile ipotesi di “eventi straordinari” ….Il tenore della
norma dovrebbe, in effetti, sortire l’effetto di un contenimento al dilagare
della spesa per incarichi di consulenza registratosi negli ultimi anni.
Tuttavia, data la problematicità interpretativa della disposizione …, lascia in
piedi una domanda: è lecito chiedersi se non fosse stata più opportuna una
nuova e diversa normativa sugli incarichi, realmente maggiormente restrittiva e
basata su più chiari presupposti per il conferimento…”.
Infine, sempre con riguardo
al tema delle consulenze, la legge 30 dicembre 2004, n. 311 (in G.U. n.
306 del 31 dicembre 2004 - Suppl. Ord. n. 192) - Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria
2005) ha ribadito le disposizioni restrittive già previste dal decreto
legge n. 168/2004 prevedendo che (comma 11) “ Fermo quanto stabilito per gli
enti locali dal comma 42, la spesa annua per studi ed incarichi di consulenza
conferiti a soggetti estranei all’amministrazione sostenuta per ciascuno degli
anni 2005, 2006 e 2007 dalle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1,
comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, esclusi le università,
gli enti di ricerca e gli organismi equiparati, non deve essere superiore a
quella sostenuta nell’anno 2004. L’affidamento di incarichi di studio o di
ricerca, ovvero di consulenze a soggetti estranei all’amministrazione in
materie e per oggetti rientranti nelle competenze della struttura burocratica
dell’ente, deve essere adeguatamente motivato ed è possibile soltanto nei casi
previsti dalla legge ovvero nell’ipotesi di eventi straordinari. In ogni caso,
l’atto di affidamento di incarichi e consulenze di cui al secondo periodo deve
essere trasmesso alla Corte dei conti. L’affidamento di incarichi in assenza
dei presupposti di cui al presente comma costituisce illecito disciplinare e
determina responsabilità erariale”. Per quanto attiene agli enti locali dispone
espressamente il comma 42, per il quale “L’affidamento da parte degli enti
locali di incarichi di studio o di ricerca, ovvero di consulenze a soggetti
estranei all’amministrazione, deve essere adeguatamente motivato con specifico
riferimento all’assenza di strutture organizzative o professionalità interne
all’ente in grado di assicurare i medesimi servizi, ad esclusione degli
incarichi conferiti ai sensi della legge 11 febbraio 1994, n. 109, e successive
modificazioni. In ogni caso l’atto di affidamento di incarichi e consulenze di
cui al primo periodo deve essere corredato della valutazione dell’organo di
revisione economico-finanziaria dell’ente locale e deve essere trasmesso alla
Corte dei conti. L’affidamento di incarichi in difformità dalle previsioni di
cui al presente comma costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità
erariale. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano agli enti con
popolazione superiore a 5.000 abitanti”[46].
In tema di patto di
stabilità interno il comma 32 stabilisce che “Per gli enti locali, l’organo di
revisione economico-finanziaria previsto dall’articolo 234 del testo unico di
cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, verifica il rispetto degli
obiettivi annuali del patto, sia in termini di competenza che di cassa, e in
caso di mancato rispetto ne dà comunicazione al Ministero dell’interno sulla
base di un modello e con le modalità che verranno definiti con decreto del
Ministero dell’interno, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze”[47].
7. Tralasciando in questa sede l’analisi
di ciascuna di tali funzioni[48]
si può segnalare il tema dell’obbligo di denuncia che incombe sull’organo. Può
ricordarsi come il d.lgs. 286/99 abbia previsto (art. 1 comma 6), una specifica
eccezione, per gli addetti ai controlli interni a carattere “gestionale”
(controllo di gestione, strategico e valutazione dei dirigenti) rispetto
all’obbligo di denuncia di cui all’art. 1 comma 3, della legge 14 gennaio 1994
n. 20, ovvero l’obbligo di denuncia di danno erariale. Detta eccezione non è
prevista per gli organi di controllo interno di “regolarità amministrativa e
contabile” e pertanto anche per i collegi dei revisori, che quindi vi sono
tenuti nei casi previsti, come peraltro ribadito dall’art. 239, comma 1,
lettera e).
Soggetti tenuti, modalità e
forme della denuncia di danno erariale sono comunque individuati ed illustrati
nella nota I.C./16 del procuratore generale della Corte dei conti, in data 28
febbraio 1998, la quale, con specifico riguardo agli obblighi incombenti su
“organi di controllo” richiama in particolare gli obblighi previsti dai collegi
dei revisori degli enti locali e delle camere di commercio (artt. 56 e 70 DM 23
luglio 1997, n. 287). In tal modo “…gli organi di controllo e/o di revisione
contabile …se nell’esercitare le proprie funzioni istituzionali rilevino un
atto illecito produttivo di danno, sono tenuti a darne comunicazione alla
procura territorialmente competente, quando vi sia stata omissione da parte
degli organi amministrativi, anche se questo dovere non sia esplicitato da un
precetto- C. conti, sez. I, 19.11.1982, n. 136; sez. I, 31.1.1983, n. 181; sez.
riun. 29.1.1992, n. 743/A- È da ritenere, infine, che l’organo di controllo
divenga senz’altro titolare dell’obbligo di denunzia in sostituzione
dell’organo (monocratico o collegiale), di amministrazione attiva, quando
quest’ultimo avrebbe dovuto denunziare “se stesso”…”[49].
Le previsioni anzidette
hanno trovato specifica conferma nel già richiamato D.P.R. 97/2003 sugli enti
pubblici istituzionali, che all’art. 90 espressamente prevede l’obbligo di
denuncia per i vertici amministrativi degli enti che vengano a conoscenza di
fatti integranti ipotesi di danno per l’erario. Per ciò che concerne i
revisori, a differenza di quanto previsto nel TUEL, è stabilito che quando il
danno sia accertato dal collegio, questo invita l’organo competente a
provvedere alla relativa denuncia, provvedendovi direttamente nel caso di
responsabilità facenti capo al consiglio di amministrazione o ad organo analogo
e nel caso di inerzia da parte degli organi che vi siano tenuti.Il regolamento
prevede inoltre (artt. 79-83) compiti e modalità di esercizio dell’attività di
revisione che (art. 80) si conforma i principi di revisione contenuti in
allegato (n. 17) del regolamento stesso. L’art. 82 specifica l’anzidetto
obbligo di denuncia di danno erariale nonché di denuncia di reato ex art. 331
del codice di procedura penale, confermandosi così espressamente il ruolo di
pubblici ufficiali rivestito dai medesimi.
8. I revisori[50],
“….una volta accettata la nomina sono legati all’ente da un rapporto di servizio[51].
Ciò significa che ai revisori torna applicabile l’art. 83, comma 2 della legge
sulla contabilità dello Stato (r.d. 18 novembre 1923, n. 2440 e successive
modificazioni), secondo il quale i direttori generali e i capi servizio, che
nell’esercizio delle loro funzioni, vengano a conoscenza di fatti che possono
dar luogo a responsabilità per danno erariale debbono far denuncia al
procuratore generale presso la Corte dei conti. Coordinando le due disposizioni
(obbligo di denuncia e diligenza richiesta), si può, in linea di principio,
affermare che il revisore deve agire in presenza di irregolarità gravi che possono
essere scoperte usando la normale diligenza. Altro aspetto della problematica
in esame riguarda l’individuazione dell’organo al quale, ricorrendone i
presupposti, il revisore deve avanzare la denuncia o comunicazione…”.
Al riguardo può osservarsi
che lo stesso TUEL toglie ogni dubbio, visto che indica i “competenti organi
giurisdizionali”, quali destinatari delle denunce, e pertanto, direttamente il
procuratore regionale della Corte dei conti, per le fattispecie di danno
all’erario, ovvero il pubblico ministero penale, per le fattispecie di reato. A
quest’ultimo proposito va ricordato che il revisore riveste la qualifica di
pubblico ufficiale (art. 357 c.p.) il quale, ai sensi dell’art. 331 c.p.p.,
nell’esercizio o a causa delle sue funzioni abbia notizia di un reato, deve
farne denuncia per iscritto, anche quando non sia individuata la persona cui il
reato sia attribuibile. Ne consegue[52]
“…che i verbali redatti dal collegio sono “”atti pubblici”” e le irregolarità
connesse all’attività di revisione sono da considerarsi reati contro la
pubblica amministrazione …”[53].
Va in proposito evidenziato
che l’eccezione di cui all’art. 1 comma 6 del d.lgs. 286/99 per i soggetti
preposti a servizi di controllo interno “gestionale” non si estende ai fatti di
reato e pertanto, anche per essi, sussiste l’obbligo di denuncia di reato.
Il complesso degli obblighi
anzidetti e la collocazione istituzionale dei revisori dei conti hanno trovato
conferma nel citato D.P.R. n. 97/2003 contenente il nuovo regolamento di
contabilità per gli enti pubblici istituzionali di cui alla legge 70/1995.
L’art. 90 del regolamento, infatti espressamente prevede l’obbligo di denuncia
per i vertici amministrativi degli enti che vengano a conoscenza di fatti
integranti ipotesi di danno per l’erario. Per ciò che concerne i revisori, a
differenza di quanto previsto nel TUEL, è stabilito che quando il danno sia
accertato dal collegio, questo invita l’organo competente a provvedere alla
relativa denuncia, provvedendovi direttamente nel caso di responsabilità
facenti capo al consiglio di amministrazione o ad organo analogo e nel caso di
inerzia da parte degli organi che vi siano tenuti. Il regolamento prevede
inoltre (artt. 79-83) compiti e modalità di esercizio dell’attività di
revisione che (art. 80) si conforma i principi di revisione contenuti in
allegato (n. 17) del regolamento stesso. L’art. 82 specifica l’anzidetto
obbligo di denuncia di danno erariale nonché di denuncia di reato ex art. 331
del codice di procedura penale, confermandosi così espressamente il ruolo di
pubblici ufficiali rivestito dai medesimi.
Per ciò che attiene alle
modalità di esercizio dei compiti revisionali, oltre alle norme di legge e
regolamentari vi è, come prima indicato, il rinvio ai principi di revisione,
elaborati appositamente per gli enti pubblici, riportati in allegato al
regolamento e costituenti il risultato del lavoro di un’apposita commissione di
studio istituita presso il ministero dell’economia e delle finanze (documento
pubblicato dal Ministero dell’economia e delle finanze nell’anno 2002). Il
documento della commissione e il regolamento n. 97/2003 fissano, le regole
operative cui devono attenersi i revisori contabili negli enti pubblici,
estendendo ad essi, in sostanza i principi già vigenti per la revisione
contabile negli enti locali. In tal modo, anche negli enti pubblici
istituzionali ai revisori dei conti sono attribuite funzioni di “collaborazione
qualificata” e di vigilanza[54].
L’attività di collaborazione non va però intesa come compartecipazione
all’attività degli organi di amministrazione[55]-[56].
9. Quanto alle responsabilità, la
giurisprudenza contabile si è occupata, in vario modo di detto profilo.
Il TUEL dispone
espressamente al riguardo all’art. 240 (“Responsabilità dell’organo di
revisione”), stabilendo che “I revisori rispondono della veridicità delle loro
attestazioni e adempiono i loro doveri con la diligenza del mandatario. Devono
inoltre conservare la riservatezza sui fatti e documenti di cui hanno
conoscenza per ragione del loro ufficio”.
Si rileva che l’art. 240
TUEL[57]
è derivato “…dall’art. 2407 del codice civile, per il quale i sindaci devono
ottemperare i loro doveri con la diligenza del mandatario. Per l’art. 1710 c.c.
del codice civile il mandatario è tenuto ad eseguire il mandato con la
diligenza del “”buon padre di famiglia””. In assenza di una definizione
precisa, è opportuno ricorrere alla dottrina e alla giurisprudenza stabilendo dei
criteri oggettivi, basati su concetti quali: sollecitudine, perizia, capacità
professionale, ecc.. Da tenere presente che i concetti di correttezza (art.
1175 cod. civ.) e i concetti di buona fede (art. 1375 cod. civ.) esulano dalle
fattispecie di diligenza. La non osservanza dell’obbligo di diligenza comporta
ipotesi di responsabilità: a) disciplinari[58]
(decadenza dalla carica, ammessa solo in presenza dell’inadempienza da accertare
con garantito procedimento…); civile; penale;…”, nonché “patrimoniale” (amministrativo
contabile). Viene tuttavia precisato che la diligenza che deve essere adottata
è “….quella richiesta dalla natura della sua attività, ai sensi dell’art. 1176,
2° comma c.c. e poiché questa è intrinsecamente e sostanzialmente
professionale, ne consegue che la diligenza che si deve pretendere …è quella
dell’“”avveduto revisore contabile esterno indipendente”” che, pur non dovendo
assicurare il risultato della corretta e veritiera rappresentazione contabile
dei fatti gestionali, deve tendere alla migliore realizzazione possibile
dell’incarico…”. Tale norma[59]
“…impone al professionista una diligenza particolarmente qualificata dalla
perizia e dall’impiego degli strumenti tecnici adeguati al tipo di attività
dovuta. Sotto questo riguardo può dirsi che l’impegno del professionista è
superiore a quello del comune debitore. Va però tenuto presente che il criterio
applicabile è pur sempre quello della normale diligenza in quanto il
professionista deve impiegare la perizia e i mezzi tecnici adeguati allo
standard professionale della sua categoria. Tale standard servirà a determinare
il contenuto della prestazione dovuta e la misura della responsabilità,
conformemente alla regola generale. Non può quindi parlarsi di una
responsabilità aggravata a carico del professionista. Al contrario,
quest’ultimo sembra essere stato posto in una posizione di minore
responsabilità da quella norma che dichiara il professionista intellettuale
responsabile solo per dolo o colpa grave quando la prestazione implica la soluzione
di problemi tecnici di speciale difficoltà (art. 2236 c.c.- cass. 11 agosto
1990, n. 8218). La prevalente interpretazione dottrinale di tale norma è tuttavia
nel senso che il professionista risponde solo per dolo o colpa grave quando
l’esecuzione della prestazione richiede una perizia superiore a quella
ordinaria della sua categoria . In tal caso la colpa grave consiste nella
disapplicazione del minimo di nozioni tecniche che il professionista generico
deve possedere in relazione a prestazioni specializzate (Cass. 26 marzo 1990,
n. 2428 ipotizza come casi implicanti la soluzione di problemi tecnici di
speciale difficoltà i casi clinici nuovi, non ancora dibattuti con riferimento
ai metodi terapeutici da seguire). Il professionista generico[60]
è però tenuto ad accertare la speciale difficoltà della prestazione e a far
presente al cliente la necessità di richiedere l’opera di uno specialista…”.
Nel settore delle società
commerciali viene riconosciuta la configurabilità di una responsabilità
contrattuale[61] fra revisore mandatario e
società revisionata mandante (Trib. Milano, 18 giugno 1992). Si osserva[62]
che “…l’analisi della responsabilità contrattuale del revisore, sia nel caso di
revisione obbligatoria, sia in quella di revisione volontaria, non presenta
particolari problemi di carattere teorico. Infatti l’incarico che viene
conferito …crea un rapporto che si svolge sempre (anche nel caso di revisione
obbligatoria) in chiave prevalentemente privatistica; esso infatti trova la sua
base in un contratto (che può definirsi,in un certo qual modo “”imposto”” per i
casi di revisione obbligatoria. Il contratto che viene stipulato ….viene
unanimemente qualificato come “”mandato”” …. Ciò premesso, occorre considerare
che ogni comportamento scorretto o negligente de revisore sarà punibile, poiché
contrario ai doveri imposti dal contratto; quindi il revisore sarà tenuto a
risarcire i danni subiti dal cliente, ai sensi dell’art. 1218 c.c..Se ne deduce
che, nel rapporto contrattuale di revisione, fondamentale importanza avranno i
principi contabili e di revisione[63]…che
costituiscono strumenti utilizzabili per determinare il grado di diligenza
richiesto… E individuato lo standard di diligenza preteso, trattandosi di
obbligazioni di mezzi, si individua conseguentemente il confine tra adempimento
ed inadempimento contrattuale….”. Conclusivamente si rileva che l’elevata
qualificazione professionale del revisore (comprovata dall’iscrizione
nell’apposito albo) non consente agevolmente di individuare situazioni in cui
vengano a porsi “problemi tecnici di speciale difficoltà”, sicché il revisore
sarà contrattualmente responsabile per inadeguatezza allo standard di diligenza
previsto, sia nel caso di dolo, sia nel caso di colpa grave o lieve[64]-[65].
Di particolare interesse è
in questa sede il rapporto fra la responsabilità civile e quella amministrativo
contabile.
Invero l’art. 240 TUEL
sembra delineare anche per i revisori dei conti dell’ente locale una
responsabilità civilistica di natura contrattuale, cui si contrappone tuttavia
la loro posizione di soggetti legati da “rapporto di servizio” con l’ente
pubblico e la conseguente configurabilità di una responsabilità amministrativo
contabile, i cui parametri ed elementi costitutivi sono diversi.
10. La responsabilità amministrativa è
stata configurata in modo peculiare (e tale da non potersi ricondurre
integralmente né alla responsabilità civile contrattuale, né a quella
extracontrattuale) dalle norme costituzionali e dalle leggi ordinarie, ed in
particolare dalla legge 20 gennaio 1994 n. 20, come modificata dalla legge
639/1996. In presenza di un danno per l’erario derivante da attività
amministrativa (in essa rientrando anche l’attività di controllo interno, in
vario modo esplicitata), la responsabilità del pubblico amministratore o
dipendente (o di un soggetto, anche persona giuridica legato alla P.A. da un rapporto
di servizio in senso lato) può essere affermata solo in presenza di detti
elementi e con le limitazioni previste nella stessa legge 20/1994 (art. 1),
sicché in mancanza di essi non vi è una “diversa giurisdizione”, ma non vi è
alcuna responsabilità da perseguire. Con la disciplina anzidetta, ma in
particolare con la legge 142/1990, è stata infatti superata la precedente
situazione, riguardante proprio gli amministratori e dipendenti degli enti
locali, per i quali sussistevano, diversi tipi di responsabilità per danno
erariale, fondate su diversi presupposti e con competenze giurisdizionali distinte
(responsabilità formale e contabile- colpa lieve- Corte dei conti, per gli
amministratori; responsabilità civile- colpa grave- giurisdizione ordinaria,
per i dipendenti), stabilendosi per tutti espressamente (cfr. art. 93 d.lgs. n.
267/2000) la giurisdizione della Corte dei conti. Nell’attuale contesto normativo
la responsabilità per danno all’erario (dello Stato o degli altri enti
pubblici) ha una configurazione unitaria[66],
risultante dalla “…combinazione di elementi restitutori e di deterrenza che
connotano …” tale istituto, che risponde “…alla
finalità di determinare quanto del rischio dell’attività debba restare a carico
dell’apparato e quanto a carico del dipendente, alla ricerca di un punto di
equilibrio tale da rendere, per i dipendenti e amministratori pubblici, la prospettiva della
responsabilità ragione di stimolo e non di disincentivo…” (Corte
costituzionale, sent. 11-20 novembre 1998 n. 371).
In mancanza di detti
elementi caratterizzanti, non è configurabile, per gli amministratori e
dipendenti pubblici una ulteriore responsabilità civile “ordinaria” per colpa
lieve (seppure, con riguardo al ruolo dei revisori, con le attenuazioni
derivanti dal rapporto professionale), nei confronti della P.A., pena il
sostanziale stravolgimento dell’assetto “equilibrato” del rapporto fra azione
amministrativa e responsabilità, evidenziato dalla Corte, né un’azione in tal
senso risulterebbe ammissibile presso il giudice ordinario, potendosi far
valere, nei confronti del pubblico amministratore o dipendente esclusivamente
la responsabilità amministrativo contabile innanzi al giudice contabile, con
azione pubblica affidata al procuratore regionale della Corte dei conti (art.
103, 2° comma, Cost., art. 82 r.d. 18 novembre 1023 n. 2440; art. 52, r.d. 12
luglio 1934 n. 1214, art. 58 legge 142/1990 ed ora art. 93 d.lgs. 267/2000;
art. 1 legge 20/1994 come modificato dalla legge 639/1996)[67]-[68].
La configurazione della responsabilità amministrativa quale ipotesi di responsabilità
rientrante nelle disposizioni generali sull’ordinamento civile”, e pertanto
sottratta alla competenza legislativa concorrente o residuale delle regioni è
stata di recente affermata dalla Corte costituzionale con la sentenza 15 novembre
2004 n. 345[69].
Le disposizioni normative e
l’interpretazione dottrinale e giurisprudenziale conducono ad una
configurazione unitaria della revisione contabile nell’ambito degli enti
pubblici, sia territoriali che istituzionali, nella quale la posizione del
revisore è caratterizzata dalla compresenza di competenze professionali
particolarmente qualificate, cui debbono tuttavia si assommano specifiche
funzioni pubbliche che diversificano nettamente la funzione di revisione in
ambito pubblico rispetto a quella espletata a favore di imprese private, con
conseguenti rilevanti effetti anche in ordine a particolari doveri funzionali e
conseguenti responsabilità di natura pubblicistica[70].
La responsabilità “civile”
dei revisori dei conti dell’ente locale (invero per i revisori degli altri enti
pubblici[71] la giurisdizione
contabile e la relativa responsabilità amministrativa, appaiono pacifiche –
cfr. C. conti, sez. I 31 dicembre 1988, n. 198; sez. II, 23 ottobre 1991, n.
324; sez. II 6 febbraio 1992, n. 26; sezione I centrale 14 febbraio 2002, n.
47; 1° agosto 2002 n. 272 e 13 febbraio 2003, n. 64) potrà pertanto rilevare,
come per gli amministratori e dipendenti (cfr. art. 93, comma 1 TUEL), solo con
riguardo alle ipotesi di responsabilità “”verso terzi””,[72]
di cui all’art. 28 Cost. ed al testo unico impiegati civili dello Stato (d.p.r.
10 gennaio 1957, n. 3) che, tra l’altro, prevedono anche in tal caso il
requisito soggettivo della “colpa grave”[73].
Le disposizioni normative e
l’interpretazione dottrinale e giurisprudenziale conducono ad una
configurazione unitaria della revisione contabile nell’ambito degli enti
pubblici, sia territoriali che istituzionali, nella quale la posizione del
revisore è caratterizzata dalla compresenza di competenze professionali
particolarmente qualificate, cui debbono tuttavia si assommano specifiche
funzioni pubbliche che diversificano nettamente la funzione di revisione in
ambito pubblico rispetto a quella espletata a favore di imprese private, con
conseguenti rilevanti effetti anche in ordine a particolari doveri funzionali e
conseguenti responsabilità di natura pubblicistica[74].
Per quanto attiene ad
alcune specifiche vicende processuali in sede contabile, che hanno riguardato
la posizione dei revisori, si possono segnalare alcune decisioni.
Può in primo luogo
richiamarsi la sentenza n. 1179 del 21 marzo 2001, con la quale la sezione
giurisdizionale regionale della Corte dei conti per la regione Toscana (cfr. “Il
Sole- 24ore”, 15 aprile 2002, pag. 27), si è pronunziata, tra l’altro, su
una questione di responsabilità amministrativo contabile, imputata anche ai
revisori dei conti di un ente locale, con riguardo ad indebita corresponsione
di compensi ad un dipendente[75].
La sentenza risulta
interesse, per la questione affrontata in ordine alla posizione di
responsabilità dei revisori dei conti.
La procura regionale della
Corte dei conti per la regione Toscana, aveva infatti convenuto in giudizio i
vertici politici dell’ente (sindaci ed assessori succedutisi nella carica per
il periodo di realizzazione del danno), i segretari comunali ed i revisori dei
conti. Senza entrare nella disamina delle singole posizioni, può qui
evidenziarsi come, con riferimento ai revisori, il giudice regionale abbia
respinto la richiesta risarcitoria nei loro confronti affermando che “…ritiene
anzitutto il collegio di dover escludere una qualunque responsabilità dei
componenti dell’organo di revisione …in considerazione del fatto che l’attività
di controllo ad essi rimessa dalla legge non si estende alla verifica della
legittimità degli atti adottati dalla giunta comunale, consistendo invece nella
vigilanza sulla regolarità contabile e finanziaria nella gestione dell’ente
locale ai fini della attestazione di corrispondenza del rendiconto alle
risultanze di gestione. È ovvio che, in tale contesto possono emergere anche
singole illegittimità di atti che rilevino a fini gestionali. Ciò posto, non
può peraltro imputarsi ai revisori di non aver riscontrato l’illegittimità di
atti specifici che essi non avevano l’obbligo di esaminare e che non risulta
siano stati in qualche modo sottoposti al loro esame; e ciò proprio perché,
come si è detto, il riscontro di legittimità esula dalla competenza del
collegio dei revisori…”.
Questo secondo profilo
della sentenza ha sollevato alcune perplessità, osservandosi che[76]
“…la sentenza è formalmente esatta anche in riferimento al secondo
interrogativo, ma essa fa sorgere alcuni problemi. Infatti, è vero che le
funzioni dell’organo di revisione sono puntualmente previste nell’art. 239 del
testo unico sugli enti locali, ed è stabilita la “”vigilanza” sulla regolarità
contabile, finanziaria ed economica della gestione e non delle singole delibere.
Ma nell’art. 14 della legge finanziaria 2002 è previsto un controllo sulla riduzione
della spesa complessiva per il personale e vi sono delle delibere che si
riverberano direttamente sulla regolarità contabile della “”effettuazione delle
spese””, ipotizzate nello stesso articolo 239, comma 1, b). Oltre a ciò, come
si è visto, l’organo di revisione ha anche una funzione di vigilanza, e questa
funzione si traduce in un’attività attenta, solerte, dinamica, che si può
effettuare (comma 2) anche mediante “”l’accesso agli atti ed ai documenti
dell’ente”” e con “”ispezioni e controlli individuali””. I revisori dei conti
non hanno quindi una posizione statica di controllo della gestione e l’attività
di revisione economico finanziaria dell’ente locale è oggi, specie dopo l’abrogazione
dell’art. 130 della costituzione, di determinante importanza. Appare quindi
opportuno …che gli enti locali diano attuazione al comma 6 del citato articolo
239, che stabilisce che “”lo statuto dell’ente locale può prevedere ampliamenti
delle funzioni affidate ai revisori…”.
La decisione ed il commento
ora citati evidenziano come tuttora sussistano, nonostante le puntuali
previsioni normative, differenze interpretative su ruolo e funzioni degli
organi di revisione contabile negli enti locali ed in generale negli enti
pubblici.
Ulteriori spunti possono
trarsi dalla sentenza n. 146 del 23 marzo 1998 emessa dalla sezione
giurisdizionale della Corte dei conti per il Piemonte, con la quale è stata
affermata la responsabilità amministrativo contabile dei revisori dei conti di
un collegio regionale di ordine professionale, in relazione ad un rilevante
danno finanziario (oltre 700 milioni di lire), conseguente alla scoperta di
ammanchi di cassa causati da appropriazioni realizzate dal tesoriere (decisione
confermata, per ciò che attiene al ruolo dei revisori dei conti dalla sentenza
n. 250 del 23 luglio 2002, della I sezione di appello).
La decisione ne ha
individuato il profilo di responsabilità sulla base della deliberazione del
collegio dell’ordine con il quale era stato approvato il “Regolamento del
collegio dei revisori dei conti”, cui erano affidati precisi compiti quali
“revisione contabile trimestrale, verifica della congruità e della legittimità
della spesa e degli investimenti in conformità delle delibere del consiglio e
delle leggi, attestazione del bilancio consuntivo, adempimenti stabiliti
dall’art. 2403 e ss. codice civile...”. Si trattava di un’attribuzione di
compiti ben determinati, non riduttivamente riconducibili alla mera formulazione
di “mere proposte o suggerimenti” al collegio. Da tale regolamento emergevano
con chiarezza i compiti di vigilanza affidati ai revisori, che comprendevano
anche l’espresso richiamo all’art. 2403 c.c. (“doveri del collegio sindacale”),
il quale “...deve controllare l’amministrazione della società, vigilare
sull’osservanza della legge e dell’atto costitutivo ed accertare la regolare tenuta
della contabilità sociale, la corrispondenza del bilancio alle risultanze dei
libri e delle scritture contabili e l’osservanza delle norme stabilite
dall’art. 2426 per la valutazione del patrimonio sociale...”. Il collegio
sindacale, sempre a norma dell’art. 2403 deve anche “...accertare almeno ogni
trimestre la consistenza di cassa e l’esistenza dei valori e dei titoli di
proprietà sociale o ricevuti dalla società in pegno, cauzione o custodia...”.
Inoltre i sindaci “...possono, in qualsiasi momento procedere, anche individualmente,
ad atti di ispezione e controllo...” mentre “...il collegio sindacale può
chiedere agli amministratori notizie sull’andamento delle operazioni sociali o
su determinati affari...”. Per i componenti del collegio dei revisori pertanto,
attraverso l’espresso richiamo ai compiti di cui all’art. 2403 c.c. vi erano
precisi obblighi di controllo, riscontro e vigilanza, chiaramente esplicitati
nei loro contenuti (cfr. Cass. civ. sez. I, n. 5263 del 7.5.1993, in Foro it., 1994, I, I, 130 “...il ruolo
del collegio sindacale non si limita allo svolgimento di compiti di mero
controllo contabile e formale ma si estende anche al contenuto della
gestione...”). Non risultavano peraltro influenti sia la mancata, espressa
previsione del collegio dei revisori nello statuto dell’ente, o la circostanza
che si trattasse di un incarico gratuito demandato ad alcuni componenti del
consiglio direttivo in quanto ai soggetti nominati revisori erano stati
attribuiti i menzionati obblighi e poteri.Non risultava nemmeno rilevante il
profilo di una presunta mancanza di competenza professionale (si trattava
infatti di professionisti iscritti all’ordine ma non provvisti del titolo di revisori
contabili). Infatti l’aver liberamente accettato il conferimento di un incarico
di garanzia quale quello di revisore dei conti, anche da parte di soggetti
privi di specifica qualificazione professionale non esime gli stessi dalle responsabilità
conseguenti ad omissioni o inadempimenti relativi ai compiti affidati, essendo
tali responsabilità ricollegate alla funzione esercitata e non alla competenza
professionale posseduta. Peraltro l’attività di controllo era stata esercitata
in modo talmente poco incisivo e penetrante, da evidenziare la mancata
effettuazione di verifiche anche di carattere elementare e tali da poter essere
richieste ad un qualsiasi soggetto, anche non specialista della materia,
deputato ad una funzione di verifica e controllo. Veniva osservato al riguardo
nella sentenza impugnata che “...dai verbali di revisione contabile emerge
un’attività di controllo basata esclusivamente sui dati forniti dal tesoriere e
limitata a rilievi di carattere formalistico...”. Era inoltre emerso che i
revisori non avevano mai eccepito nulla in ordine all’assoluta mancanza di
strumenti per le verifiche contabili (non esisteva un “libro giornale”) e che i
controlli venivano effettuati in assenza di documenti originali, ma solo su
fotocopie. Nemmeno la verifica di cassa veniva effettuata regolarmente, pur essendo
la stessa prevista espressamente sia dal regolamento sia dal richiamo all’art.
2403 c.c..La sezione giudicante aveva pertanto evidenziato “...la sussistenza
di una situazione di grave disordine amministrativo (in cui si inserivano gli
ulteriori elementi costituiti dalla falsificazione degli estratti conto
bancari, la pesante esposizione debitoria, la mancata predisposizione del bilancio
preventivo) che risultava essere stata
tollerata per anni senza che i revisori avessero posto in essere le
necessarie verifiche...”. Ne conseguiva che la condotta censurata atteneva alla
totale omissione degli adempimenti, alcuni anche espressamente previsti dalla
disposizione regolamentare e dalla richiamata norma del c.c. (verifica
trimestrale di cassa) che, se effettuati avrebbero consentito una regolare
attività di riscontro cui sarebbe verosimilmente conseguita una diversa
attività gestoria da parte del tesoriere.
Vanno anche segnalate due
pronunce,di primo e secondo grado, riguardanti la materia del “dissesto” degli
enti locali.
La sentenza della I sezione
centrale di appello n. 149 del 16 aprile 2003, ha confermato, per la parte che
qui rileva, le statuizioni della sentenza emessa in primo grado dalla sezione
giurisdizionale per la regione Campania n. 41 dell’8 febbraio 2001. Con tale
decisione era stata pronunciata condanna nei confronti dei consiglieri di un
comune campano a risarcire all’ente locale la somma complessiva di lire 400
milioni ripartita fra i medesimi in quote uguali di lire 20 milioni, oltre ad
interessi e spese del giudizio. La vicenda riguardava la situazione di deficit
finanziario del comune, cui non era conseguita una tempestiva e doverosa
dichiarazione di dissesto da parte del consiglio comunale, adottata solo
successivamente dalla nuova amministrazione. Il consiglio comunale aveva
approvato il bilancio di previsione (su progetto redatto dalla giunta) nel
quale, al fine di finanziare il pagamento dei debiti fuori bilancio
riconosciuti, nonché il disavanzo di amministrazione e le passività arretrate,
era stata riproposta l’alienazione di beni del patrimonio comunale. Erano poi
intervenute le dimissioni di 21 consiglieri comunali con conseguente nomina di
un commissario prefettizio. Il nuovo consiglio comunale, insediatosi aveva
rilevato uno squilibrio economico finanziario della gestione caratterizzato da
deficit strutturale, reso evidente anche dall’infruttuosa procedura di alienazione
degli immobili comunali e aveva deliberato l’annullamento del bilancio di
previsione e dichiarato il dissesto ai sensi dell’art. 25 del d.l. 2 marzo 1989
n. 76 conv. nella legge n. 144/89 e dell’art. 21 del d.l. n. 8/1993.
In ordine a tali fatti, la
procura regionale aveva osservato che il collegio dei revisori dei conti aveva
indicato “…la strada del “”dissesto””[77],
evidenziando il notevole disavanzo di amministrazione emerso dalle risultanze
contabili e perplessità sui concreti margini di recupero delle finanze
dell’ente, tenuto anche conto del mancato riscontro delle iniziative
concernenti la dismissione dei beni patrimoniali, intraprese in sede di
bilancio di previsione dell’anno precedente, in occasione della cui
approvazione, pur esprimendo parere favorevole alla vendita di alcuni beni del
patrimonio comunale, aveva formulato dubbi sull’ alienabilità di alcuni beni
immobili demaniali. Aveva ancora evidenziato il PM che lo stesso collegio dei
revisori, nel formulare pareri, negativo al bilancio di previsione del 1993 e favorevole
alla dichiarazione di dissesto, aveva rappresentato (verb. del 26.6.1992) che
le gare di vendita dei beni erano andate deserte; l’acquisto delle caserme non
rientrava nei programmi economici dei competenti ministeri; l’ente non era in
grado di onorare i propri impegni; si era formato un notevole scoperto di
cassa. Con riferimento alle proposte avanzate dalla giunta municipale sulla
realizzazione di entrate straordinarie collegate alla alienazione di nuovi
immobili comunali, aveva rilevato che il collegio dei revisori aveva segnalato
l’impossibilità o, quantomeno, la difficoltà della loro vendita in quanto la
maggior parte di essi aveva specifica destinazione: se non era incontrovertibile,
certamente difficile da cambiare. Elementi rilevanti per l’affermazione della
responsabilità degli amministratori sono stati pertanto costituiti dai rilievi
dei revisori dei conti[78].
Il collegio dei revisori aveva chiaramente manifestato in più occasioni e con
la relazione allegata allo schema di deliberazione, la necessità di procedere a
deliberazione di dissesto. Tale posizione ha avuto carattere decisivo. Tale
parere infatti, si pone come l’elemento di valutazione più qualificato per il
consiglio, perché reso da un organo indipendente dalla giunta e dalla struttura
amministrativa e con funzioni di sua diretta collaborazione (art. 57 della
legge 142/1990. Cfr. corte dei conti, sezione enti locali, deliberazione n.
2/1992- “…Circa i singoli compiti che la legge attribuisce ai revisori, di
particolare rilievo sono quelli relativi alla collaborazione con il consiglio
nella sua funzione di indirizzo e di controllo sull’attività della giunta e su
quello degli altri organi cui è attribuita una competenza specifica…”). Tale
organo, nel momento in cui il consiglio veniva ad esercitare una delle sue più
importanti funzioni, veniva a fornire il suo qualificato parere che non poteva
essere considerato alla stregua di una mera opinione, di pari livello o
addirittura recessiva rispetto alle affermazioni o proposte di giunta, proprio
perché in tale sede al consiglio competeva di svolgere un penetrante controllo
su quanto veniva proposto. Ignorando le osservazioni del suo organo tecnico di
diretto supporto (collegio dei revisori) il consiglio ha sostanzialmente
abdicato alla sua funzione, limitandosi alla ratifica di quanto affermato dalla
giunta.In tal modo divengono di scarso rilievo le argomentazioni concernenti
una mancata o limitata conoscenza delle norme amministrative o di bilancio,
ovvero la breve esperienza di consigliere, in considerazione della peculiare
importanza dell’argomento, che ne imponeva un’adeguata ponderazione e della
presenza dell’ausilio tecnico costituito dal consiglio dei revisori, che aveva
adeguatamente fornito i necessari elementi di giudizio (e che eventualmente
poteva essere ulteriormente interpellato)[79].
Circa il principio di
indipendenza dei revisori viene in evidenza una recente determinazione assunta
dalla Corte dei conti in sede di controllo (determinazione n. 22/2003 della
Sezione del controllo sugli enti, in www.corteconti.it) riguardante il conferimento
di un incarico di consulenza da parte dell’ANAS s.p.a. ad un membro del
collegio sindacale della società che ha ribadito il principio, sulla base della
disciplina generale valevole sia per i sindaci delle società, sia per i
revisori degli enti pubblici, per il quale essi devono rimanere estranei
all’attività gestionale dell’ente e non devono rendere prestazioni diverse da
quelle dovute per la carica rivestita.
Il principio dell’autonomia
e indipendenza dei revisori trova una indiretta affermazione nella sentenza
resa dalla seconda sezione centrale di appello (n. 106/2002/A del 29 marzo
2002) ove è stata affermata la responsabilità amministrativa di amministratori
provinciali per il danno connesso all’erogazione di una spesa di lire
11.374.615, relativa ad acquisto di “doni di fine mandato” a favore dei
consiglieri provinciali, degli assessori esterni, del difensore civico e dei
revisori dei conti e del difensore civico. Si è trattato infatti di spesa che
non può rientrare fra quelle di rappresentanza “…in quanto non è possibile
intravedere alcun collegamento con i fini istituzionali dell’ente, ma ne
emergono aspetti che, semmai, attengono al rapporto di quotidianità con i
componenti di altri organi e realizzano una sorta di sentimento di gratitudine
– del tutto personale- dei componenti della giunta provinciale verso questi
ultimi, in forza dell’atteggiamento collaborativi da essi dimostrato. Però non
tengono conto, gli appellanti incidentali, che la collaborazione, o per lo
meno, il positivo rapporto, posto a fondamento del dono, rientrano nel
novero dei doveri e poteri degli organi gratificati, a carico dei quali
sussiste l’obbligo di pronuncia, rigidamente regolato dall’ordinamento, organi
i quali, sono privi di discrezionalità, essendo chiamati a rendere giudizi,
aventi parametro la legge, sulla base della quale valutano l’attività dell’ente
locale. Del resto la giurisprudenza ormai consolidata, ha chiarito che, per
potersi definire una spesa come di rappresentanza, deve esistere lo stretto
legame con i fini istituzionali dell’ente, la necessità dell’ente ad una
proiezione esterna, o ad intrattenere pubbliche relazioni con soggetti estranei:
lo stanziamento nel bilancio dell’ente ne costituisce uno dei presupposti, così
come l’eventuale determinazione in regolamenti o atti amministrativi generali,
anche se lo stanziamento ex se non rende lecita la spesa, che, invece, deve
essere finalizzata direttamente al pubblico interesse. Soprattutto, deve
escludersi che l’attività di rappresentanza possa configurarsi nell’ambito dei
normali rapporti istituzionali e di servizio, come si verifica, ad esempio, in
occasione del collocamento a riposo dei dipendenti (medagliette ricordo)e,
aggiunge il collegio, come si è verificato nella fattispecie di causa,
caratterizzata dalla normalità e istituzionalità dei rapporti di servizio tra
ente beneficiante e organi beneficiati. La spesa in questione è, quindi, del tutto
illecita, macroscopicamente illecita…perché completamente priva dei caratteri
distintivi delle spese di rappresentanza: parimenti, ne consegue che l’intera
entità della spesa costituisce danno per l’ente locale, in quanto tale da
risarcire…”[80].
Con la sentenza n. 209 del
29 maggio 2003 la seconda sezione centrale di appello ha affermato la
responsabilità sussidiaria dei revisori dei conti, della banca tesoriere e del
segretario comunale di un comune in ordine all’ammanco di circa 740 milioni di
lire relativo alle appropriazioni realizzate dal ragioniere – economo,
attraverso l’emissione di falsi mandati di pagamento. L’articolata motivazione
evidenzia come sia stata configurata la responsabilità anche dei componenti del
collegio dei revisori per la carente azione di controllo che non aveva rilevato
alcuna anomalia nella contabilità, pur caratterizzata da rilevanti
irregolarità, nonché nel non aver eseguito, per più di due anni, le dovute
verifiche di cassa.
In ordine alla
responsabilità dei revisori dei conti, in questo caso di un istituto
scolastico, è la decisione della prima sezione centrale di appello n. 64 del 13
febbraio 2003 (nella fattispecie ha modificato la sentenza di primo grado
ritenendo non sussistente l’elemento soggettivo della colpa grave)[81].
La III sezione centrale di
appello, con sentenza n. 440 del 28 ottobre 2003 ha parzialmente riformato la
sentenza di primo grado (n. 82/2002 del 25 marzo 2002 della sezione regionale
per il Friuli Venezia Giulia) che aveva affermato la responsabilità, oltre che
dei componenti del consiglio di amministrazione, anche del presidente e di un
componente del collegio dei revisori dell’ERSA (ente regionale per la
promozione e lo sviluppo dell’agricoltura) in relazione alla concessione (senza
alcuna valutazione economico finanziaria) di una fideiussione per il 90% di un
mutuo contratto da una cooperativa successivamente fallita e per il quale
l’ente, in relazione alla fideiussione concessa aveva fatto fronte al debito
verso l’istituto di credito per un importo di 5. 700.000.000 di lire definito
in sede transattiva. La sezione di appello, pur confermando la responsabilità
dei componenti del consiglio di amministrazione e del direttore generale, ha
prosciolto i revisori dei conti osservando che nella fattispecie il mero
assistere alla seduta del consiglio di amministrazione non determina
responsabilità amministrativa, non potendo i revisori inibire l’assunzione di
deliberazioni rientranti nella responsabilità del consiglio di amministrazione
(sentenza attualmente gravata di ricorso per cassazione).
La responsabilità
amministrativa dei componenti del consiglio di amministrazione e del presidente
del collegio sindacale di uno I.A.C.P. è stata affermata da sez. III centrale,
sentenza n. 201/A del 24 marzo 2004 (in Riv. Corte dei conti, 2004, 2, pp. 164)
che ha evidenziato come “…non possono non considerarsi in colpa grave e
debbono, per l’effetto, rispondere del danno ingiusto cagionato, il presidente
del collegio sindacale di un istituto autonomo case popolari e il consiglio di
amministrazione dello stesso istituto per avere –rispettivamente – promosso e
deliberato la liquidazione del compenso dovuto allo stesso presidente del
collegio sindacale in ragione del miglior trattamento previsto, ai sensi
dell’art. 107 del d.lgs. 25 febbraio 1995 n. 77, in favore dell’omologa carica
degli enti locali, quando nella circostanza si sia ritenuto di poter trascurare
il contrario parere espresso dalla ragioneria generale dello Stato riguardo
alla possibilità di applicazione analogica del richiamato art. 107 d.lgs. n.
77…”.
La responsabilità è invece
stata anche esclusa, nella sentenza n. 1 depositata l’8 gennaio 2004 della
sezione regionale per la Calabria, nei confronti dei componenti di un collegio
dei revisori dell’amministrazione scolastica in relazione ad ammanchi
addebitabili ad attività illecite di falsificazione realizzate dal coordinatore
amministrativo di un istituto statale d’arte.
La sentenza sez. Lazio n.
1463 del 13 maggio 2004 ha invece affermato la responsabilità del presidente
del collegio sindacale di un importante ente previdenziale, unitamente a quella
del direttore generale, per i danni cagionati all’ente nell’ambito di attività
di acquisto di immobili caratterizzate dal compimento di illeciti penali
(corruzione).
[1] Massima
riportata in www.lexItalia.it,
n. 7-8/2004
[2] M. R.
SPASIANO, Funzione amministrativa e legalità di risultato, Milano, 2003;
G. COPPOLA, Il controllo di gestione come strumento di valutazione
dell’amministrazione per risultati nell’ottica del bene pubblico, in www.amcorteconti.it,
2004; in termini dubitativi circa l’attualità della formula v. S. CASSESE, Che
cosa vuol dire amministrazione di risultati?, in Giornale di diritto amm.,
2004,9, pag. 941.
[3] G. MELIS, in Atti del IV convegno COGEST-I
costi dell’inefficienza- Roma, 28-29 maggio 1997 rivela che “…Il 12 gennaio
1870 a Firenze, il direttore capo della prima divisione del ministero
dell’interno dovette condensare in una relazione indirizzata al ministro alcune
notizie sulla produttività del personale in servizio all’amministrazione
centrale. Dopo aver riferito il numero complessivo dei dipendenti (296 dei
quali 248 nel ministero, 41 comandati da amministrazioni dipendenti e 7
diurnisti), il funzionario si domandava se quel numero eccedesse o meno ““il
bisogno quotidiano del ministero””. Per rispondere alla domanda – aggiungeva
subito- ““reputasi opportuno di ripartire gli impiegati del ministero in tante
categorie quante sono le differenze generali degli incarichi loro affidati,
poscia di constatare quanto sia il lavoro fatto da ciascuna categoria per
conoscere finalmente l’opera di ciascun impiegato”“. Seguiva quello che era
forse il primo prospetto ragionato della distribuzione del lavoro per funzioni
e dei carichi di lavoro in un’amministrazione italiana. Secondo il prospetto
elaborato dal capo di divisione, ai lavori di segreteria risultavano addetti
143 impiegati, che negli ultimi tre mesi del 1869 avevano ““spedito”” 372
affari giornalieri: ““ma per 372 affari - si annotava a margine - devono
bastare cento minutanti e il loro numero può quindi ridursi di 43. Ai lavori di
contabilità erano stati invece addetti 38 impiegati: i mandati di pagamento,
che nel 1866 erano stati 15.292, erano divenuti 19.153 nel 1867 e nel 1868,
24.302 (per una somma di oltre 36 milioni); aggiungendovi i mandati legati al
pagamento delle spese fisse mediante prospetti presso gli uffici finanziari
(“dei quali – si avvertiva - non potei avere precisa individuazione”) il carico
di lavoro per questo tipo di lavori saliva a circa 50 mila atti di contabilità
all’anno, il che giustificava pienamente il numero degli addetti. I lavori di
archiviazione e protocollo impiegavano 28 persone. Si potevano calcolare
inoltre 360 registrazioni in arrivo e altrettante di partenza ogni giorno, il
che suggeriva la possibilità di qualche minima diminuzione degli addetti, ma
solo quando il personale avesse pienamente padroneggiato le tecniche di
registrazione e fosse cresciuta di conseguenza la produttività individuale (per
intanto giudicata bassa). Ai lavori di copiatura risultavano attribuiti 33
impiegati, impegnati nella copia dei 372 affari giornalieri: erano – arguiva da
un rapido calcolo la relazione – circa 700 pagine al giorno, cioè circa 20
pagine al giorno per copista ““che difficilmente si riuscirebbe a sorpassare
con impiegati e solo potrebbesi con scrivani pagati a giornata”“. Emergeva
dunque l’uscita di sicurezza tipica dell’amministrazione ottocentesca: quella
del ricorso all’avventiziato, pagato a cottimo, senza diritti, dotato
strutturalmente di una capacità di lavoro più elevata di quanto non accadesse
alla pur operosa burocrazia di quei primi anni. Infine la relazione menzionava
i 3 impiegati addetti al servizio interno e i 10 assegnati alla matricola
(uffici che nel 1870 erano stati appena istituiti) e si concludeva con alcune
proposte di parziale diminuzione del personale. Questo tipo di indagini non
era, all’epoca, un fatto isolato. L’abitudine alla statistica dell’attività, il
calcolo degli affari e delle risorse disponibili, la ricerca di più elevati
standard di produttività del lavoro burocratico (magari, come in questo caso,
attraverso l’introduzione di personale precario da adibire a compiti di copia),
erano, negli uffici del nuovo Regno d’Italia, abbastanza diffusi. Nel maggio
del 1862 erano state addirittura emanate delle Disposizioni per conoscere la
quantità e la qualità del lavoro eseguito da ciascun impiegato. Alcune
amministrazioni (per esempio il Consiglio di Stato) tenevano annualmente la
contabilità degli affari trattati, distinti per genere e tipologia. Inoltre il
rapporto tra costi e tempi di esecuzione non era del tutto ignoto, come
dimostra, nel 1866, una vera e propria simulazione messa in atto dallo stesso
Ministero dell’interno, per stabilire quanto tempo e quanti passaggi burocratici
occorressero per un mandato di pagamento qualunque (per pagare lire 20 ad una
ballerina del Teatro San Carlo di Napoli, ad esempio, o per comprare 12 sedie
della Regia Scuola di ballo della stessa città- (“I passaggi necessari erano
risultati nel primo caso 15. Il tempo 1 ora e 17 minuti” in G. MELIS, Gli
albori della produttività burocratica: organizzazione del lavoro e cultura
dell’amministrazione nell’Italia postunitaria, in Rivista trimestrale di
scienza dell’amministrazione, 1989, n. 3, pp. 95 e ss.). L’esasperata
necessità di controllare la spesa, collegabile alla politica della lesina di
quei primi anni di amministrazione unitaria, induceva insomma ad una ricerca di
razionalizzazione, sebbene questa esigenza per così dire ““efficientistica”“
(ma l’aggettivo costituisce un consapevole anacronismo) entrasse in contrasto
con la rigidità delle strutture e delle norme, con le prassi codificate che i
primi regolamenti ministeriali imponevano al lavoro negli uffici.Piuttosto che
i ritmi e le quantità di atti prodotte prendevano via via il sopravvento le
superiori esigenze della regolarità, della uniformità, della legalità. Dopo il
1869 (per effetto della nuova legge di contabilità che porta il nome del
ministro Cambray Digny) la complessità delle scritture contabili e la densità
degli accertamenti avrebbero concorso a rallentare l’amministrazione, imponendo
all’atto amministrativo una sequenza di ““stazioni”“ più lunga e faticosa di
quanto non avvenisse nei primi anni di esperienza unitaria. Del resto era la
complessità stessa dell’attività amministrativa, a sua volta dipendente dalla
più fitta articolazione degli interessi nella società italiana di fine secolo,
ad introdurre nuove e più elaborate forme di procedimentalizzazione e di controllo…”.
Per un profilo storico dell’evoluzione della p.a. cfr.
SEPE-MAZZONE-PORTELLI-VETRITTO, Lineamenti di storia dell’amministrazione
italiana (1861-2002), Carocci, Roma, 2003
[4] Ora sostituito dal d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165
che ha espressamente abrogato l’art. 20 del d.lgs. 29/1993 fatta eccezione per
il comma 8, confluito nell’art. 24 del d.lgs.165/2001 - cfr. F. CARINGELLA, Corso
di diritto amministrativo, Milano, 2001, 1496. Cfr. anche S. AURIEMMA, Norme riunite sul rapporto di lavoro dei
dipendenti pubblici, in Notizie della
scuola, ed. Tecnodid, Napoli, 2001
[5] F. CARINGELLA, op. cit., 1496
[6] F. CARINGELLA, op. cit., 1497
[7] B. MANNA, Controlli di gestione e metodi di
valutazione, in Riv. Corte dei conti, 2001, 1, 281 e ss.; A. VILLA, Il
controllo di gestione nella pubblica amministrazione, in Riv. Corte dei
conti, 2001, 1, 310 e ss.
[8] L’attuazione di un coerente sistema di
valutazione della dirigenza è risultato, almeno inizialmente a livello di
amministrazione statale, l’ “anello debole” di tutto l’impianto. Se ne trovava
conferma nella “Direttiva del presidente del consiglio dei ministri del 15
novembre 2001-Indirizzi per la predisposizione della direttiva generale dei
ministri sull’attività amministrativa e sulla gestione per l’anno 2002” (in
G.U., serie gen. 22 gennaio 2002, n. 18), che assumeva il valore di una
“dichiarazione confessoria”, ove si affermava che “Nessuna amministrazione
dello Stato attualmente è in possesso di un sistema valido e funzionante di
valutazione dei dirigenti. E’ necessario che a partire dal 2002, tutte le
amministrazioni dispongano di un sistema di valutazione delle prestazioni, dei
comportamenti organizzativi e dei risultati conseguiti dai dirigenti utilizzabile
per l’attribuzione della retribuzione di risultato”. Lo stato attuale del
sistema di valutazione dei dirigenti nei ministeri è indicato in Presidenza del
consiglio dei ministri-Comitato tecnico scientifico per il coordinamento in
materia di valutazione econtrollo strategico nelle amministrazioni dello
Stato-3^ rapporto-aprile 2004, pag. 31- “…in molte amministrazioni la
valutazione dei dirigenti ha costituito, in realtà, la prima forma di controllo
interno ad essere attivata, anche in assenza di sistemi informativi adeguati ad
alimentare correttamente i processi valutativi….I rischi di questo modo di
procedere sono evidenti: se la valutazione non è basata su criteri
““oggettivi”“, almeno in parte ricavati da sistemi di controllo strategico e di
gestione funzionanti, c’è la possibilità che essa venga percepita come iniqua e
ingiustificata; proprio per l’impatto della valutazione dei dirigenti sulla
remunerazione individuale….”. In dottrina v.. M. RUSCIANO, Spunti su rapporto di lavoro e responsabilità “di risultato” del dirigente pubblico, in Riv. Trim. dir e proc. civ., 1998, 387 e
ss.; M. RUSCIANO, Spunti su rapporto di
lavoro e responsabilità “di risultato”
del dirigente pubblico, in Riv. Trim.
dir e proc. civ., 1998, 387 e ss.; S. RAIMONDI, La dirigenza nei comuni e
nelle province, in Dir.
Amministrativo, 1999, 403; E. CASETTA, Manuale
di diritto amministrativo, Milano, 2000, 154 e ss S. RUSSO, Il management amministrativo, Milano, 2000; M. CLARICH, Riflessioni sui rapporti tra politici e amministrazione (a proposito del T.A.R. Lazio come giudice della dirigenza statale), in Dir. Amministrativo, 2000, 361; L.
TORCHIA, La responsabilità dirigenziale,
Padova, 2000; L. OLIVIERI, Il sistema
degli incarichi dirigenziali e delle revoche
alla luce delle interpretazioni del giudice del lavoro, in www. giust.it.-n. 8- 2000; M. RENNA, Il responsabile del procedimento a (quasi)
dieci anni dall’entrata in vigore
della legge n. 241, in Diritto amm.vo,
2000, pagg. 505 e ss.; ; G. GARDINI, Imparzialità
amministrativa e nuovo ruolo della dirigenza pubblica, in Dir. Amministrativo, 2001, 39 e ss,; F.
CARINGELLA, Corso di diritto
amministrativo, Milano, 2001, 971 e ss.; L. ANGIELLO, La valutazione dei
dirigenti pubblici, Milano, 2001; L. OLIVIERI, Le principali novità della riforma della dirigenza pubblica, in www.giust.it- n. 10-2001; P. SANTINELLO, Dirigenza e incarichi, in L’ordinamento degli enti locali, a cura
di M. BERTOLISSI, Bologna, 2002, 469 e ss.; A. PROVENZANO, Il nuovo assetto della dirigenza degli enti locali nel previsto
scenario della riforma. Prospettive e soluzione
delle problematiche in atto, in www.giust.it- n. 10-2002; L. OLIVIERI, La fattoria dei dirigenti,
in www.giust.it-n.
6-2001; M. GRECO, Dirigenti, responsabili
di procedimento e presidenza delle gare d’appalto, in www.giust.it,
n. 6-2001; L. OLIVIERI, Organizzazione
interna-Principi di flessibilità e distribuzione delle competenze tra la dirigenza, alla luce della normativa vigente negli
enti locali, in www.giust.it,
n. 11-2000; L. OLIVIERI, Le competenze
della dirigenza nell’assetto degli enti locali disegnato dal testo unico - Il
riparto in rapporto al segretario e
al direttore generale, in www.giust.it, n. 10-2000; C. SAFFIOTTI, Ancora sulla figura del direttore
generale dei comuni e delle province, in www.giust.it, n. 7/8-2000; R.
NOBILE, Piccoli comuni e responsabili
di servizi fra il d.lgs. 18-8-2000 n. 267
e la legge 23-12-2000 n. 388. Una querelle mai sopita, in www.giust.it,
n. 1-2001; G.GARDINI, Imparzialità amministrativa e nuovo ruolo della
dirigenza pubblica, in Dir. amm., 2001, 471 e ss.; A. RENDE, Elementi di criticità nell’attuale status
dei segretari comunali e provinciali, in www.giust.it,
n. 6-2001; M.CUCCURU, Il nuovo status dei
segretari comunali e provinciali, in Foro
amm., 2001 - n.7-8, 2219 e ss.; G. NICOSIA, I nuovi meccanismi di responsabilizzazione della dirigenza pubblica: gli incarichi di
funzione dirigenziale, in Foro it., 2001, I, 720; G. D’AURIA, La privatizzazione della dirigenza pubblica,
fra decisioni delle corti e ripensamenti del legislatore, in Foro it.,
2001, I, 2965; S. TENCA, Natura giuridica degli atti compiuti dal datore di
lavoro nel rapporto di pubblico impiego privatizzato con particolare riguardo
al conferimento di incarichi dirigenziali, in Foro amm., 2001, 1436
e ss.; A. BALDANZA, Il ruolo unico della dirigenza: strumento di separazione
fra politica e amministrazione o di soggezione?, in Foro amm., 2002,
1549 e ss.; L. OLIVIERI, Il problema del recesso ad nutum per la dirigenza
degli enti locali, in www.LexItalia.it ; L. OLIVIERI, L’organizzazione
intesa come ripartizione tra organi di uno o più uffici delle modalità di
esercizio dei poteri attribuiti da altra fonte (nota a TAR Campania-Napoli,
sez. II, 18 dicembre 2003, n. 15430), in www.LexItalia.it, 1/2004; M.
L., Statuti e regolamenti comunali e principio di separazione tra attività
di indirizzo politico e attività di gestione (nota a Cons. Stato, sez. V,
23 giugno 2003, n. 3717), in Foro amm., 2003, 7-8, 2264 e ss.; per la
finalizzazione dei controlli interni anche in relazione alle nuove
problematiche connesse al “mobbing” nelle amministrazioni pubbliche cfr. M.
ORICCHIO, Il mobbing entra nella giurisprudenza costituzionale (nota a
Corte cost. sent. 19 dicembre 2003 n. 359), in www.lexitalia.it-1/2004
- “…Una notazione particolare merita infine il mobbing nella pubblica amministrazione:
qui è auspicabile una rivalutazione del primato del principio di legalità
dell’azione amministrativa in uno al pieno utilizzo degli organi di controllo
interno per monitorare la situazione dei dipendenti sotto il profilo non solo
del loro rendimento, ma anche della corretta gestione delle risorse umane…”;
circa le problematiche emergenti con riferimento alla valutazione della
dirigenza v. S. CASSESE,Cosa vuol dire amministrazione di risultati?, in
Giorn. dir. amm.,2004,9,. 941 cit.; v. anche M. MONTINI, La
resistibile ascesa del diritto privato e la (incognita) natura degli atti di
conferimento degli incarichi dirigenziali (nota a Cass. sez.. lav., 19 marzo
2004 n. 5565 e 28 luglio 2003 n. 11589), in Foro amm.-CdS., 2004,
7-8, 2069 e ss. e, M. NISPI LANDI, La via italiana allo spoil sistem (nota a
Corte dei conti, sez. centr. contr. Di leg., 22 giugno 2004, n. 6/P, 7 luglio 2004,
n. 7/P e 20 luglio 2004, n. 9/P, in Foro amm.-CdS., 2004, 7-8, pp.
2336 e ss.
[9] M. R. TESTA,
Controlli interni: attori, strumenti, contesti, in Riv. Corte dei
conti, 2003, 4, 287 e ss.;cfr. anche i documenti della Presidenza del
Consiglio Dei Ministri - Comitato tecnico scientifico per il coordinamento in
materia di valutazione e controllo strategico nelle amministrazioni dello
Stato: Quaderno su stato e prospettive dei processi di programmazione
strategica e controlli interni nei ministeri alla luce del secondo rapporto del
comitato- Roma- Università di Tor Vergata-18 marzo 2003 e Milano-Politecnico
8 maggio 2003 e Processi di programmazione strategica e controlli
interni nei ministeri:stato e prospettive- Terzo rapporto-aprile 2004
[10] A. CAROSI, La nuova disciplina dei
controlli interni introdotta dal d.lgs. 286/99, in Enti pubblici, n.
9, 2000, 451 e ss. ove ancora viene osservato che “L’incompatibilità sancita
per legge ha quale prima concreta conseguenza la decadenza dei servizi di
controllo interno previsti dal previgente testo dell’art. 20 del d.lgs. 29/1993
entro tre mesi dall’entrata in vigore del decreto legislativo n. 286/99 (art.
10 comma 3): le funzioni esercitate saranno scomposte tra le strutture preposte
alle nuove tipologie di controllo (art. 10 comma 2)…”.
[11] L’art. 3 del d.lgs. 286/1999 detta invece
disposizioni sui controlli “esterni” di regolarità amministrativa e contabile,
riferendosi espressamente alla Corte dei conti (per F. CARINGELLA, op. cit.,
1496, tale collocazione è dovuta a mera “affinità” di materia), prevedendo da
un lato (comma 1), l’abrogazione dell’art. 8 della legge 21 marzo 1958 n. 259
(legge riguardante il controllo della Corte dei conti sugli enti sovvenzionati
dallo Stato) e al comma 2°, la espressa potestà autoorganizzativa della Corte,
la quale, al fine di adeguare l’organizzazione delle proprie strutture di
controllo al sistema dei controlli interni delineato nel d.lgs. 286/99, con la
possibilità di ridefinire il numero, la composizione e la sede dei propri organi
adibiti a “compiti di controllo preventivo su atti o successivo su pubbliche
gestioni”, nonché degli organi di supporto, “…nell’esercizio dei poteri di
autonomia finanziaria, organizzativa e contabile ad essa conferita dall’art.4
della legge 14 gennaio 1994 n. 20…”. In ordine all’ abrogazione dell’art. 8
della legge 259 secondo il quale “la Corte dei conti, oltre a riferire
annualmente al Parlamento, formula, in qualsiasi momento, se accerti
irregolarità nella gestione di un ente e, comunque, quando lo ritenga
opportuno, i suoi rilievi al Ministro per il tesoro e al Ministro competente”
va ricordato che la Corte costituzionale, con sentenza n. 139 del 9-17 maggio
2001 (G.U. 23 maggio 2001 n. 20, 1^ serie spec.) ha accolto il conflitto di
attribuzioni sollevato dalla Corte dei conti, dichiarando la “non spettanza al
Governo” del potere di adozione della norma contestata che è stata
conseguentemente annullata, motivando in base al mancato rispetto dei limiti
della delega legislativa contenuta nella legge n. 59 del 1997, all’art. 11,
comma 1 lettera c che aveva attribuito al Governo una delega legislativa per
““riordinare e potenziare i meccanismi e gli strumenti di monitoraggio e di
valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell’attività svolta dalle
amministrazioni pubbliche”“ senza nulla prevedere con riferimento agli enti cui
lo Stato contribuisce in via ordinaria, non potendosi comprendere tali enti
nell’oggetto della delega (amministrazioni pubbliche - art. 11, comma 1,
lettera c) poiché quella degli enti sovvenzionati è una categoria eterogenea,
che nel sistema normativo vigente, conformemente a quanto accadeva nella
legislazione precostituzionale, è oggetto di disciplina distinta da quella che
riguarda le strutture della pubblica amministrazione. In generale, sulla
distinzione fra controlli esterni ed interni può osservarsi che la dottrina
amministrativa (E. CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, Milano,
2000, 126) colloca il controllo fra le “relazioni interorganiche” e consiste
“…in un esame da parte in genere di un apposito organo, di atti e attività
imputabili ad un altro organo controllato. Il controllo, che è sempre doveroso
(nel senso che l’organo chiamato a svolgerlo non può rifiutarsi di svolgerlo),
accessorio rispetto ad un’attività principale e svolto in forma tipiche, si
conclude con la formulazione di un giudizio, positivo o negativo, sulla base
del quale viene adottata una misura. Il controllo può anche essere esercitato
da organi di un ente nei confronti di organi di un altro ente,in tal senso si
distingue fra controlli interni o esterni, …può essere condotto alla luce di
criteri di volta in volta differenti – conformità alle norme (controllo di
legittimità),(ovvero a criteri di) opportunità, efficienza, efficacia e così
via – ed avere …oggetti assai diversi tra di loro: organi, atti normativi (si
pensi ai regolamenti),atti amministrativi di organi individuali e collegiali
…contratti di diritto privato, attività…”. I controlli esterni non riguardano
tuttavia solo rapporti fra organi ma in genere si riferiscono a quelli che si
realizzano al di fuori dell’amministrazione (G. LADU, Il sistema dei controlli, in A.A.VV.,Contabilità di Stato e degli enti pubblici, Torino,
Giappichelli,1993, 177 e ss.) “…Vi è così, innanzitutto un controllo
parlamentare, proprio delle camere in relazione all’attività del Governo, con
specifico riferimento all’attività finanziaria. Vi è, quindi, il controllo
giudiziario, svolto dalla magistratura sugli atti della pubblica
amministrazione, in ordine ai ricorsi proposti dai cittadini contro provvedimenti
lesivi diritti e interessi. Vi è infine, ed è il più rilevante ai fini della
contabilità pubblica, il controllo della Corte dei conti, la cui funzione è
appunto riconosciuta a livello costituzionale…”. L’istituzione della Corte dei
conti risale alla legge 800/1862 (cfr. A. CAROSI, Le funzioni di controllo della Corte dei conti. I meccanismi di
raccordo con il sistema dei controlli interni, in Atti del Seminario
permanente dei controlli della Corte dei conti, Roma, 2000) “…Fin dall’origine le funzioni principali della
Corte furono quella di controllo e quella giurisdizionale. Il controllo era di
natura preventiva su atti (art. 13 legge 14 agosto 1862, n. 800) e consuntiva
sulle gestioni (artt. 28 e segg. legge citata). La giurisdizione riguardava
essenzialmente il giudizio di conto (art. 33 e segg. legge citata) per
estendersi successivamente al giudizio di responsabilità (art. 61 e segg. della
legge di contabilità generale 22 aprile 1869, n. 5026). Nel 1865 la sede fu
trasferita a Firenze e successivamente a Roma nel 1871. Negli anni trenta, con
il testo unico approvato con r.d. 12 luglio 1934, n. 1214 e il regolamento di
procedura approvato con r.d. 13 agosto 1933, n. 1038, le funzioni dell’istituto
furono ridisciplinate in modo organico. Nella Costituzione Repubblicana (artt.
100 e 103), la disciplina della Corte è stata concepita in modo simmetrico a
quella del Consiglio di Stato, individuando due fondamentali funzioni: quella
di controllo e quella giurisdizionale. Riguardo al controllo, l’art. 100
prevede che “la Corte dei conti esercita il controllo preventivo di legittimità
sugli atti di Governo, e anche quello successivo sulla gestione del bilancio
dello Stato. Partecipa, nei casi e nelle forme stabilite dalla legge, al
controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in
via ordinaria. Riferisce direttamente alle Camere sul risultato del riscontro
eseguito.”Nella sua ultracentenaria storia la Corte è stata valorizzata sia
come organo ausiliario del Parlamento che del Governo. Nello Stato prefascista
è stata enfatizzata, sulla scia dell’insegnamento di Quintino Sella, piuttosto
la funzione ausiliaria al Parlamento. Nel periodo fascista, invece, l’attività
della Corte era vista soprattutto come supporto al Primo Ministro. La Carta
Costituzionale, pur codificando la tradizionale funzione di controllo della
Corte dei conti, pone l’accento sul carattere ausiliario della funzione al
Parlamento, non disconoscendo tuttavia l’importanza del rapporto con il Governo
e con le amministrazioni assoggettate al controllo. La Costituzione ribadisce
con forza il carattere di indipendenza dell’Istituto dal potere politico, la
cui più alta espressione è la qualifica magistratuale dei funzionari di vertice
preposti al controllo. Originariamente la funzione di controllo era svolta in
modo accentrato. Con il decreto luogotenenziale n. 355/1945 l’attività fu
decentrata mediante la istituzione delle delegazioni, aventi sede nei
capoluoghi di Regione. Esse, tuttavia, facevano capo alla Sezione centrale del
controllo e solo con la istituzione delle regioni a statuto speciale e delle
province autonome si ebbero le prime sezioni regionali del controllo (con la
eccezione della Valle d’Aosta). Con la legge 21 marzo 1958, n. 259, in
attuazione dell’art. 100 della Costituzione, fu istituito il controllo della
Corte dei conti sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce
in via ordinaria. Con il decreto legge 22 dicembre 1981, n. 786, convertito con
modifiche nella legge 26 febbraio 1982, n. 51, fu istituito altresì un
controllo sulla gestione finanziaria degli enti locali. Con la legge 20/94 il
controllo della Corte dei conti è stato esteso a tutte le pubbliche
amministrazioni… Le funzioni di controllo sono esercitate oggi da diverse
sezioni articolate su base centrale e regionale, alcune istituite per legge,
altre con regolamento delegato…La Riforma introdotta dalla legge del 1994,
successivamente modificata ed in particolare dal decreto legge 23 ottobre 1996
n. 543, convertito nella legge 639/96, costituisce l’apice di un lungo
dibattito dottrinale sulla natura e sulla funzione della suprema istituzione di
controllo italiana…da un lato, gli atti assoggettati a controllo preventivo
sono stati drasticamente ridotti alle tipologie indicate nell’art. 3, comma 1,
della legge 20/94; dall’altro, la sfera del controllo successivo è stata
ampliata a tutte le amministrazioni pubbliche ed è stato previsto il mantenimento
del sindacato di legalità accanto ai nuovi parametri aziendalistici della
efficacia, efficienza ed economicità. Il vigente ordinamento risultante
dall’innesto delle leggi 19 (riguardante la giurisdizione) e 20 del 1994
(successivamente assoggettate a modifiche e integrazioni) sul vecchio testo unico
del 1934 (e leggi complementari) attribuisce dunque alla Corte dei conti
funzioni giurisdizionali, requirenti e di controllo. Pur tenendo conto delle
profonde innovazioni intervenute nel tempo, si può dire che la Corte conserva
le originarie attribuzioni di controllo preventivo, successivo e
giurisdizionale e la originaria connotazione di Istituzione di controllo di
tipo generalista, cioè con competenza estesa a più materie e più soggetti
operanti nell’ambito amministrativo…Le tipologie di controllo esercitate dalla
Corte dei conti sono essenzialmente due: controllo preventivo su atti,
controllo successivo sulla gestione.Vi sono, peraltro, fattispecie aventi
connotati differenziati. Il controllo successivo su atti, ad esempio, si svolge
con le stesse modalità del controllo preventivo, ma non è condizione di
efficacia dell’atto stesso e non è soggetto a termini perentori per il suo
esercizio. La “parifica” ha per oggetto il rendiconto generale dello Stato e ne
confronta i risultati tanto per le entrate, quanto per le spese, alle leggi del
bilancio. Il controllo sui contratti collettivi ha modalità temporali di tipo
preventivo ma contenuto di tipo successivo ed è essenzialmente limitato alla
certificazione di congruità degli oneri assunti sul bilancio. Nel controllo di
copertura delle leggi il sindacato, di carattere successivo, si concentra sulla
congruità degli oneri finanziari introdotti dalle nuove leggi con le risorse di
bilancio.Il controllo sugli enti sovvenzionati è di tipo squisitamente
soggettivo, attenendo al complesso della gestione inerente al soggetto
controllato. Il controllo sulla gestione in senso stretto, previsto dall’art.
3, comma 4, è indubbiamente il controllo più esteso sotto il profilo dei
parametri e degli elementi di prova utilizzabili per le valutazioni finali.
Esso può avere, oltre a quella successiva, anche una cadenza concomitante, cioè
contestuale allo svolgimento della gestione amministrativa…”. Sotto il profilo
dell’autoorganizzazione di cui all’art. 3 del decreto legislativo 30 luglio
1999 n. 286, le Sezioni riunite della Corte dei conti hanno approvato in data
16 giugno 2000 il regolamento per l’organizzazione delle funzioni di controllo
della Corte dei conti (cfr. A. SCUDIERI, L
‘ordinamento della Corte dei conti,, in Atti del Seminario permanente
dei controlli della Corte dei conti, Roma, 2000, 292 e ss.) prevedendosi in
particolare, l’istituzione delle sezioni regionali di controllo (art. 2), per
ogni regione a statuto ordinario (con sede nel capoluogo) e con le funzioni in
precedenza attribuite alle delegazione e ai collegi regionali di controllo. In
particolare esercitano ai sensi dell’art. 3 commi 4, 5 e 6 della legge 14
gennaio 1994 n. 20, il controllo sulla gestione delle amministrazioni regionali
e loro enti strumentali ai fini del referto ai consigli regionali,nonché il
controllo sulla gestione degli enti locali territoriali e loro enti strumentali,
delle università e delle altre istituzioni pubbliche di autonomia aventi sede
nella regione. Il controllo comprende la verifica della gestione dei
cofinanziamenti regionali per interventi sostenuti con fondi comunitari nonché
il controllo di legittimità su atti e il controllo sulla gestione delle
amministrazioni dello Stato aventi sede nella regione. Sono poi previste la
“sezione centrale del controllo di legittimità su atti del Governo e delle
amministrazioni dello Stato”, gli “uffici centrali di controllo di legittimità
sugli atti” (art. 4) hanno competenze riferite a raggruppamenti di ministeri
(atti ministeri istituzionali;- atti ministeri economico finanziari;- atti
ministeri attività produttive; -atti ministeri delle infrastrutture e assetto
del territorio;- ministeri dei servizi alla persona e dei beni culturali), la
sezione centrale del controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato
(art. 7), gli uffici centrali di controllo sulla gestione delle amministrazioni
dello Stato (in numero di cinque) con competenze suddivise per tipologia di
ministeri, in analogia con quanto previsto per gli uffici di controllo su atti.
L’ufficio di controllo sui ministeri economico finanziari esercita inoltre il
controllo sulla gestione delle contabilità di tesoreria, spese fisse e debito
vitalizio mentre l’ufficio di controllo sui ministeri delle attività produttive
esercita il controllo sulle gestioni fuori bilancio e sui fondi di rotazione.
Il controllo sulle entrate, sull’esecuzione delle sentenze di condanna della
Corte dei conti, sull’officina carte valori, Zecca e magazzini dello Stato, è
svolto da un’apposita articolazione operante nell’ambito dell’ufficio di
controllo sui ministeri economico finanziari, con assegnazione di congruo numero
di magistrati da parte del Consiglio di Presidenza. La ripartizione di
competenza non esclude che le indagini si estendano “ …a tutti i soggetti
pubblici interessati al fenomeno gestorio…”. L’art. 5 definisce il processo di
programmazione del controllo sulla gestione, stabilendo che le sezioni riunite
in sede di controllo definiscono, entro il 30 ottobre di ciascun anno, il
quadro di riferimento programmatico, anche pluriennale, delle indagini di
finanza pubblica e dei controlli sulla gestione e i relativi indirizzi di
coordinamento e criteri metodologici di massima; programmano, inoltre, entro il
il 15 novembre, indagini relative a più sezioni, tenendo conto di eventuali
richieste formulate dal parlamento e determinano, secondo criteri di
prevalenza, la sezione competente, ovvero definiscono le modalità della collaborazione
operativa tra le sezioni interessate. I programmi di indagine intersettoriale
relativi ad analisi generali di finanza pubblica possono essere svolti
direttamente dalle sezioni riunite anche in collaborazione con le sezioni di
controllo. Le sezioni centrali e regionali di controllo, previa analisi di
fattibilità e nel rispetto di quanto disposto dal comma 1 deliberano i propri
programmi di controllo entro il 30 novembre di ciascun anno. I programmi
individuano anche metodologie di analisi sul funzionamento dei controlli
interni ai sensi delle norme vigenti, al fine di verificarne l’azione e di
trarre indirizzi per la successiva programmazione delle attività di controllo.
Oltre a svolgere l’attività di programmazione di cui al precedente art. 5, le
Sezioni riunite in sede di controllo (art. 6), oltre alla competenza in tema di
controllo preventivo di cui all’art. 25 t.u. Corte dei conti (visto con
riserva), deliberano sul rendiconto generale dello Stato riferendo al
Parlamento sulla finanza pubblica (giudizio di parificazione – artt. 39-40-41
t.u. Corte dei conti) e deliberano sulla regolarità del rendiconto generale
della regione autonoma Trentino-Alto Adige e delle province autonome di Trento
e Bolzano …. Svolgono le funzioni di certificazione del costo del lavoro
pubblico e di informazione al parlamento di cui al già cit. d.lgs. 165/2001;
riferiscono ogni quattro mesi sulla copertura finanziaria delle leggi (art. 11
ter, comma 6 legge 468/1978). Deliberano anche sulle questioni di competenza in
tema di controllo. È anche prevista la “sezione autonomie”, (art. 9) che sostituisce
la Sezione Enti locali, dovrebbe realizza il raccordo di omogeneizzazione fra
la funzione di controllo svolta dalle sezioni regionali e rimane competente a
riferire al Parlamento, almeno una volta in ciascun esercizio finanziario,
sull’andamento generale della finanza regionale e locale anche tenuto conto dei
referti delle sezioni regionali e con riferimento al rispetto del quadro delle
compatibilità generali di finanza pubblica poste dall’Unione europea e dal
bilancio dello Stato ed agli strumenti di riequilibrio e solidarietà definiti
dalla costituzione e dalle leggi dello Stato. Vi sono infine la “sezione di
controllo per gli affari comunitari ed internazionali” (art. 10) che riferisce
almeno annualmente al Parlamento sulla gestione dei fondi strutturali comunitari
da parte delle amministrazioni e degli altri organismi con riferimento
all’attuazione dei quadri comunitari di sostegno ed al rispetto dei principi
definiti dall’Unione europea, con particolare riferimento agli interventi nelle
aree depresse, sull’utilizzo di altri finanziamenti e programmi comunitari,
sullo stato delle risorse della comunità di pertinenza nazionale e dei relativi
sistemi di verifica; sulla consistenza e sulla causa delle frodi ai danni della
comunità e sulle relative misure preventive e repressive nonché la sezione di
controllo sugli enti “sovvenzionati”, che svolge un compito attribuito alla
Corte direttamente dalla Carta Costituzionale, la quale all’art.100 prescrive
che “La Corte dei conti partecipa, nei casi e nelle forme stabilite dalla
legge, al controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato
contribuisce in via ordinaria. Riferisce direttamente alle Camere sul risultato
del riscontro eseguito” e la cui attuazione è avvenuta con la legge 21 marzo
1958, n. 259. Sempre in tema di autoorganizzazione va anche segnalata
l’adozione, da parte delle sezioni riunite della Corte dei conti del
Regolamento per l’organizzazione ed il funzionamento degli uffici
amministrativi e degli altri uffici con compiti strumentali e di supporto della
Corte dei conti”, adottato con deliberazione 18 luglio 2001, n. 22, in G.U.
1.8.2001 n. 177. Nel corso del 2003, con l’approvazione della legge “La
Loggia”, di attuazione della legge costituzionale n. 3 del 2001 è stata
ribadita la funzione di controllo sulla gestione delle autonomie regionali e
locali per le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti.
Per i vari tipi di controllo e anche con riguardo ai rapporti fra i
controlli “interni” ed il controllo “esterno” esercitato dalla Corte dei conti,
cfr. anche G. D’AURIA, Autonomie locali e controlli, in Foro
it., 1994, I, 3309 e ss.; G. COGLIANDRO, I controlli sul personale
pubblico, in Rass Amm.ne e contabilità, 1999, 5 e ss.; C.
CHIAPPINELLI, Federalismo e aziendalizzazione in sanità: una riflessione sul
sistema dei controlli interni ed esterni, in www.am.corteconti.it;
M. CARABBA, Programmazione di bilancio e controllo di gestione, in www.amcorteconti.it;
R. SCALIA, La valutazione dei piani e dei programmi, in www.amcorteconti.it;
A. GALLIANI, Prime esperienze del controllo sulla gestione (esterno)
mediante la contabilità economica negli enti locali territoriali, in www.amcorteconti.it;
G. GINESTRA, Le sezioni regionali della Corte dei conti dopo la legge 5
giugno 2003, n. 131, cit.; M. NISPI LANDI, Controllo preventivo e
successivo su atti: analogie e differenze, in Foro amm.- CdS,
2003,5, 1711 e ss.; M. NISPI LANDI, Questioni di costituzionalità in sede di
controllo preventivo: la retromarcia della Corte dei conti, in Foro
amm.- CdS, 2003, 1, 293 e ss. ; A. CAROSI, Le prospettive del controllo
sulla gestione nel nuovo ordinamento federale, in Questa Rivista,
2003, 1-3, 77 e ss.; M. CIACCIA, Il controllo della Corte dei conti sugli
enti sovvenzionati, in Questa Rivista, 2003, 4, 297 e ss.
[12] legge 22 dicembre 1996 n. 662, art. 1 comma 62
“Per effettuare verifiche a campione sui dipendenti delle pubbliche
amministrazioni, finalizzate all’accertamento dell’osservanza delle
disposizioni di cui ai commi da 56 a 65 (trasformazione dei rapporti di
lavoro a tempo determinato in rapporti a tempo parziale e incompatibilità dei
pubblici dipendenti), le amministrazioni si avvalgono dei rispettivi
servizi ispettivi, che, comunque, devono essere costituiti entro il termine
perentorio di trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente
legge. Analoghe verifiche sono svolte dal dipartimento della funzione pubblica
che può avvalersi, d’intesa con le amministrazioni interessate, dei predetti
servizi ispettivi, nonché, d’intesa con il ministero delle finanze ed anche ai
fini dell’accertamento delle violazioni tributarie, della Guardia di finanza”
[13] A. CAROSI, Le funzioni di controllo della
Corte dei conti. I meccanismi di raccordo con il sistema dei controlli interni,
in Atti del Seminario permanente dei controlli della Corte dei conti,
Roma, 2000.
Sull’aspetto della programmazione “…può concentrarsi il riscontro della
Corte dei conti per verificare se la pianificazione delle ispezioni tenga conto
di settori amministrativi caratterizzati da alto rischio di irregolarità e/o
illecito e contemporaneamente sia articolata con criteri obiettivi e modalità
proporzionate…”
[14] P. SANTORO, I controlli di legalità degli
atti normativi e amministrativi dei pubblici poteri, in Riv. Corte dei
conti, 2001, 5, 310 e ss.e ancora P. SANTORO, Il controllo di
legittimità su atti e gestioni statali, in Riv. Corte dei conti,
2003, 3, 356 e ss.; G. D’AURIA, La presidenza del consiglio dei ministri è
un organo costituzionale? (a proposito della “restituzione” alla Corte dei
conti del controllo preventivo di legittimità sugli atti della presidenza del
consiglio dei ministri (nota a Corte cost., 29 maggio 2002, n. 221), in Foro
it., 2003, I, 36 e ss.
[15] F. CARINGELLA, op. cit., 1007. V anche
; A. CATELANI, Controlli sull’attività amministrativa e rispetto della
legalità da parte della pubblica amministrazione, in Rassegna
parlamentare, 2004,3, 701 e ss. che propone decise affermazioni dirette a
considerare la perdurante utilità di controlli che assicurino il rispetto
del principio di legalità dell’azione amministrativa, la cui essenziale
funzione di garanzia dei diritti fondamentali dei cittadini e in particolare
delle minoranze è stata fortemente compromessa dal processo di soppressione dei
controlli esterni di legittimità, soprattutto con riferimento alle autonomie
regionali e locali (cfr. 716 “…Attraverso le più recenti riforme la legalità si
fludifica in un fumoso controllo di gestione, nel quale tutto si può fare, ed è
lecito. Le riforme introdotte vanificano il significato e la funzione della
legge, della legalità, in nome di una vera o supposta efficienza amministrativa…”).
[16] A. CAROSI, op. cit., 452.
[17] A. CAROSI, op. cit., 453.
[18] G. COGLIANDRO, op. cit. 21 e ss.
[19] G. COGLIANDRO, op. cit. 21 e ss.
[20] V. TENORE, Il procedimento di controllo
ispettivo, in www.amcorteconti.it; G. NOVELLO - V. TENORE,
La responsabilità e il procedimento disciplinare nel pubblico impiego
privatizzato, Milano, 2002, 206-212.
[21] V. TENORE, Il procedimento di controllo
ispettivo, cit..
[22] Per una modificazione delle procedure di
controllo ispettivo con l’applicazione, anche per esse, di metodologie di
auditing aziendale può evidenziarsi l’ esperienza in corso presso l’Agenzia
delle entrate- Cfr. W. PARDINI, I controlli interni nelle aziende private e
nella pubblica amministrazione. L’esperienza dell’Agenzia delle entrate,
Roma, 2003.
[23] Sulla revisione
aziendale, quale genus più ampio rispetto alla revisione contabile,
cfr. L. MARCHI, Revisione aziendale e sistemi di controllo interno,
Milano, 2004, 3-5 - “La revisione aziendale include l’insieme dei procedimenti
di controllo amministrativo contabile e gestionale realizzati a partire
dall’analisi e valutazione dei sistemi di controllo preesistenti. Le
verifiche successive sono svolte attraverso comparazioni spazio-temporali
(revisione indiretta) e/o sul fondamento di indagini sia fisiche che
documentali e nuove rilevazioni dei fenomeni economico ammnistrativi di
azienda, normalmente su base campionaria (revisione diretta). Per comprendere
il significato della suddetta definizione, conviene analizzare in dettaglio le
diverse parti che la compongono. In primo luogo la revisione aziendale è parte
dell’economia d’azienda in quanto, attraverso l’analisi dei sistemi di
controllo, studia le diverse classi dei fenomeni aziendali. Nell’ambito dell’economia
aziendale, si collega funzionalmente alla ragioneria, in quanto, al pari di
quest’ultima, ha per oggetto primariamente i sistemi informativi e di
controllo. Di conseguenza utilizza gli strumenti di indagine tipici sia
dell’economia d’azienda che della ragioneria, pur adattandoli alla
particolarità delle funzioni di controllo oggetto specifico del suo studio. In
secondo luogo, la funzione revisionale può essere svolta a livelli e da organi
diversi, dando luogo alle seguenti classificazioni principali…:- in rapporto
al grado di approfondimento dell’indagine: -a) ispettorato amministrativo;
b) revisione contabile;c) revisione gestionale.- in rapporto ai soggetti
incaricati: 1) revisione interna (svolta da organi interni) ; 2) revisione
esterna (svolta da organi esterni). In terzo luogo, la revisione realizza un controllo
cosiddetto di secondo grado, in quanto interviene per verificare il sistema
di controllo di primo grado (strutture organizzative, sistemi informativi e
sistemi di protezione del patrimonio aziendale), oltre che l’accuratezza, la
sicurezza e l’integrità dei dati a quello collegati. In ultimo, le verifiche
revisionali sulla validità e accuratezza dei dati e dei sistemi di controllo
interno aziendale possono essere sia “dirette” sull’evidenz reale e/o
documentale, con l’ausilio delle tecniche di campionamento statistico e
soggettivo, sia “indirette”, col ricorso alle tecniche di analisi
organizzativa, ambientale ed economico finanziaria. …Ritornando alle diverse
classi della revisione aziendale, questa si distingue anzitutto in rapporto al livello
di svolgimento delle funzioni di controllo….”. Vi sono, ad un primo livello
“…le funzioni cosiddette di ispettorato amministrativo. Queste sono
svolte sulle persone, o meglio sui comportamenti delle persone,
in rapporto alle norme di legge ed alle direttive aziendali,al fine
di scoprire furti, frodi ed irregolarità amministrative in genere, compreso il
non rispetto delle procedure e delle norme di tenuta delle scritture. A livello
intermedio abbiamo la cosiddetta revisione contabile (financial
auditing) che comprende anche le verifiche sugli errori tecnici e
sull’applicazione delle procedure informativo-contabili. L’obiettivo è quello
di esprimere un giudizio sull’attendibilità delle informazioni. Questa
revisione si svolge attraverso l’analisi della documentazione aziendale e dei
diversi ordini di scritture si estende in genere ai valori del bilancio di
esercizio. In questo caso si parla, più specificamente, di revisione di
bilancio. Le suddette verifiche contabili sono dette verifiche per
progressione se seguono lo stesso percorso utilizzato per l’originaria
rilevazione delle operazioni aziendali. Sono dette verifiche per derivazione se
si svolgono in senso inverso:dalle scritture di sintesi (in particolare il
bilancio di esercizio) alla documentazione originaria ed alla realtà
verificabile dei fatti aziendali….” Infine vi è la revisione gestionale
(management auditing) .”… L’obiettivo è quello di esprimere un giudizio
sull’efficacia, efficienza ed economicità delle operazioni (operational
auditing) e quindi di fornire al management “suggerimenti” per interventi
sui sistemi di controllo preesistenti, sui sistemi operativi e sulle strutture
organizzative, realizzando di fatto una consulenza gestionale (management
consulting)…”.
[24] A. CAROSI, op. cit., 453.
[25] F .G. GRANDIS, I principi di revisione
contabile privatistici nella certificazione dei conti pubblici, Intervento
al Convegno su La certificazione dei conti pubblici in Italia e in Europa:
tradizione e prospettive evolutive, Roma- Corte dei conti- 8 marzo 2002.
[26] P. CRISO, Grazie ai revisori P.A. più
efficiente, in Italia Oggi, 13 luglio 2001, 21 – “…oggi però, se
possiamo vantare una pubblica amministrazione più efficace ed efficiente, una
parte del merito va anche al revisore degli enti locali. La sua attività di
attestazione, verifica e di indicazione costituisce una garanzia per la
comunità amministrata. Certo non vanno bene i revisori incapaci e vagabondi, ma
non vanno nemmeno bene le scelte sui revisori che prescindono dalle
professionalità e guardano solo allo schieramento…”.
[27] AA. VV., Ipotesi di sistemazione
metodologica del procedimento di controllo sulla gestione, Roma, Corte dei
conti-Seminario permanente dei controlli- Atti dell’incontro di studio del 17
dicembre 2002.
[28] v. anche E. F. SCHLITZER - A. BALDANZA, Il
controllo di regolarità amministrativa e contabile, in AA.VV. (a cura di E.
F. SCHLITZER), Il sistema dei controlli interni nelle pubbliche
amministrazioni, Milano, 2002, 21 e ss.
[29] F. G. GRANDIS, op. cit..
[30] Sullo stato di adeguamento ai principi
internazionali cfr. T. PITTELLI, Revisione, Italia in ritardo sui principi
internazionali, in Italia Oggi, 3 gennaio 2002, 8- Peraltro la
vicenda “ENRON” ha imposto una generale riflessione sul ruolo dei revisori e
sindaci – cfr. C. BARTELLI, Riflettori accesi sulla revisione
contabile-Difesa del proprio operato e dei metodi utilizzati, e L. DE
ANGELIS, I controlli contabili alle grandi manovre, entrambi in in Italia
Oggi, 25 marzo 2002, 40; F. FALLICA, L’indipendenza del revisore, in
Notiziario della Guardia di Finanza, 2002, n. 6, 447-467. Gli IAS sono
stati tradotti in normativa comunitaria dal regolamento n. 1725/03 dell’Unione
europea. La legge n. 306/03 (comunitaria per il 2003) art. 25, esercitando la
facoltà concessa dal regolamento 1606/02, ha previsto l’estensione obbligatoria
degli IAS ai bilanci di esercizio delle società quotate e ai bilanci di
esercizio e consolidati delle banche, nonché la facoltà di utilizzo (bilanci di
esercizio e consolidati) per tutte le altre società che redigono il bilancio in
forma completa (non abbreviata). Medesima previsione con riferimento ai bilanci
di esercizio e consolidati delle società emittenti strumenti finanziari diffusi
tra il pubblico e ai bilanci consolidati delle imprese di assicurazione, nonché
ai bilanci di esercizio delle stesse, se sono quotate ma non redigono il consolidato.
La legge comunitaria per il 2004 ha poi recepito la direttiva 51/03,
introducendo nel codice civile innovazioni fissate negli IAS in materia di
bilancio e in tema di disposizioni tributarie- cfr. IL SOLE 24ORE-Guida ai
principi contabili internazionali-n. 1 ottobre 2004 (La redazione del bilancio
IAS) e n. 3 –dicembre 2004- v. anche AA.VV. (Introduzione di B. LIBONATI) Diritto
delle società, Milano,2004; per considerazioni su alcuni aspetti
problematici cfr. R. RORDORF,La revisione contabile nelle società, in Foro
it., 2004, 11, V, 130 e ss. che segnala, tra l’altro la questione
dell’indipendenza evidenziando che “…Il requisito dell’indipendenza è da
sempre fortemente ipotecato dal fatto stesso che la società di revisione sia di
volta in volta designata dalla società la cui contabilità ed i cui bilanci sono
da revisionare…”.
[31] Cfr. Principi contabili nazionali annotati
con normativa e prassi, a cura di A. TAMBORRINO, A. VIGANO’ e M.
CARATOZZOLO, Milano, 2002 ; Per i profili storici cfr. C. PRIVITERA, Origine
ed evoluzione del pensiero ragionieristico, Milano, 2003 (in particolare
397 e ss. sulla “nascita della revisione contabile”); P. DI CAGNO – M. TURCO, Origine,
evoluzione, attualità dei significati assunti dai principi contabili, in Rivista
italiana di ragioneria e di economia aziendale (RIREA), 2002, 451 e ss,; G.
BRUNI, Nuove competenze e responsabilità del collegio sindacale, in
RIREA, 2001, 2 e ss.; G. CAPODAGLIO, I principi contabili in Italia e le
loro prospettive future, in RIREA, 2002, 416 e ss.
[32] F. GRANDIS, I principi di revisione
contabile privatistici nelle certificazione dei conti pubblici, in Atti
del Seminario permanente dei controlli della Corte dei conti - La revisione dei
conti pubblici in Italia e in Europa: tradizione e prospettive evolutive,
Roma, 2002, 163 e ss.; V.si anche S. POZZOLI, I principi contabili
internazionali e nazionali: una riflessione, in Azienditalia,
9/2003, 546 e ss.; A. GIUNCATO, I principi contabili in Italia, in Azienditalia,
11/2003, inserto.; M. MARCHI, Revisione aziendale e sistemi di controllo
interno, Milano, 2004.
[33] F. GRANDIS, op. cit., 190, che richiama
anche ISA 500-501 (elementi probativi), ISA 510 (incarico iniziale), ISA 530
(Il campionamento della revisione), ISA 540 (revisione delle stime contabili),
ISA 550 (parti correlate), ISA 570 (requisiti della permanenza dei requisiti
necessari alla continuità aziendale), ISA 600 (utilizzo del lavoro di altri
revisori), ISA 610 (utilizzo del lavoro di revisione interna), ISA 620 (ricorso
all’opera di un esperto), ISA 800 (esame dei bilanci e dati revisionali).
[34] Per gli enti locali cfr. “Principi di
revisione e di comportamento dell’organo di revisione negli enti locali”, a
cura di A. TAMBORRINO e W. SANTORELLI, Milano, EGEA-2003
[35] G. DE SETA, Gestioni statali autonome ed
enti non territoriali, in AA.VV., Contabilità di Stato e degli enti pubblici,
Torino, 1993, 332 “L’attività svolta dal collegio dei revisori, non diversa da
quella propria dei sindaci delle società commerciali (art. 2403 c.c.) è un dato
di diritto positivo e generalmente, per gli enti di più antica origine,
testimonia della loro natura privata anteriormente all’assunzione di personalità
giuridica pubblica…”.
[36] G. FARNETI, Richiamo alla collaborazione
come attività centrale dell’organo di revisione, in Azienditalia, n.
4/2003.
[37] L. PUDDU, Ragioneria pubblica - Il bilancio
degli enti locali, Milano, 2002, 90 “…Il principio della veridicità
significa che le previsioni di bilancio devono essere formulate in modo che i
valori risultino ““attendibili”“, rispetto a quelli che si prevede di
conseguire nel futuro esercizio: sono quindi in contrasto con il principio
della veridicità ogni sopravvalutazione o sottovalutazione sia di entrate che
di spese. Pur nella aleatorietà che contraddistingue ogni previsione, la loro
veridicità o attendibilità può essere ragionevolmente sostenuta e documentata
mediante: a) analisi riferita ad un adeguato arco di tempo; b) altri idonei
parametri di riferimento quando, per la novità del fatto amministrativo,
manchino informazioni basate su serie storiche di dati; c) la coerenza dei dati
revisionali nei vari prospetti di bilancio: pluriennale, relazione revisionale
e programmatica, annuale, piano esecutivo di gestione. In particolare la
verifica del rispetto della veridicità, in fase di previsione e di gestione, è
una funzione professionale specifica attribuita al responsabile del servizio
finanziario o di ragioneria. Più in generale, fra i principi che caratterizzano
sotto un profilo teorico e di prassi una corretta amministrazione perché idonei
a conferire il massimo di attendibilità ai valori di bilancio, alla veridicità
si accompagna anche il principio della ““chiarezza”“. Il concetto di
““chiarezza”“, anche se non espresso in modo esplicito dalla legge di
contabilità degli enti locali, impone una stesura del bilancio che lo renda
leggibile e comprensibile ai cittadini; dato che questo obiettivo risulta
influenzato da una molteplicità di fattori personali, la chiarezza si ritiene
rispettata quando:a) il bilancio rispecchia separatamente e nell’ordine la
struttura e le voci previste nello schema-tipo disposto per tutti gli enti
locali dal regolamento approvato con il d.p.r. 31 gennaio 1996, n. 194; b) non
ci sono raggruppamenti di voci; non sono stati operati compensi di partite; d)
le denominazioni di voci lasciate alla discrezionalità dell’ente sono precise
ma anche comprensibili; e) il bilancio è corredato – oltre che dagli allegati e
schemi riassuntivi previsti dalla legge – da note preliminari ed esplicative
che chiaramente indichino i criteri adottati per pervenire alle previsioni
contenute nel bilancio medesimo…”.
[38] C. A. MANFREDI SELVAGGI, Effetti del nuovo
assetto costituzionale sull’ordinamento finanziario e contabile degli enti
locali, in www.giust.it-2-2002; R. NOBILE, Le potestà legislative
dello Stato e delle Regioni ad autonomia ordinaria nel testo di riforma del
titolo V, parte II della costituzione. Riflessioni in margine al nuovo testo
dell’art. 117 cost., in www.giust.it-7-8-2001.
[39] V. G.
LOMBARDI, Controlli preventivi di legittimità sugli atti degli enti locali:
il Consiglio di Stato, dopo la legge cost. 18 ottobre 2001 n. 3, “reintroduce”
il controllo su richiesta del prefetto, in www.lexitalia .it.
[40] Sui compensi per i revisori dispone l’art. 241
T.U.E.L.- cfr. anche L. DE ANGELIS, Subito in bilancio i nuovi compensi dei
revisori locali, in Italia Oggi, 30 novembre 2001, 30.
[41] La caratteristica delle funzioni dell’organo
di revisione esclude l’opportunità che i revisori facciano parte, come
componenti, o che partecipino comunque all’attività del nucleo di valutazione
dell’ente- cfr. . Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti - Consiglio
Nazionale dei Ragionieri Commercialisti, Principi di revisione e di
comportamento dell’organo di revisione negli enti locali, con presentazione
di A. TAMBORRINO e W. SANTORELLI, Milano, 2003, 11.
[42] In
particolare l’art. 23, comma 5 della legge 289/2002 prevede che “i
provvedimenti di riconoscimento di debito posti in essere dalle amministrazioni
pubbliche di cui all’art. 1 comma 2 del decreto legislativo 30 marzo 2001 n.
165, sono trasmessi agli organi di controllo ed alla competente procura della
Corte dei conti”. Tale disposizione, ha fissato per “tutte le
amministrazioni pubbliche” un obbligo di comunicazione per tale particolare
tipologia di atto contabile, determinando una specifica attività di controllo,
sia “interno” (segnalazione agli organi di controllo interno) sia “esterno” e
“successivo” per le sezioni di controllo della Corte dei conti (sezioni
regionali o centrali a seconda dell’amministrazione interessata) e una
generalizzata informativa alle procure regionali della Corte dei conti, in tal
modo evidenziando il particolare interesse del legislatore per tali
fattispecie, quasi a voler evidenziare la loro specifica potenzialità dannosa
per l’erario pubblico.Infatti la generalizzata comunicazione alle sezioni del
controllo appare in controtendenza rispetto alla attività di controllo successivo
sulla gestione affidata alla Corte dei conti dall’art. 3 della legge 20/1994
gli enti (con limitate competenze in tema di controllo preventivo di cui allo
stesso art. 3 della legge 20/94), che per gli enti locali è confermata
dall’art. 148 T.U.E.L. (“La Corte dei conti esercita il controllo sulla
gestione degli enti locali ai sensi delle disposizioni di cui alla legge 14
gennaio 1994, n. 20, e successive modificazioni ed integrazioni), nonché della
più recente legge n. 131/2003, che è caratterizzato dalla programmazione e
dalla campionatura delle verifiche. Ugualmente il coinvolgimento delle procure regionali configura un
ampliamento delle loro competenze, fissate dalla disciplina generale della
responsabilità amministrativo contabile (in particolare v. leggi 19/1994,
20/1994 e 639/1996), e consistenti nel perseguimento delle fattispecie di danno
erariale che vanno segnalate alle stesse procure in presenza degli elementi
evidenzianti ipotesi concrete di danno.
L’obbligo
di comunicazione di tutti i provvedimenti richiama, per gli enti locali,
l’analoga disposizione di cui all’art. 246, 2° comma T.U.E.L., che prevede la
trasmissione della deliberazione di dissesto dell’ente locale, oltre che al
ministero dell’interno anche alla procura regionale della Corte dei conti,
competente per territorio unitamente alla relazione dell’organo di revisione.
Si vuole pertanto che su questioni dalla portata finanziaria “critica “ per
definizione, vi sia una informazione generale e puntuale dell’organo requirente
contabile.
Sul punto va
segnalata una puntualizzazione operata dalla Corte dei conti- sezione centrale
di controllo di legittimità - del. del 30 dicembre 2003 n. 17 (in Riv. Corte
dei conti, 2003, 6, 3 e ss.) chiamata a pronunciarsi in sede di controllo
preventivo su alcuni atti di riconoscimento di debito trasmessi dal ministero
dell’economia e delle finanze. Ha premesso la sezione che l’atto di riconoscimento
di debito ai fini dell’eventuale sua sottoposizione a controllo preventivo va
assimilato ai contratti passivi dello Stato in ragione della “equivalenza
degli effetti da essi prodotti” (Sez. controllo Stato, deliberazioni n. 74,
112, 132, e 146 del 1994; n. 53, 101 e 163 del 1995). Le deliberazioni
richiamate avevano comunque precisato che, in relazione alla limitazione del
controllo preventivo assegnato alla Corte dei conti dall’art. 3 della legge
20/1994 esso doveva effettuarsi solo sui contratti (e atti di riconoscimento di
debito) di importo superiore ad un decimo della soglia comunitaria. Si poneva quindi il problema se la previsione
dell’art. 23 della legge 289/2002 avesse comportato l’estensione del controllo
preventivo a tutti gli atti di riconoscimento di debito, anche se di importo
inferiore al limite anzidetto.
La sezione centrale,
nella deliberazione n. 17/2003 ha escluso tale effetto osservando però che “…l’art.
23 più volte citato, dalla formulazione generica e indeterminata, ha inteso
richiamare l’attenzione di tutti i soggetti rientranti nella vasta gamma della
pubblica amministrazione, tra i quali istituti e scuole di ogni ordine e grado,
e le istituzioni educative, le aziende e le amministrazioni dello Stato ad
ordinamento autonomo, le regioni, le province, i comuni, le comunità montane e
loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli istituti
autonomi case popolari, le camere di commercio, industria, artigianato e
agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici
nazionali, regionali e locali, le aziende e gli enti del servizio sanitario
nazionale, sulla necessità che i provvedimenti di riconoscimento di debito,
suscettibili di prestarsi ad abusi attraverso la elusione delle ordinarie procedure
di negoziazione vengano vagliati e controllati dai rispettivi organi di
controllo, siano questi organi di controllo interno che esterno… Sul piano
della correttezza del riconoscimento del debito non è inopportuno rammentare
come la giurisprudenza di questa Corte nonché della suprema corte di cassazione
abbiano enunciato, prima e dopo l’avvento della legge n. 20/1994 importanti
principi che essendo ancora attuali validi la pena di richiamare di seguito: in
Corte dei conti, sez. contr. N. 519 del 1973 e, analogamente in Corte di
cassazione n. 9859 del 1990 e 9531 del 1996 si afferma che ““in correlazione
col carattere di sussidiarietà dell’azione di arricchimento, non è praticabile
il riconoscimento di debito laddove esiste già un legittimo rapporto
contrattuale che di per sé esclude che la locupletazione sia avvenuta senza
giusta causa”“; in Corte dei conti, sez. contr. n. 1340 e 1398 del 1983, idem
n. 1542 del 1984, si afferma che il riconoscimento di debito non può essere
utilizzato per eludere norme cogenti ivi comprese quelle contabili, quale
l’effettuazione di spese oltre le disponibilità di bilancio o in violazione dei
principi di annualità e di competenza; in Corte dei conti, sez. contr. n. 53
del 1992 si legge che il riconoscimento di debito non può essere utilizzato per
eludere pattuizioni contrattuali e riconoscere prestazioni in esso (rapporto
contrattuale) non comprese o escluse . Inoltre, in Corte dei conti, sez. contr.
n. 123 del 1995 si afferma che il riconoscimento di debito non può essere adoperato
come strumento ricorrente e sistematico. Peraltro i cennati principi, la cui
osservanza va particolarmente verificata in sede di controllo e di giurisdizione
contabile, appaiono riecheggiare nei lavori preparatori del recnte e più volte
citato art. 23 legge 289/2002 e che così si esprimono ““…l’obbligo di denuncia
alla Corte dei conti, nell’ipotesi di provvedimenti emanati per il
riconoscimento di debito risponde alle finalità di porre una remora al ricorso
a tale istituto giuridico da parte della pubblica amministrazione. L’istituto
stesso, il cui uso si intende scoraggiare, ha finito per rappresentare, nel
corso del tempo, una via comoda per eludere le procedure ordinarie e
l’accertamento previo della disponibilità di bilancio. Con la cennata
previsione viene, pertanto, restituito all’istituto giuridico in rassegna la
sua originaria connotazione di strumento residuale dell’ordinamento, il ricorso
al quale si legittima soltanto in presenza di comprovate ed obiettive
difficoltà ad accedere agli ordinari mezzi previsti per la costituzione di
rapporti con soggetti terzi…”. In tema di debiti fuori bilancio cfr.
G.SAVIANO, Riconoscimento di debito: configurabilità del danno e obbligo di
denuncia, in Atti del Consiglio dei procuratori reg. della Corte dei
conti, Roma; G. BIANCO - S. AMORE, Riconoscimento di debito nel diritto
amministrativo, in Digesto, Disc. Pubbl., 379. P. EVANGELISTA,
Consiglio di presidenza della Corte dei conti- Seminario su “Problematiche sull’attività di procura-
L’individuazione delle responsabilità singole e collegiali negli enti
territoriali. La suddivisione delle competenze tecniche, amministrative e
politiche alla luce della vigente disciplina, degli statuti e dei regolamenti” -Roma
20 novembre 2002; G. ALBANESE, Debito
fuori bilancio e ambito di intervento del Consiglio comunale, in Nuove
Autonomie, 5-6, 1998; R. DI MARTINO, L’evoluzione
normativa dei debiti fuori bilancio, in
Azienditalia n. 6/2001; G.
CASCONE, L’attuale disciplina dei debiti
fuori bilancio degli enti locali, in La finanza locale, n.7/8, 1998
e Il profilo contabile dei debiti fuori
bilancio, in Azienditalia, n. 2/1999 ; A. FINOTTI, Passività pregresse e debiti fuori bilancio,
in L’Amministrazione italiana, n. 7-8/2000, 1087; S. BOZZI, Alcune
considerazioni sugli effetti civili dei debiti fuori bilancio In Foro
amm., 2001, 2273 e ss.,; S. PILATO, La responsabilità nei debiti fuori
bilancio, in Riv. Corte dei conti, 2003, I; G. DI MAIO, Brevi note su i debiti fuori
bilancio negli enti locali con riferimento al profilo strutturale e alle connesse
questioni di responsabilità amministrativa e contabile, in Il Diritto
della Regione, Cedam, 2002, n. 6, 907 e ss. ; E. GARGANO, I debiti fuori
bilancio alla luce della normativa vigente e relativo riconoscimento, in www.lexitalia.it-10/2004.
La disciplina
concernente il divieto di indebitamento per il finanziamento delle spese
correnti di cui all’art. 119 della costituzione eall’art. 30, comma 15
della legge 289/2002 è stato integrato dall’art. 3, commi 16 e 21 della legge
24 dicembre 2003 n. 350 (finanziaria per il 2004) con l’estensione del vincolo
(oltre che per le regioni, province e comuni) anche alle aziende ed organismi
compresi nel sistema delle autonomie locali (città metropolitane, comunità
montane, comunità isolano e di arcipelago,unioni di comuni, aziende speciali,
consorzi, istituzioni), con la sola esclusione delle società di capitali
costituite per l’esercizio di servizi pubblici. L’art. 30 comma 15 della
legge 289/2002 ha superato anche il vaglio di costituzionalità –cfr. Corte
costituzionale, sentenza n. 320 del 2004, in www.consultaonline.it
con nota di M. BARBERO. In argomento v. S. GRECO, Responsabilità per
violazione del divieto costituzionale di indebitamento per finanziare spese
correnti, in www.corteconti.it-atti del convegno di Milano
del 4 ottobre 2004 su “Funzioni decentrate della Corte dei conti:giurisdizione
e controllo referto” e anche M.SMIROLDO, Nuove tecniche di tutela degli
interessi erariali: brevi osservazioni su alcuni profili sostanziali e
processuali riguardanti l’applicazione dell’art. 30 comma 15 della legge 27
dicembre 2002 n. 289, in atti del convegno di Palermo dell’11 dicembre
2004 in memoria di Francesco Rapisarda.
Sui nuovi
strumenti di ricorso al credito per gli enti pubblici v. art. 41, comma 1
della legge n. 448 del 2001; decreto ministro economia e finanze n. 389 del 1°
dicembre 2003; art. 3 commi da 16 a 21 della legge 350/2003; circolare
ministero economia e finanze del 27 maggio 2004 in G.U. ser. gen. n. 128 del 3
giugno 2004; circolare Cassa depositi e prestiti in G. U. del 16 aprile 2004 n.
89 –”Comunicato concernente chiarimenti sulla finanziabilità dei debiti fuori
bilancio”. V anche le osservazioni contenute nelle deliberazioni n. 9/2004 e
10/2004 della Corte dei conti sezione delle autonomie, in www.corteconti.it
e G. P. MANZELLA, Funzione di coordinamento e debito degli enti locali, in
Giornale di diritto amministrativo, 2004, 4, 441 e ss.; G. P. MANZELLA, L’indebitamento
degli enti territoriali: disciplina ed assetti, in Giornale di diritto
amministrativo, 2004, 5, 507 e ss. ; M. NIGRO, Strumenti derivati e
finanza creativa: rigidi paletti all’ingegneria contabile, in Guida agli
enti locali, 18 giugno 2004, n. 24, 60 e ss.; Per alcune pronunce della
Corte dei conti in tema di responsabilità amministrativa collegata a
fattispecie di indebitamento o di investimento mobiliare cfr. C. conti, sez.
III centrale n. 440 del 28 ottobre 2003; sez. giur. reg. per il Lazio n. 1004
del 25 marzo 2004; sez. giur. reg. per il Veneto n. 879 del 29 giugno 2004.
[43] Per un commento alla legge n. 246/2002 (di
conversione del cd “decreto taglia spese”) v. AA.VV. (a cura di R. PEREZ), Le
limitazioni amministrative della spesa, Milano, 2003; A. MONORCHIO -
L. G. MOTTURA, Compendio di contabilità
di Stato, Bari, 2004.
[44] L. OLIVIERI,
Il rispetto del patto di stabilità non ha salvato gli enti locali dai tagli
che la legge 289/2002 aveva riservato agli enti non virtuosi, in www.lexitalia,it-2004-7/8-.
Sulla legge 30 luglio 2004, n. 191 v. anche T. TESSARO, Il nuovo
procedimento amministrativo per l’affidamento di incarichi di consulenza e
l’assunzione degli impegni di spesa per l’acquisto di beni e servizi, in Comuni
d’Italia, n. 11/ 2004; CORTE DEI CONTI- Sez. delle autonomie deliberazione
n. 16 del 22 ottobre 2004, n. 16-Atto di indirizzo per la prima attuazione del
decreto legge 12 luglio 2004 n. 168 (convertito con legge 30 luglio 2004 n.
191); Corte dei conti - Sezione del controllo per la regione Lombardia-
deliberazione n. 2 del 24 settembre 2004-Procedure per l’attuazione dell’art.
1, commi 5 e 9 del decreto legge 12 luglio 2004 n. 168 (convertito con legge 30
luglio 2004 n. 191) (entrambe le deliberazioni in www.corteconti.it);
“Decreto tagliaspese- Il consiglio delle autonomie della regione Toscana propone
un ricorso alla Corte costituzionale”- in www.euro-pa.it.
[45] Sez. reg.
per l’Abruzzo n. 350 del 14 settembre 2004; e sentenza n. 463 del 2004 della sezione regionale della Corte dei conti
per l’Emilia Romagna, che
riassume i principi affermati in materia (“…Per individuare le predette condizioni di legalità del conferimento di
incarichi a soggetti esterni all’Amministrazione è necessario prendere le mosse
dal principio generale, unitariamente e pacificamente riconosciuto dalla
giurisprudenza, che l’attività delle Amministrazioni deve essere svolta dai
propri organi od uffici, consentendosi il ricorso a soggetti esterni soltanto
nei casi previsti dalla legge o in relazione ad eventi e situazioni straordinarie
non fronteggiabili con le disponibilità tecnico-burocratiche esistenti,
correlato all’altrettanto generale pacifico principio che ogni pubblica
Amministrazione deve caratterizzarsi per una struttura snella che impieghi
anzitutto le risorse umane già esistenti all’interno dell’apparato, potendosi
far ricorso a professionalità esterne solo nella documentata e motivata assenza
delle stesse. Altro altrettanto pacifico principio è che le professionalità
esterne alle quali ricorrere debbono essere individuate in base a criteri
predeterminati, certi e trasparenti, essendo altresì necessario che il
provvedimento di conferimento dell’incarico contenga i criteri di scelta, non
sia generico o indeterminato ed abbia quale indefettibile presupposto la
ricognizione e la certificazione dell’assenza effettiva nei ruoli organici
delle specifiche professionalità richieste.La giurisprudenza della Corte dei
conti, condivisa anche da questo Collegio, ha ritenuto che, per la nomina dei
consulenti esterni, debbano essere rispettati i seguenti principi: a) che i
conferimenti di incarichi di consulenza a soggetti esterni possono essere
attribuiti ove i problemi di pertinenza dell’Amministrazione richiedano
conoscenze ed esperienze eccedenti le normali competenze del personale
dipendente e conseguentemente implichino conoscenze specifiche che non si
possono nella maniera più assoluta riscontrare nell’apparato
amministrativo;b)che l’incarico stesso non implichi uno svolgimento di attività
continuativa bensì la soluzione di specifiche problematiche già individuate al
momento del conferimento dell’incarico del quale debbono costituire l’oggetto
espresso; c) che l’incarico si caratterizzi per la specificità e la
temporaneità dovendosi altresì dimostrare l’impossibilità di adeguato
assolvimento dell’incarico da parte delle strutture dell’ente per mancanza di
personale idoneo;d)che l’incarico non rappresenti uno strumento per ampliare
surrettiziamente compiti istituzionali e ruoli organici dell’ente al di fuori
di quanto consentito dalla legge;e)che il compenso connesso all’incarico sia
proporzionato all’attività svolta e non liquidato in maniera forfetaria;f)che
la delibera di conferimento sia adeguatamente motivata al fine di consentire
l’accertamento della sussistenza dei requisiti previsti; g) che l’
organizzazione dell’Amministrazione sia comunque caratterizzata per il rispetto
dei princìpi di razionalizzazione, senza duplicazione di funzioni e senza sovrapposizione
all’attività ed alla gestione amministrativa, per la migliore utilizzazione e flessibilità delle risorse umane
nonché per l’economicità, trasparenza ed efficacia dell’azione amministrativa,
per il prioritario impiego delle risorse umane già esistenti all’interno
dell’apparato; h)che l’incarico non sia generico o indeterminato al fine di
evitare un evidente accrescimento delle competenze e degli organici dell’Ente,
il che presuppone la previa ricognizione e la certificazione dell’assenza
effettiva nei ruoli organici delle specifiche professionalità richieste; i) che
i criteri di conferimento non siano generici perché la genericità non consente
un controllo sulla legittimità dell’esercizio dell’attività amministrativa di attribuzione
degli incarichi…”. Cfr. anche P.DELLA VENTURA, Conferimento di incarichi di consulenza, in AA.VV.,(a cura di E.F.
SCHLITZER), L’evoluzione della responsabilità
amministrativa, Milano, 2002, 242 e ss. In tema ancora G. MAROTTA, Applicazione
del decreto legge 12 luglio 2004, n. 168 ed individuazione dei criteri di
calcolo, in www.lexitalia.it, 9/2004. Ancora sul conferimento delle
consulenze esterne ci si permette il rinvio a Presupposti e limiti del
conferimento di consulenze esterne da parte delle pubbliche amministrazioni fra
decreto ““tagliaspese”“ del luglio 2004 e giurisprudenza contabile, in www.amcorteconti.it
e in Riv. Corte dei conti, 2004, 3, pp. 456 e ss..
[46] Una
eccezione è prevista al comma 261 secondo il quale “ Per le attività di
monitoraggio delle politiche pubbliche adottate dal Governo, di analisi del
loro impatto sul Sistema-Paese, di informazione e comunicazione istituzionale
sulle riforme attuate, il Presidente del Consiglio dei ministri, ovvero il
Ministro a ciò delegato, può avvalersi di enti o istituti di
ricerca, pubblici o privati, di istituti demoscopici nonchè di consulenti
dotati di specifica professionalità. A tal fine è autorizzata la spesa di 3
milioni di euro per ciascuno degli anni 2005 e 2006”.
[47] La legge
finanziaria per il 2005 contiene inoltre una disposizione riguardante i
collegi sindacali degli enti previdenziali (comma 159) che esclude per i
componenti di detti collegi il requisito dell’iscrizione nel registro dei
revisori contabili “Limitatamente ai soli enti gestori di forme di previdenza
obbligatoria i collegi sindacali continuano ad esercitare il controllo
contabile e per essi non trova applicazione l’articolo 2409-bis, terzo
comma, del codice civile”. Si richiama anche il decreto del ministro della
giustizia 29 dicembre 2004 n. 320 (in G.U. s. gen., n. 13 dell’8 gennaio 2005)-
“Individuazione delle professionalità abilitate a comporre ilo collegio
sindacale, ai sensi dell’art. 2937, secondo comma del codice civile” secondo
cui “I membri del collegio sindacale, previsti dal secondo comma dell’art. 2937
del codice civile, possono essere scelti fra gli iscritti negli albi
professionali tenuti dai seguenti ordini e vigilati dal ministero della
giustizia:a) avvocati; b) dottori commercialisti; c) ragionieri e periti commerciali;
d) consulenti del lavoro”.
[48] Per un’articolata illustrazione delle singole
funzioni cfr. CSR, Revisione degli enti locali, cit, pagg. 17- 21, ove
tra l’altro si richiama, con riguardo all’attività di collaborazione, definita
obbligatoria, la deliberazione n. 2/1992 della Sezione enti locali della Corte
dei conti., nonché Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti - Consiglio
Nazionale dei Ragionieri Commercialisti, Principi di revisione e di comportamento
dell’organo di revisione negli enti locali, con presentazione di A.
TAMBORRINO e W. SANTORELLI, Milano, 2003.
[49] Sull’obbligo
di denuncia v. V. TENORE, Profili ricostruttivi dell’obbligo di denuncia
alla Corte dei conti di fatti dannosi per l’erario, in Foro amm.,
1997, pp. 1236 e ss.(nota a Corte dei conti, sez. riun., n. 6/A del 28 febbraio
1996) e F.G. GALEFFI, Responsabilità amministrativa per omessa denuncia,
in Riv. Corte dei conti, 2004, 3, 487 e ss..
[50] CSR, op. cit., 22.
[51] La
sussistenza di un “rapporto di servizio” integra uno dei presupposti della
giurisdizione della Corte dei conti, secondo la consolidata giurisprudenza
della Corte di cassazione. Esso è integrato dal mero inserimento funzionale
del soggetto privato, anche persona giuridica (cfr. Cass. S.U. n. 123 del 21
marzo 2001, relativamente a Unicredito s.p.a.) che comporti in concreto la
partecipazione del soggetto all’esercizio dell’attività amministrativa (Cass.
sez. un. civ. n. 6177 del 1983; n. 2083 del 14.3.1990; n. 13411 del 12.12.1991;
n. 3358 dell’ 11.4.1994; n. 10963 del 17 ottobre 1991, n. 10963, n. 11309 del
28 ottobre 1995 n. 11309; n. 926 del 23 settembre 1999; n. 400 del 5 giugno
2000 ; n. 515 del 24 luglio 2000; n. 14473 dell’ 11 ottobre 2002 n. 14473; n.
340 del 13 gennaio 2003. In argomento v. A. CIARAMELLA, Il concessionario
privato di lavori pubblici e la giurisdizione della Corte dei conti, in Foro
amm. - CdS, 2004, 6, 1831 e ss..
[52] CSR, op. cit., 30.
[53] Consiglio Nazionale dei Dottori
Commercialisti-Consiglio Nazionale dei Ragionieri Commercialisti, Principi
di revisione e di comportamento dell’organo di revisione negli enti locali,
con presentazione di A. TAMBORRINO e W. SANTORELLI, Milano, 2003, pag. 59
“…L’obbligo di denuncia da parte dell’organo di revisione scaturisce ..dopo che
è stata accertata la grave irregolarità di gestione, mentre le mere
ipotesi di irregolarità richiedono da parte dell’organo di revisione solo una
più accentuata vigilanza per la possibile correzione degli effetti o la
rimozione delle irregolarità, ed eventualmente anche la semplice segnalazione
al consiglio..”.
[54] Ad esempio, per la specificazione delle
modalità con cui effettuare le verifiche di cassa v. pag. 51 e seguenti del
documento (che riporta la “Circolare Vademecum della ragioneria generale dello
Stato). Per la tecnica del campionamento v. pag. 126 e ss..
[55] Va evitata qualsiasi impropria “commistione”
dell’attività dei revisori con la gestione amministrativa come il caso di
accettazione di doni da parte della giunta finanziati con spese di
rappresentanza-cfr. C. conti, sezione II centrale, 17 gennaio 2002, n. 106.
Sull’esigenza di autonomia del revisore cfr. determinazione sez. Enti 22/2003,
di cui oltre nel testo, che richiama anche la disciplina di incompatibilità
stabilita dal rinnovato art. 2399 c.c. adottato con d.lgs. 17 gennaio 2003 n. 6
(Riforma organica del diritto societario) e la VIII direttiva comunitaria in
materia societaria che impone nettamente il principio di indipendenza dei
sindaci. Il citato d.lgs. 6/2003 ha apportato anche modifiche al sistema dei
controlli sindacale e di revisione. In proposito cfr. C. FERIOZZI, Il nuovo
controllo legale dei conti nelle spa, in Italia Oggi, La riforma
delle società, n. 6 del 5 febbraio 2003, 26 e ss..
[56] Per le specificazione dei compiti dei revisori
pubblici nell’ambito delle Istituzioni scolastiche v. Decreto interministeriale
n. 44/2001 concernente le “Istruzioni generali sulla gestione amministrativo
contabile delle istituzioni scolastiche”- artt. 57 e ss.
[57] CSR, op. cit., 30.
[58] Per una fattispecie di responsabilità
disciplinare, di due revisori contabili (operanti nell’ambito di una
società di revisione) cfr. Cons. Stato, sez. VI, 10 luglio 2002, n. 3845, in Foro
amm., 2002, 3007 e ss. ove è stato affermato che “…. Deve ritenersi momento
essenziale dell’attività di una società di revisione proprio la verifica delle
modalità di esposizione dei ““fatti di gestione”“ nelle scritture contabili,
per la quale il legislatore ha fissato il parametro della ““esattezza”“
dell’esposizione; ciò comporta che la relazione di certificazione, in ossequio
al dovere di correttezza nell’adempimento della specifica prestazione professionale,
deve fornire un’informazione piena, non reticente, né limitata ai soli aspetti
formali e documentali, bensì corredata dai dati, dalle notizie e dagli elementi
di fatto a disposizione, tali da renderla non solo veritiera, ma altresì
completa, anche in relazione alle prospettive aziendali. È solo in questo contesto,
d’altra parte che si giustifica l’affidamento dei terzi sulla credibilità non
solo dal punto di vista contabile, ma anche economico, finanziario ed
operativo, della società il cui bilancio sia stato regolarmente certificato…”.
V. anche la relativa nota di E. ROSSI, Gli obblighi di disclosure delle
società di revisione contabile, ivi, 3012 e ss. Le anzidette
precisazioni del Consiglio di Stato appaiono particolarmente pregnanti se si
considera la recente vicenda “Parmalat”, ove sono emerse rilevanti
responsabilità delle società di revisione.
Sulla responsabilità penale cfr. N. PISANI, Controlli sindacali
e responsabilità penale nelle società per azioni, Milano,Giuffrè, 2003.
[59] M. BIANCA, Diritto civile, La responsabilità,
Milano, 1994, 28.
[60] B.QUATRARO, La responsabilità civile della
società di revisione e la responsabilità penale del revisore contabile, in Il
controllo legale dei conti, 1997, 24- “…nella sua specifica attività il
““buon revisore deve curare: a) la pianificazione del lavoro, l’ampiezza, i
tempi e la tipologia del controllo, il numero dei collaboratori da utilizzare;
b) la programmazione, volta alla elaborazione del programma di revisione,alla
valutazione dell’adeguatezza del sistema aziendale di controllo interno, alla
determinazione delle procedure di revisione da utilizzare nel lavoro futuro; c)
l’esecuzione di questo al fine di esprimere un giudizio in ordine alla
completezza, autenticità e correttezza dei dati e dell’informazione di bilancio…”.
[61] B. QUATRARO, op. cit., 21 e ss.
[62] B. QUATRARO, op. cit., 29.
[63] Per una loro elencazione cfr. B. QUATRARO, op.
cit., 24.
[64] B. QUATRARO, op. cit., 31, con
specifico riferimento alla società di revisione.
[65] Per un’ipotesi invece di responsabilità civile
“verso terzi” della società di revisione cfr. Cass. civ., 18 luglio 2002, n.
10403, in Foro it., 2003, 7-8, I,2147 e ss.”…La responsabilità
extracontrattuale di una società di revisione per i danni derivati a terzi
dall’attività di controllo e certificazione del bilancio di una società quotata
in borsa sussiste anche nell’ipotesi di revisione volontaria, effettuata su
incarico della società medesima (nella specie è stata confermata la sentenza di
merito che aveva ritenuto la responsabilità extracontrattuale della società di
revisione per l’erronea certificazione dello stato patrimoniale di una società,
compiuta su incarico di quest’ultima, nei confronti degli acquirenti delle
quote societarie relative, che non avrebbero stipulato il contratto definitivo,
esercitando il diritto di recesso stabilito nel preliminare, ove avessero
conosciuto il reale e inferiore valore della società…”V. anche la nota redazionale
a firma di A. FABRIZIO - SALVATORE, che esamina la dottrina e giurisprudenza in
argomento. Per quest’ultima richiama TAR Lazio, sez. I, 21 marzo 1997, n. 480,
in Foro it., 1997, III, 309 (con nota di G. SACCHI) secondo cui
““l’attività di revisione non può in alcun modo intendersi limitata al mero
controllo formale dei dati contabili, ma deve necessariamente comprendere la
sostanziale valutazione di tutti i comportamenti, le situazioni e gli atti comunque
ricollegabili non al solo formale dato di bilancio, ma all’attività
concretamente posta in essere dalla società revisionata, pertanto costituisce obbligo della società di revisione
la verifica della pianificazione finanziaria e gestionale degli intermediari
finanziari e la segnalazione, ove necessario o anche solo opportuno,
nell’interesse dei fiducianti, di tutte le situazioni che pongano in serio
dubbio la continuità aziendale del soggetto revisionato””. La nota richiama
anche l’opinione di A. ROSSI, Revisione contabile e certificazione del
bilancio, in CARNEVALI (a cura di) Diritto commerciale ed industriale,
Milano, 1981, pagg. 767 e ss., secondo cui ““l’impegno a carico del revisore
importa non solo l’obbligo di applicare diligentemente i principi di revisione
raccomandati, ma anche e soprattutto di valutare se essi siano adeguati e
consoni al caso preso in esame: ove risulti che tale adeguatezza non ricorre,
spetta al revisore, tenendo presente l’interesse della società revisionata,
svolgere ulteriori indagini, compiere gli accertamenti e porre in essere quelle
procedure che il caso richiede. Solo in tal modo potrà affermarsi che la
diligenza dovuta è stata concretamente impiegata””.
Ancora Cass. civ. sez. I, 17 settembre 1997, n. 9252,
in Foro it., 2000, I, 243 e ss, con nota di L. DELLE VERGINI, Natura
dei doveri del collegio sindacale, loro inosservanza e rapporto di causalità
.In generale per un’analisi complessiva della
responsabilità civile della pubblica amministrazione, anche con riferimento a
quella dei dipendenti “verso terzi”, cfr. A. PIAZZA, Responsabilità civile ed efficienza amministrativa, Milano, 2001.
[66] Sinteticamente può dirsi che la responsabilità
amministrativo contabile si pone fra le varie possibili forme di responsabilità
cui sono tenuti gli amministratori e funzionari pubblici come previsto
dall’art. 28 della Costituzione (“...I funzionari e i dipendenti dello
Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili secondo le leggi
penali, civili ed amministrative, degli atti compiuti in violazione di
diritti....”), e si caratterizza come responsabilità per danni cagionati allo
Stato o agli enti pubblici sulla base di norme sia “civili” che
“amministrative” (art. 82 r.d. 18 novembre 1023 n. 2440-legge sulla contabilità
di Stato; art. 52 r.d. 12 luglio 1934 n. 1214 - t.u. delle leggi sulla Corte
dei conti; art. 18 d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3- t.u. impiegati civili dello
Stato). Gli elementi essenziali di tale responsabilità sono individuati
nell’elemento oggettivo (danno patrimoniale, ma anche non
patrimoniale, nel particolare profilo del pregiudizio per l’immagine) per
le finanze dello Stato o di un ente pubblico) ed in quello soggettivo (dolo o
colpa grave), nel nesso di causalità fra la condotta e l’evento dannoso
e nella sussistenza del rapporto di servizio fra autore del danno
erariale e pubblica amministrazione intesa in senso lato (Cass. Sez. un
civ. ord. n. 19667/03 di cui anche oltre e Cass. Sez. un. civ. n. 20132 del 12
ottobre 2004 (vicenda “quote latte”, con interessanti affermazioni anche in
ordine alla configurabilità di responsabilità amministrativa per violazione di
regolamenti comunitari). La responsabilità amministrativo contabile che
attiene ai danni cagionati allo Stato o agli enti pubblici, va peraltro tenuta
distinta dalla responsabilità contabile “in senso stretto”, (di cui
peraltro la responsabilità amministrativa è una derivazione) e che riguarda i
soggetti aventi la qualifica di “contabile” di diritto o di fatto e che viene
fatta valere nell’ambito di un speciale giudizio (giudizio di conto) anch’esso
di competenza della Corte dei conti ovvero attraverso l’azione promossa dal pm.
La giurisdizione
contabile è stata recentemente estesa anche agli amministratori e dipendenti di
enti pubblici economici, modificandosi una consolidata giurisprudenza (Cass. sez. un civ.,
ordinanza n. 19667 del 22 dicembre 2003) e finanche di società per azioni in
mano pubblica (ordinanza n. 3899 del 26 febbraio 2004).
[67] Cfr. Cass. sez. un. n. 933/99 SU del 21
ottobre 1999, resa in sede di regolamento preventivo di giurisdizione promossa
nel corso di un giudizio civile promosso da un’amministrazione comunale nei
confronti di un ex sindaco, secondo cui “...la giurisdizione della Corte dei
conti è esclusiva, nel senso che è l’unico organo giudiziario che può decidere
nella materie devolute alla sua cognizione...” e pertanto “...va esclusa una
concorrente giurisdizione del giudice ordinario, adito secondo le regole
normali applicabili in tema di responsabilità e di rivalsa...”.
[68] La configurabilità della responsabilità
amministrativo contabile anche con riferimento ai revisori degli enti locali,
come sostenuto nel testo, è condivisa anche nel documento del Consiglio
Nazionale dei Dottori Commercialisti - Consiglio Nazionale dei Ragionieri
Commercialisti, Principi di revisione e di comportamento dell’organo di
revisione negli enti locali, con presentazione di A. TAMBORRINO e W. SANTORELLI,
Milano, 2003, 76.
[69] “…La Regione
Veneto ha impugnato il comma 4 dell’art. 24 della legge n. 289 del 2002 anche
sotto il profilo dell’incompetenza dello Stato a dettare la disciplina sostanziale della responsabilità
amministrativa dei dipendenti della Regione e degli enti pubblici
regionali e locali, sostenendo che si versi in tema di competenza residuale
della Regione in materia di ordinamento dei propri uffici (art. 117, quarto
comma, della Costituzione). La questione non è fondata. La ricorrente trascura che, in proposito,
vengono in evidenza le disposizioni dell’art. 117, secondo comma, lettera l),
della Costituzione, secondo le quali spettano alla competenza esclusiva dello
Stato le materie della giurisdizione e dell’ordinamento civile. Nella
disciplina generale della responsabilità amministrativa i profili sostanziali
sono strettamente intrecciati con i poteri che la legge attribuisce al giudice
chiamato ad accertarla (come si rileva, ad esempio, dalla
disposizione dell’art. 52 del regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214, recante il
“Testo unico delle leggi sulla Corte dei conti”, secondo la quale “la Corte,
valutate le singole responsabilità, può porre a carico dei responsabili tutto o
parte del danno accertato o del valore perduto”), ovvero fanno riferimento a
situazioni soggettive riconducibili alla materia dell’ordinamento civile. Ne
discende che la potestà legislativa residuale delle Regioni a statuto ordinario
in materia di ordinamento dei propri uffici (art. 117, quarto comma, della
Costituzione), se può esplicarsi nel senso di disciplinare il rapporto di
impiego o di servizio dei propri dipendenti, prevedendo obblighi la cui
violazione comporti responsabilità amministrativa, non può tuttavia incidere
sul regime della stessa….”.
[70] F. G. GRANDIS, Le funzioni del revisore
contabile negli enti locali e il superamento delle dicotomie dei controlli,
in Enti pubblici, 2001, 7-8, 387 e ss.. Sulla nascita della revisione
contabile, storicamente sviluppatasi in funzione di gestioni pubbliche poi
sviluppatesi in funzione di certificazione dei bilanci delle società per azioni
nel contesto anglosassone, cfr. C. PRIVITERA, Origine ed evoluzione del
pensiero ragionieristico, Milano, 2003, 397 e ss., che richiama anche il
lavoro di F. DE LEONARDIS, Il contributo genovese all’uso e alla pratica
contabile nell’alto medioevo. I primi revisori contabili, in Atti del
Convegno internazionale straordinario per celebrare fra’ Luca Pacioli,
Ipsoa, Corsico (MI), 1995, 155.
[71] L’art. 82 del D.P.R. 97/2003 non riproduce la
disposizione dell’art. 240 TUEL in ordine alla responsabilità, stabilendo
soltanto che “I revisori sono responsabili delle attestazioni fatte e devono
conservare il segreto sui fatti e sui documenti di cui hanno conoscenza per
ragione del loro ufficio, salvo il dovere di informazione previsto nei
confronti degli organi vigilanti e di controllo dalle disposizioni di legge”.
L’omesso richiamo alle disposizioni del codice civile, come il
riferimento agli obblighi di denuncia di danno erariale di cui si è prima
riferito consentono di confermare quanto enunciato nel testo, in ordine alla
esclusiva configurabilità, per i revisori pubblici, della responsabilità
amministrativo-contabile.
[72] Per la responsabilità extracontrattuale dei
revisori contabili, cfr. B. QUATRARO, op. cit.,31.
[73] Per un’analisi complessiva della
responsabilità civile della pubblica amministrazione, anche con riferimento a
quella dei dipendenti “verso terzi”, cfr. A.PIAZZA, Responsabilità civile ed
efficienza amministrativa, Milano, 2001.
[74] F. G. GRANDIS, Le funzioni del revisore
contabile negli enti locali e il superamento delle dicotomie dei controlli,
in Enti pubblici, 2001, 7-8, 387 e ss.. Sulla nascita della revisione
contabile, storicamente sviluppatasi in funzione di gestioni pubbliche poi
trasferitasi alla certificazione dei bilanci delle società per azioni nel
contesto anglosassone, cfr. C. PRIVITERA, Origine ed evoluzione del
pensiero ragionieristico, Milano, 2003, 397 e ss., che richiama anche il
lavoro di F. DE LEONARDIS, Il contributo genovese all’uso e alla pratica
contabile nell’alto medioevo. I primi revisori contabili, in Atti del
Convegno internazionale straordinario per celebrare fra’ Luca Pacioli,
Ipsoa, Corsico (MI), 1995, 155.
[75] V. ITALIA, Contratti collettivi
inderogabili, aumenti al personale illegittimi, in Il Sole 24 Ore,
15 aprile 2002, 27.
[76] V. ITALIA, op. cit..
[77] Per un approfondito studio in materia cfr. R.
DE DOMINICIS, Il dissesto negli enti
locali, Milano, 2000.V. anche F. ZITO, Enti locali deficitari e
dissestati, in AA.VV., a cura di M. BERTOLISSI, in L’Ordinamento degli
enti locali, Bologna, 2002, 791 e ss..
[78] “…il collegio dei revisori dei conti aveva
contestato nei predetti verbali in ordine all’impossibilità di far fronte agli
impegni assunti, all’esistenza di una notevole massa di debiti fuori bilancio,
ad inattendibili previsioni di entrate, allo stanziamento in diminuzione di alcune
spese rispetto alla loro reale consistenza, a discutibili allocazioni in
bilancio di importi per mere esigenze di quadratura: rilievi in base ai quali i
revisori avevano valutato inesistente l’equilibrio economico finanziario e
sollecitato la tempestiva dichiarazione di dissesto…”.
[79] L’omessa
considerazione della segnalazione da parte dei revisori dei conti circa
l’irregolarità dell’inquadramento di dipendenti è stata considerata elemento
significativo ai fini della configurazione della colpa grave nei confronti di
presidente di comitato di gestione e direttore amministrativo di USL (sentenza
sez. reg. Calabria, n. 665 del 5 agosto 2002).
[80] Va anche ricordato che la mancata
formulazione di rilievi da parte del collegio dei revisori non esclude, di per
sé, la configurabilità di responsabilità a carico degli amministratori
dell’ente che abbiano deliberato spese illegittime- cfr. C. conti, sez. I
centrale di appello, n. 101/2001/A del 24 aprile 2001 “…Nella fattispecie …non
vengono in rilievo le modalità amministrative di effettuazione della spesa, ma
la sua rispondenza ai fini dell’ente. In questo senso la partecipazione
silente dei componenti del collegio dei revisori, anche se concreta un
comportamento contrario ai doveri di ufficio, non è escludente della responsabilità
dei consiglieri di amministrazione, i quali comunque dovevano conoscere i fini
dell’ente e ad essi rapportare le iniziative assunte…”.
[81] La vicenda riguardava un rilevante ammanco di
oltre 600 milioni, in ordine al quale, oltre a quella dei revisori era stata
configurata la responsabilità dell’istituto di credito tesoriere, del
segretario amministrativo e del preside. La disciplina della revisione nelle
istituzioni scolastiche è regolata dal decreto interministeriale 1° febbraio
2001 n. 44 - Istruzioni generali sulla gestione amministrativo-contabile delle
istituzioni scolastiche (G.U. 9 marzo 2001, n. 57) Per una approfondita e puntuale disamina
cfr. S. GRANELLO, Il collegio dei revisori dei conti dell’istituzione
scolastica autonoma, ed. Tecnodid, Napoli, 2003.