FUNZIONI E RESPONSABILITÀ

DEI REVISORI DEI CONTI PUBBLICI

NEL CONTESTO DELL’EVOLUZIONE

NORMATIVA E GIURISPRUDENZIALE

di Paolo Luigi Rebecchi

 

Sommario: Premessa: una decisione del Consiglio di Stato; Evoluzione del sistema dei controlli interni alle pubbliche amministrazioni. I controlli di regolarità amministrativa e contabile. I principi contabili. Competenze dei revisori dei conti negli enti pubblici e negli enti locali. Le speciali competenze attribuite dai provvedimenti di contenimento della spesa pubblica (in particolare su patto di stabilità, debiti fuori bilancio e consulenze esterne). Obblighi di denuncia. Rapporto di servizio. La responsabilità secondo l’art. 240 TUEL. Cenni alla responsabilità civile verso terzi. La responsabilità amministrativo contabile. Giurisprudenza della Corte dei conti in tema di responsabilità amministrativa dei revisori dei conti negli enti pubblici.

 

1. Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 5099 del 14 luglio 2004 ha avuto modo di precisare il ruolo dei revisori dei conti nell’ambito degli enti locali. In particolare la decisione è venuta a definire una controversia in tema di incompatibilità fra più incarichi ricoperti da un revisore dei conti sia presso l’ente provincia, sia in più comuni ubicati nello stesso ambito territoriale. La sentenza ha anche affermato che “Nel sistema previsto dagli articoli 55 e 56 della legge 8 giugno 1990, n. 142, i compiti attribuiti ai revisori dei conti vanno ben oltre quello, tradizionale, di attestazione della corrispondenza del rendiconto alle risultanze di gestione, comprendendo anche la collaborazione con l’attività del consiglio comunale, rispetto al quale la funzione del revisore dei conti si atteggia di volta in volta ad organo di consulenza, sotto il profilo tecnico-contabile; di controllo, rispetto all’attività degli organi esecutivi; di indirizzo, in relazione all’adozione dei piani e dei programmi che richiedono un impegno finanziario; di vigilanza sulla regolarità della gestione e di impulso, in relazione alla facoltà di formulare rilievi e proposte tendenti ad una migliore efficienza, produttività ed economicità”[1].

Tali affermazioni, nel ricapitolare quanto previsto nelle disposizioni normative che regolano ruoli e competenze dei revisori dei conti negli enti locali, confermano le precisazioni costantemente fornite dalla Corte dei conti su dette peculiari funzioni di cui la sua giurisprudenza ha anche indicato i limiti ed i presupposti delle relative responsabilità.

 

2. Esse vengono peraltro a situarsi nel contesto di trasformazione del sistema dei controlli interni delle pubbliche amministrazioni e della stessa responsabilità amministrativa.

Al riguardo va preliminarmente richiamato il D.P.R. 27 febbraio 2003, n. 97, pubblicato sulla G.U., serie gen., n. 103 del 6 maggio 2003, con il quale è stato emanato il nuovo “Regolamento concernente l’amministrazione e la contabilità degli enti pubblici istituzionali di cui alla legge 20 marzo 1975, n. 70”.

Il provvedimento costituisce il nuovo testo di riferimento dell’ordinamento finanziario e contabile degli enti pubblici non economici di cui alla legge n. 70/1975 e comporta il superamento del previgente regolamento approvato con il d.p.r. 18 dicembre 1979, n. 696. Le nuove disposizioni, che si prefiggono di armonizzare i sistemi contabili degli enti pubblici e delle altre amministrazioni secondo quanto stabilisce la legge n. 208/1999 e tendono, tra l’altro ad avvicinare, anche in materia di revisione gli impianti contabili pubblici ai principi civilistici ed a quelli adottati dai consigli nazionali dei dottori commercialisti e dei ragionieri e dagli organismi internazionali, risultano sotto tale profilo particolarmente innovative rispetto alle scarne previsioni contenute nel d.p.r. 696/1979 e appaiono costituire un punto di sintesi dell’evoluzione normativa, giurisprudenziale e dottrinale nella materia dei controlli interni nelle pubbliche amministrazioni.

Esse seguono il d.lgs. 30 luglio 1999 n. 286, (“Riordino e potenziamento dei meccanismi e strumenti di monitoraggio e valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell’attività svolta dalle amministrazioni pubbliche, a norma dell’art. 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59”) costituente la attuale disciplina generale in tema di controlli interni alle p.a. a seguito delle riforme normative iniziate con la legge 241/1990 e dirette al miglioramento dell’economicità, efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa[2].

Può essere interessante constatare[3] come dallo studio storico dell’evoluzione dell’amministrazione italiana, le esigenze di valutazione dei costi e dei rendimenti siano state sempre presenti e siano state attuate con vari strumenti di misurazione quantitativa e statistica. L’attuale assetto dei controlli pertanto, non costituisce una totale ““invenzione”” dei tempi nuovi, ma il risultato di un processo evolutivo.

Il decreto, ha in particolare innovato l’originaria previsione di un “servizio di controllo interno” introdotta dall’art. 20 del decreto legislativo n. 29 del 1993[4].

Tale disciplina aveva[5] “…evidenziato nel tempo due fondamentali lacune: la prima, derivante dall’affidamento del controllo interno ad un organo unico, incapace di tener conto delle differenti caratteristiche e finalità che presentano i controlli a seconda dell’oggetto e del livello al quale vengono esercitati (vedi a d esempio supporto all’organo di direzione politica e controllo di gestione propriamente detto); la seconda causata dalla tendenza delle amministrazioni ad avvalersi di queste strutture per svolgere compiti ispettivi o di verifica della legalità dell’azione amministrativa, così frustrando la diversa finalità, propria dell’organo di controllo gestionale, di valutazione della rispondenza complessiva dell’azione amministrativa agli obiettivi programmati. La normativa inoltre contraddiceva la premessa dell’autonomia di dette strutture con la collocazione delle stesse “”alle dipendenze dell’organo politico””…”.

Il d.lgs. 286/99 ha previsto la istituzione,nell’ambito delle pubbliche amministrazioni, secondo la rispettiva autonomia (art. 1 comma 1) di “…strumenti adeguati a: a) garantire la legittimità, regolarità e correttezza dell’azione amministrativa (controllo di regolarità amministrativa e contabile); b) verificare l’efficacia, efficienza ed economicità dell’azione amministrativa al fine di ottimizzare, anche mediante tempestivi interventi di correzione, il rapporto tra costi e risultati (controllo di gestione);c) valutare le prestazioni del personale con qualifica dirigenziale (valutazione della dirigenza); d) valutare l’adeguatezza delle scelte compiute in sede di attuazione dei piani, programmi ed altri strumenti di determinazione dell’indirizzo politico, in termini di congruenza tra risultati conseguiti e obiettivi predefiniti (controllo strategico)…”.

Il legislatore[6] al fine di superare gli elementi di criticità evidenziati nella originaria strutturazione dei controlli interni, ha pertanto provveduto a “…individuare distintamente le attività da demandare alle strutture di controllo interno, prevedere l’affidamento di dette attività a strutture diverse, fissare principi organizzativi, criteri di incompatibilità tra le diverse funzioni di controllo interno, evitando la confusione fra controlli collaborativi e repressivi e assicurando al tempo stesso la distinzione fra attività di supporto all’indirizzo politico e quella di miglioramento dell’ordinaria gestione amministrativa. Nell’applicare i principi di cui si è detto il legislatore ha previsto quattro tipi di controlli interni (art. 1), individuando forme di collegamento e raccordo tra le varie modalità del controllo; la normativa è stata recepita per gli enti locali, con i dovuti adattamenti, dall’art. 147 del testo unico enti locali approvato con d.lgs. 18 agosto 2000 n. 267…”.

In particolare, mentre gli artt. 2 e 3 si riferiscono al controllo interno di “regolarità amministrativa e contabile”, l’art. 4 configura le caratteristiche del “controllo di gestione”[7], l’art. 5 delinea le modalità di valutazione della dirigenza[8] e l’art. 6 prevede le attività di “valutazione e controllo strategico”[9].

Uno degli elementi caratterizzanti della nuova disciplina dei controlli interni è la marcata differenziazione fra controlli genericamente definibili come “gestionali” (“di gestione in senso stretto”, valutazione della dirigenza, valutazione e controllo strategico), per i quali è previsto lo svolgimento “in modo integrato” (art. 1, comma 2, lettera d) e quelli di regolarità amministrativa e contabile, per i quali non sono invece previsti effettivi momenti di raccordo con i precedenti. Vi è anzi un principio opposto, quello di “…assoluta separazione (art. 1, comma 2, lett. e) della funzione di controllo amministrativa e contabile dalle altre tre forme svolte in modo integrato. Corollario e integrazione del principio di separazione del controllo interno di regolarità amministrativa e contabile dagli altri tre tipi di controllo interno appare quello enunciato dall’art. 1 comma 6, per cui gli addetti ai controlli “”integrati”” debbono riferire esclusivamente agli organi preposti alla direzione politica e alla gestione amministrativa, di tal che essi sono esonerati, per i fatti illeciti conosciuti nell’ambito di tali funzioni, dall’obbligo di denunzia al Procuratore della Corte dei conti previsto dall’art. 1, comma 3, legge 14 gennaio n. 20…”[10].

 

3. Fra le varie tipologie di controllo interno rilevano ai fini dell’erogazione delle spese, in particolare quelli di regolarità amministrativa e contabile[11].

Dispone in proposito l’art. 2 del d.lgs. 286/99 che ai controlli interni di regolarità amministrativa e contabile provvedono gli organi appositamente previsti dalle disposizioni vigenti nei diversi comparti della pubblica amministrazione, e, in particolare, gli organi di revisione, ovvero gli uffici di ragioneria, nonché i servizi ispettivi, ivi compresi quelli di cui all’art. 1, comma 62, della legge 23 dicembre 1996 n. 662[12] e, nell’ambito delle competenze stabilite dalla vigente legislazione, i servizi ispettivi di finanza della ragioneria generale dello Stato e quelli con competenza di carattere generale. Le verifiche di regolarità amministrativa e contabile devono rispettare, in quanto applicabili alla pubblica amministrazione, i principi generali della revisione aziendale asseverati dagli ordini e collegi professionali operanti nel settore. Il controllo di regolarità amministrativa e contabile non comprende verifiche da effettuarsi in via preventiva se non nei casi espressamente previsti dalla legge e fatto salvo, in ogni caso, il principio secondo cui le definitive determinazioni in ordine all’efficacia dell’atto sono adottate dall’organo amministrativo responsabile. I membri dei collegi di revisione degli enti pubblici sono in proporzione almeno maggioritaria nominati tra gli iscritti all’albo dei revisori contabili. Le amministrazioni pubbliche, ove occorra, ricorrono a soggetti esterni specializzati nella certificazione dei bilanci”.

Può constatarsi come l’inclusione dei revisori contabili fra i servizi di controllo “interno” sia espressamente prevista dal legislatore. Ciò viene a chiarire, almeno con riferimento alle pubbliche amministrazioni per le quali il d.lgs. 286/99 si applica senza deroghe, un punto controverso in ordine alla collocazione “interna” o “esterna” di tali organi.

Circa la natura dei controlli di regolarità amministrativa e contabile è stato osservato che essi[13] “…appartengono alla più ampia categoria dei controlli di legittimità[14]. Rispetto ai controlli di legittimità tradizionali si differenziano per l’oggetto, che riguarda gestioni nel loro complesso piuttosto che singoli atti…”. Essi “…mirano a garantire la legittimità,la regolarità e la correttezza dell’azione amministrativa…”[15].

Quanto alla distinzione fra controlli preventivi o successivi, di legittimità o di merito, si rileva che[16] “… le esigenze di snellimento e di semplificazione dell’attività amministrativa hanno ridotto il controllo preventivo ad ipotesi marginali e tassativamente previste dalla legge (art. 2, comma 3). Detta soluzione ha comportato l’accentuata recessività del controllo su atti, che per lungo tempo aveva di fatto monopolizzato la categoria amministrativa del controllo. Analogamente l’applicazione dei nuovi principi di responsabilità manageriale ha imposto la soppressione di sovrapposizioni di natura decisionale della struttura di controllo rispetto al controllato. Per questo motivo, l’art. 2 comma 3 stabilisce che “”in ogni caso …le definitive determinazioni in ordine all’efficacia dell’atto sono adottate dall’organo amministrativo responsabile””. Le novità introdotte dal decreto n. 286/99 non possono tuttavia inficiare il principio di legalità sostanziale dell’agire amministrativo, che, pur non richiamato nel provvedimento normativo in esame, si ricava direttamente dalla nostra carta costituzionale, oltre alle più disparate norme di settore. Nell’organizzazione del sistema dei controlli delle amministrazioni pubbliche detto principio deve anch’esso ritenersi generale e indefettibile…”.

Si tratta, pertanto, di un controllo generalmente successivo (si attua dopo che l’atto ha acquisito efficacia) e comunque non idoneo ad impedire all’organo amministrativo responsabile di adottare le determinazioni definitive, in conformità alla disciplina generale fissata dal d.lgs. n. 165/2001 sulle competenze dei dirigenti (art. 4 comma 2),incentrato sulla verifica della conformità delle attività amministrative alle norme giuridiche e di contabilità.

Per ciò che attiene agli aspetti organizzativi la nuova disposizione (art. 2, comma 1)[17] “…lascia sostanzialmente inalterato l’assetto organizzativo dei controlli di legalità nei diversi comparti della pubblica amministrazione. Specifica tuttavia che a detta tipologia di sindacato interno provvedono essenzialmente gli organi di revisione, gli uffici di ragioneria, i servizi ispettivi, i servizi ispettivi di finanza della Ragioneria generale dello Stato e quelli con competenza di carattere generale….”.

Va tuttavia considerato che la norma sembra evidenziare una ulteriore distinzione, nell’ambito della medesima tipologia di controlli, fra quelli a carattere genericamente ispettivo e quelli di revisione contabile. Infatti per i primi non vi sono specifiche innovazioni, rimandandosi alla disciplina vigente. Viene sottolineato che in proposito “…l’art. 2 effettua un mero richiamo, senza innovare alcunché in ordine al suo concreto esercizio. Probabilmente l’unica novità di rilievo (peraltro non assoluta perché già adottata da buona parte dei servizi ispettivi attualmente operanti) è il principio della programmazione ricavabile dall’art. 1, comma 2…”.

I servizi ispettivi, pertanto, mantengono la specifica natura di controlli a carattere eminentemente repressivo. Si esplicano in[18] “…azioni di controllo mirato e temporaneo, svolte da un organo di amministrazione pubblica sull’attività di altri organi della stessa amministrazione (controlli interorganici) oppure da un’amministrazione statale sull’attività di altre amministrazioni statali e non statali (controlli intersoggettivi)...”.

I controlli ispettivi vanno distinti dai controlli gerarchici. “[19]…i primi sono previsti da una norma organizzativa, i secondi rappresentano una manifestazione della posizione di sovraordinazione (e non hanno pertanto bisogno di una esplicita statuizione normativa); i primi sono concentrati nell’organo deputato, i secondi sono diffusi in tutte le articolazioni organizzative; i primi rappresentano funzioni autonome (di controllo appunto), i secondi sono strumentali all’esercizio dei compiti istituzionali delle varie unità operative; i primi costituiscono “”missioni di scopo”” (terminata la visita l’ispettore rientra in ufficio) e dovrebbero corrispondere a criteri di programmazione, i secondi sono svolti con carattere di continuità; i primi si svolgono nella sede del controllato, i secondi in quella del controllore superiore gerarchico…”. Sotto il profilo del suo svolgimento, l’attività ispettiva si configura come un procedimento amministrativo, o meglio come un “sub-procedimento” istruttorio, di regola preordinato ad acquisire elementi conoscitivi necessari per lo svolgimento dell’azione amministrativa e per l’adozione di provvedimenti a rilevanza esterna (compresi le misure a carattere disciplinare), per il quale vigono le regole generali sul procedimento amministrativo di cui alla legge 241/1990[20]. Il prodotto dell’ispezione è, in genere, il “verbale di ispezione” o la “relazione ispettiva” “…con cui si esternano al titolare dell’unità operativa da cui si dipende (o all’organo di vertice dell’amministrazione) i risultati acquisiti, integrati da eventuali proposte…”[21].

Per quel che concerne il controllo di regolarità amministrativa e contabile, diverso da quello ispettivo[22], la norma introduce il richiamo al rispetto dei principi generali della revisione aziendale[23] asseverati dagli ordini e dai collegi professionali operanti nel settore, “in quanto applicabili alla pubblica amministrazione”. Quest’ultima locuzione[24] “…non è di facile ed immediata applicazione: in primis perché sia a livello nazionale che internazionale esistono diversi ed eterogenei documenti riguardanti la revisione aziendale; in secundis perché proprio dalla dottrina aziendalistica viene sottolineata la peculiarità dell’azienda pubblica amministrazione rispetto alle realtà di cui si occupano tradizionalmente gli ordini e i collegi professionali. Proprio la sostanziale indeterminatezza della funzione di revisione induce a ritenere che questa attività, sia nella ipotesi di esecuzione tramite propri funzionari che di affidamento all’esterno, debba essere predeterminata quanto alle modalità di svolgimento. In particolare la predeterminazione deve riguardare la qualità e la quantità di controlli sull’attività amministrativa interessata. Con riguardo alla revisione interna le valutazioni della Corte si devono concentrare soprattutto sulla predeterminazione e la congruità dei criteri adottati. Ciò soprattutto nelle ipotesi, ormai prevalenti, in cui è ammesso effettuare i controlli a campione, anziché sull’universo della gestione contabile. In questi casi possono essere adottate tecniche di campionamento di tipo oggettivo o soggettivo. Nel primo caso costituisce corretto canone deontologico che il campione sia idoneo a rappresentare statisticamente l’universo della gestione. Nel secondo caso, caratterizzato da una migliore discrezionalità del controllore, devono essere resi ostensibili i motivi che inducono a concentrarsi su un settore anziché su altri…”.

Sull’argomento è stato evidenziato[25] che il controllo amministrativo contabile non si configura più come mero controllo di legittimità ma assume una connotazione di una vera e propria attività di revisione, al fine di attestare la legittimità, regolarità e correttezza dell’azione amministrativa. Si rileva anche che la professionalità di chi è chiamato a ricoprire tale ruolo sia una condizione necessaria affinché l’attività di revisione si riveli effettivamente proficua per la gestione dell’ente pubblico[26].

Il controllo di “regolarità amministrativa e contabile” deve essere tenuto distinto dai controlli interni di gestione e strategico e da quello esterno “”sulla gestione””, i quali hanno altre finalità[27].

Le principali normative che disciplinano i controlli amministrativo contabili fanno riferimento sia alla specificazione di compiti prevalentemente successivi, sia alla descrizione di altri compiti preventivi o concomitanti l’attività amministrativa.

Il controllo di regolarità amministrativa e contabile negli enti pubblici comprende infatti, la verifica:- della conformità alle norme legislative (nazionali e comunitarie) e regolamentari vigenti;- del rispetto delle norme statutarie e delle disposizioni contenute negli atti e nelle deliberazioni dei competenti organi dell’ente;- della conformità ai principi di “”corretta amministrazione”” della gestione economica e finanziaria dell’ente;-dell’applicazione dei principi contabili del bilancio di previsione e del rendiconto generale; -della regolare tenuta della contabilità e della relativa documentazione di supporto; - della cassa e dell’esistenza di titoli ed altri valori di proprietà o detenuti dall’ente a titolo di pegno, cauzione o custodia; - della corretta esecuzione degli adempimenti previsti dalla legge in materia tributaria e previdenziale[28].

 

4. In questo contesto ci si è chiesti quali siano i principi di revisione aziendale asseverati dagli ordini e collegi professionali che potrebbero utilmente essere estesi agli enti pubblici[29].

Si è osservato che “…premesso che il contesto normativo contabile delle amministrazioni pubbliche non è omogeneo (ente che vai, norma contabile che trovi), i principi di revisione privatistici da indagare ai fini di una loro applicazione pubblicistica sono: a) i principi generali di revisione dell’IFAC – International Federation of Accountants, ossia gli International Standards of Auditing (ISA’s), i quali nella normalità dei casi si applicano non solo alle imprese private, ma anche alle aziende pubbliche; b) i “”Principi di revisione””[30] approvati e raccomandati dai Consigli nazionali dei dottori commercialisti e ragionieri[31]; -c) i ““Principi di comportamento del collegio sindacale”” approvati e raccomandati dai Consigli nazionali dei dottori commercialisti e dei ragionieri. Tuttavia, non tutti i principi e gli standards di revisione riguardanti la contabilità ed i bilanci delle imprese private, possono essere applicati agli enti pubblici…”, dovendosene di volta in volta valutare la piena o parziale compatibilità.

È stato al riguardo considerato che la peculiarità dei compiti cui sono chiamati i revisori nell’ambito della pubblica amministrazione determina che non può parlarsi di mera “revisione contabile” ma di “revisione pubblica”, in quanto finalizzata alla tutela e garanzia della stessa collettività che conferisce le risorse utilizzate dall’ente e pertanto “…appare così evidente come la professionalità di chi è chiamato a ricoprire tale ruolo sia una condizione necessaria affinché l’attività di revisione si riveli effettivamente proficua per la gestione dell’ente pubblico. Le diverse funzioni del revisore pubblico, infatti, richiedono una preparazione sia tecnico-contabile che giuridica, una sensibilità sia istituzionale che tecnico-aziendale, un’assunzione di responsabilità sia del pubblico ufficiale che dell’auditor…”[32].

In considerazione di dette specificità ed in conseguenza delle previsioni contenute nel d.lgs. 286/1999, il ministero dell’economia e delle finanze ha proceduto alla pubblicazione di due documenti (richiamati anche nel già richiamato d.p.r. n. 97/2003), contenenti indicazioni precise sulle modalità di svolgimento dell’attività revisionale pubblica: 1) i “Principi di revisione per il controllo di regolarità amministrativa e contabile negli enti pubblici istituzionali”, emanato dalla commissione istituita con decreto del ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica del 21 ottobre 2000 e prorogata con decreto del ministro dell’economia e delle finanze del 1° agosto 2001; 2) l’aggiornamento della “Circolare vademecum per la revisione amministrativo-contabile negli enti pubblici- 1997” attuato con circolare n. 47 del 21 dicembre 2001.

Per quanto specificamente attiene ai principi internazionali di revisione che si sono ritenuti applicabili agli enti pubblici (cfr. anche allegato 17 del d.p.r. 97/2003), alcuni sono stati individuati, negli ISA 220 (controllo della qualità del lavoro di revisione contabile), ISA 230 (documentazione del lavoro di revisione), ISA 230 (frodi ed errori), ISA 250 (effetti connessi alla non conformità a leggi e regolamenti), ISA 300 (pianificazione del lavoro di revisione), ISA 310 (conoscenza dell’attività dell’amministrazione esaminata), ISA 320 (significatività della revisione), ISA 400 (valutazione del rischio e del controllo interno), ISA 401 (la revisione contabile in un ambiente di elaborazione elettronica dei sistemi informativi)[33].

Ad integrazione dei principi internazionali vanno considerati come detto anche i “Principi di comportamento del collegio sindacale” approvati dai consigli nazionali dei dottori commercialisti e dei ragionieri[34]. Essi riguardano le società private (quotate e non) ma vanno tenuti presenti, anche in considerazione del fatto che numerosi statuti e regolamenti di organizzazione e funzionamento degli enti pubblici richiamano espressamente, per la definizione delle competenze dei revisori, le norme civilistiche sul collegio sindacale (art. 2403 c.c.) e la stessa giurisprudenza della Corte dei conti ha richiamato tale disciplina in ordine alla responsabilità dei revisori[35].

L’attuazione dei sistemi di controllo interno nell’ambito delle amministrazioni pubbliche costituisce uno dei temi sui quali maggiormente si sono soffermate le rilevazioni ed analisi svolte dalla corte dei conti nell’esercizio delle sue funzioni di controllo sulla gestione.

Può al riguardo richiamarsi la deliberazione n. 1/2002 della corte dei conti-sezione autonomie (in www.corteconti.it), della quale un apposito capitolo è dedicato al “funzionamento dei controlli interni”, con un’analisi rivolta a tutti i capoluoghi di provincia e ai comuni superiori ai 60.000 abitanti (con valutazioni espresse in forma aggregata ed ulteriori approfondimenti, con valutazioni analitiche rivolte a 18 province e 20 comuni, scelti in base ad area geografica e alla popolazione). La relazione ha evidenziato l’esistenza di situazioni fortemente eterogenee, essendosi riscontrato che “…a fronte di realtà nelle quali i controlli interni, in particolare il controllo di gestione e la valutazione dei dirigenti, rappresentano strumenti consolidati e utilizzati in tutte le loro potenzialità e, sul fronte opposto, di realtà nelle quali i controlli non sono stati neanche attuati, se ne registrano altre che hanno attivato i controlli e mostrano concezioni e livelli attuativi molto differenziati…”.

Per quanto attiene agli enti locali può osservarsi che il T.U. 267/2000 all’art. 234, risponde in primo luogo alla questione della “professionalità”, evidenziata nella dottrina prima citata e sottolineata anche dalla sentenza della sezione regionale piemontese della corte dei conti di cui si è prima riferito. La norma sulla composizione dell’organo di revisione economico finanziaria richiede infatti che la nomina cada su soggetti muniti di specifica competenza e scelti fra iscritti albo dei revisori contabili, dei dottori commercialisti e dei ragionieri.

 

5. Le funzioni sono espressamente indicate all’art. 239 e consistono in:

-attività di collaborazione con l’organo consiliare secondo le disposizioni dello statuto e del regolamento[36];

-pareri sulla proposta di bilancio e sulle variazioni di bilancio. Nei pareri è espresso un motivato giudizio di congruità, coerenza e di attendibilità contabile[37] delle previsioni di bilancio e dei programmi e progetti, anche tenuto conto del parere espresso dal responsabile del servizio finanziario ai sensi dell’art. 153, delle variazioni rispetto all’anno precedente, dell’applicazione dei parametri di deficitarietà strutturale e di ogni altro elemento utile. Nei pareri sono suggerite all’organo consiliare tutte le misure atte ad assicurare l’attendibilità delle impostazioni. I pareri sono obbligatori. L’organo consiliare è tenuto ad adottare i provvedimenti conseguenti o a motivare adeguatamente la mancata adozione delle misure proposte dall’organo di revisione;

-vigilanza sulla regolarità contabile, finanziaria ed economica della gestione relativamente all’acquisizione delle entrate, all’effettuazione delle spese, all’attività contrattuale, all’amministrazione dei beni, alla completezza della documentazione, agli adempimenti fiscali ed alla tenuta della contabilità; l’organo di revisione svolge tali funzioni anche con tecniche motivate di campionamento;

- relazione sulla proposta di deliberazione consiliare del rendiconto della gestione e sullo schema di rendiconto entro il termine, previsto dal regolamento di contabilità e comunque non inferiore a venti giorni, decorrente dalla trasmissione della stessa proposta approvata dall’organo esecutivo. La relazione contiene l’attestazione sulla corrispondenza del rendiconto alle risultanze della gestione nonché rilievi, considerazioni e proposte tendenti a conseguire efficienza, produttività ed economicità della gestione;

-referto all’organo consiliare su gravi irregolarità di gestione, con contestuale denuncia ai competenti organi giurisdizionali, ove si configurino ipotesi di responsabilità;

- verifiche di cassa, di cui all’art. 223. Dispone sempre l’art. 239 (comma 2), che al fine di garantire l’adempimento di tali funzioni, l’organo di revisione ha diritto di accesso agli atti e documenti dell’ente e può partecipare all’assemblea dell’organo consiliare per l’approvazione del bilancio di previsione e del rendiconto di gestione.

 

Può altresì partecipare alle altre assemblee dell’organo consiliare e, se previsto dallo statuto dell’ente, alle riunioni dell’organo esecutivo. Per consentire la partecipazione alle predette assemblee, all’organo di revisione sono comunicati i relativi ordini del giorno. Inoltre all’organo di revisione sono trasmessi: a) da parte dell’organo regionale di controllo le decisioni di annullamento nei confronti delle delibere adottate dagli enti locali- (ipotesi ormai superata, per effetto della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3[38]) ; b) da parte del responsabile del servizio finanziario le attestazioni di assenza di copertura finanziaria in ordine alle delibere di impegni di spesa.

 

Un’ulteriore competenza, è stata individuata dal Consiglio di Stato, nel parere reso dalla I sezione in data 26 novembre 2003, secondo cui, nel quadro della generale soppressione dei controlli preventivi di legittimità sugli atti degli enti locali, sono comunque sopravvissute le competenze del prefetto circa la vigilanza sugli atti contrattuali degli enti (deliberazioni relative ad acquisti, alienazioni appalti ed in generale a tutti i contratti- art. 135, comma 2 TUEL) al fine di prevenire l’infiltrazione della criminalità organizzata (art. 16, comma 1 bis, legge 55/1990), rientranti nella materia dell’ordine pubblico e della sicurezza (art. 117, lettera h della costituzione). In tal modo il prefetto, pur escludendosi ormai “che permanga a carico degli enti l’obbligo di inoltro indifferenziato di tutti i deliberati di impiego di risorse economiche quali elencati all’art. 135 del d.lgs. 267/2000”, può comunque chiedere, per le finalità predette, che l’organismo di controllo interno dell’ente esamini l’atto, chiedendo “in assenza di siffatto sistema di controllo” che sia effettuato un motivato riesame di legittimità da parte dell’organo che lo ha emesso[39].

 

L’organo di revisione è dotato, a cura dell’ente locale, dei mezzi necessari per lo svolgimento dei propri compiti, secondo quanto stabilito dallo statuto e dai regolamenti. Può inoltre incaricare della collaborazione, nella propria funzione, sotto la propria responsabilità, uno o più soggetti aventi i requisiti di cui all’art. 234, comma 2. I relativi compensi[40] rimangono a carico dello stesso organo di revisione. I singoli componenti dell’organo di revisione collegiale hanno diritto di eseguire ispezioni e controlli individuali. Lo statuto dell’ente locale può prevedere ampliamenti delle funzioni affidate ai revisori.

In sostanza, quindi, l’attività del collegio dei revisori si esplica in attività di collaborazione, rilascio di pareri, vigilanza e verifiche[41].

 

6. Un paragrafo a parte merita ormai la menzione dei compiti particolari, previsti per i collegi di revisione da varie disposizioni contenute nei sempre frequenti provvedimenti di contenimento della spesa pubblica.

Si richiamano al riguardo la vigilanza sui costi per il personale di cui all’art. 14 della legge finanziaria per il 2002 e le funzioni di vigilanza ed informazione sul rispetto delle prescrizioni in tema di atti di riconoscimento di debito, acquisto di beni e servizi, patto di stabilità, e divieto di indebitamento per finanziare spese correnti introdotte dagli artt. 23[42], 24 e 30 della legge 289/2002-legge finanziaria per il 2003, nonché, a regime dall’ art. 11, comma 6-ter della legge 5 agosto 1978, n. 468, aggiunto dalla legge n. 246/2002, secondo cui “Per gli enti ed organismi pubblici non territoriali gli organi interni di revisione e di controllo provvedono agli analoghi adempimenti di vigilanza e segnalazione al parlamento e al ministero dell’economia e delle finanze”, in tema di corretta applicazione delle disposizioni di cui all’art. 11 ter, comma 6 bis della stessa legge 468/1978 (efficacia delle disposizioni comportanti nuove o maggiori spese solo entro i limiti dello stanziamento autorizzato dallo specifico provvedimento legislativo)[43].

La legge 21 febbraio 2003 n. 27 (“Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 24 dicembre 2002, n. 282, recante disposizioni urgenti in materia di adempimenti comunitari e fiscali, di riscossione e di procedure di contabilità”) ha previsto, all’art. 9 che “In relazione alle prioritarie esigenze di controllo e di monitoraggio degli andamenti della finanza pubblica, i collegi di revisione o sindacali degli enti ed organismi pubblici di cui all’art. 1 comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165, e successive modificazioni, ad eccezione delle regioni, delle province, dei comuni e delle comunità montane e loro consorzi e associazioni, degli enti pubblici non economici regionali e locali, degli ordini e dei collegi professionali, sono integrati da un componente nominato dal Ministro dell’economia e delle finanze, senza oneri a carico dello Stato e degli enti o degli organismi pubblici. Tale disposizione non opera quando nei collegi di revisione o sindacali dei suddetti enti ed organismi pubblici è già prevista la presenza di uno o più componenti in rappresentanza del ministero dell’economia e delle finanze”.

Il decreto legge 12 luglio 2004, n. 168 (in G.U. n. 161 del 12 luglio 2004 - S.O. n. 122/L), convertito dalla legge 30 luglio 2004, n. 191 (in G.U. n. 178 del 31 luglio 2004 - S.O. n. 136)- “Interventi urgenti per il contenimento della spesa pubblica”, ha previsto ulteriori obblighi di comunicazione ed informazione agli organi di controllo ed alla Corte dei conti in ordine all’attività contrattuale relativa i beni e servizi ed al conferimento di incarichi professionali e consulenze (cfr. art. 1 comma 3 bis che integra l’articolo 26 della legge 23 dicembre 1999, n. 488, prevedendo che “… I provvedimenti con cui le amministrazioni pubbliche deliberano di procedere in modo autonomo a singoli acquisti di beni e servizi sono trasmessi alle strutture e agli uffici preposti al controllo di gestione, per l’esercizio delle funzioni di sorveglianza e di controllo, anche ai sensi del comma 4. Il dipendente che ha sottoscritto il contratto allega allo stesso una apposita dichiarazione con la quale attesta, ai sensi e per gli effetti degli articoli 47 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, e successive modifiche, il rispetto delle disposizioni contenute nel comma 3”. Art. 5 – “Dopo l’articolo 198 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, è inserito il seguente:- “Art. 198-bis (Comunicazione del referto). - 1. Nell’ambito dei sistemi di controllo di gestione di cui agli articoli 196, 197 e 198, la struttura operativa alla quale è assegnata la funzione del controllo di gestione fornisce la conclusione del predetto controllo, oltre che agli amministratori ed ai responsabili dei servizi ai sensi di quanto previsto dall’articolo 198, anche alla Corte dei conti”. Art. 10 “La spesa annua sostenuta nell’anno 2004 dalle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, per missioni all’estero e spese di rappresentanza, relazioni pubbliche e convegni, deve essere non superiore alla spesa annua mediamente sostenuta negli anni dal 2001 al 2003, ridotta del 15 per cento. Gli atti e i contratti posti in essere, dalla data di entrata in vigore del presente decreto, in violazione della disposizione contenuta nel primo periodo del presente comma costituiscono illecito disciplinare e determinano responsabilità erariale. Gli organi di controllo e gli organi di revisione di ciascun ente vigilano sulla corretta applicazione del presente comma (Il limite di spesa stabilito dal presente comma) può essere superato in casi eccezionali, previa adozione di un motivato provvedimento adottato dall’organo di vertice dell’amministrazione, da comunicare preventivamente agli organi di controllo ed agli organi di revisione dell’ente”. È stato al riguardo osservato con spunti di perplessità sulla reale portata delle nuove norme che[44] “…Non si può, comunque, negare che il decreto abbia cercato di prendere di mira alcune tipologie di spese ritenute comunque da tagliare. L’elenco comprende le missioni all’estero, le spese di rappresentanza, le spese per relazioni pubbliche e convegni, nonché incarichi e consulenze esterne, ivi compresi gli incarichi di alta professionalità, di cui all’articolo 110, comma 6, del d.lgs 267/2000. Non può che convenirsi con questa decisione del legislatore, il quale ha meritoriamente ritenuto necessario ridurre esborsi finanziari che, nell’attuale fase, possono concretamente considerarsi un “lusso”. Tuttavia, non ci si può nascondere che l’elencazione, condivisibile in astratto, lascia l’amaro in bocca. Infatti, il decreto non prevede che i tagli si applichino “in particolare” alle voci di spesa prima elencate, ma dispone che la riduzione del 10% si applica “anche” a dette spese. Si tratta di una formulazione che accomuna spese innegabilmente “voluttuarie” a spese essenziali, spesso, per il buon andamento dell’azione amministrativa. Inoltre, mentre il taglio per le spese per i consumi intermedi non prevede eccezioni, al contrario, nel caso delle spese per missioni all’estero, relazioni pubbliche e convegni si ammette un superamento dei limiti di spesa in “casi eccezionali”, purché l’organo di vertice motivi adeguatamente tale superamento dei limiti e comunichi il provvedimento (non si capisce se prima o dopo della sua approvazione, ma il sistema dei controlli è improntato sui controlli successivi) agli organi di controllo e revisione. Francamente, riesce difficile da capire perché casi eccezionali consentano di andare oltre i limiti di spesa per organizzare un convegno, e non per acquistare beni e servizi necessari allo svolgimento delle funzioni dell’ente. Ancora, se il legislatore ha colto nel segno nell’individuare le spese per incarichi e consulenze un possibile annidamento di sprechi, lascia quasi di stucco la formulazione della norma che ne prevede il contenimento. Si prevede, infatti, che “l’affidamento di incarichi di studi o ricerca, ovvero di consulenze a soggetti estranei all’amministrazione in materie e per oggetti rientranti nelle competenze della struttura burocratica dell’ente deve essere adeguatamente motivato ed è possibile solo nei casi previsti dalla legge ovvero nell’ipotesi di eventi straordinari. […]Un’osservazione appare doverosa e lecita. La Corte dei conti ha prodotto una giurisprudenza costante e pacifica[45], che da sempre considera illecito amministrativo, per le amministrazioni pubbliche, conferire incarichi e consulenze in materie ed oggetti rientranti nelle competenze della struttura burocratica. Anzi, tra le restrittive circostanza che, secondo il giudice contabile, possono rendere leciti tali incarichi, rientra senz’altro il presupposto della mancanza all’interno della struttura burocratica di una struttura o di dipendenti che possano rendere la consulenza, in quanto essa sia riferita, necessariamente, a materie ed oggetti non rientranti nelle competenze dell’ente. La Corte dei conti, per altro, ha sempre aggiunto che gli enti debbono operare sì da evitare di accrescere artatamente le proprie competenze, allo scopo di giustificare il ricorso ai consulenti. Alla luce di tale giurisprudenza, le norme del decreto legge, per quanto rigorosa…, sembrano addirittura prefigurare quello che la Corte dei conti non aveva mai consentito: incarichi a soggetti esterni, per materie ed oggetti di competenza della struttura burocratica. All’apparenza restrittiva contro gli incarichi, letta sotto questa luce la disposizione appare, invece, maggiormente permissiva. Se non fosse che, però, consente il ricorso a detti incarichi solo “nei casi previsti dalla legge”. Qui, la norma torna restrittiva. Ma, se ammette il ricorso alle consulenze solo nei casi ammessi dalla legge, c’è da chiedersi quale sia lo scopo della disposizione, che pare avere un contenuto normativo sostanzialmente inesistente.In effetti, il rimando ai casi in cui la legge ammette gli incarichi fa tornare ciclicamente alle condizioni richieste dalla Corte dei conti come presupposti necessari per il loro affidamento: tra tali presupposti ricorre, ovviamente, il rispetto della legge ed, in particolare, delle disposizioni di cui all’articolo 110, comma 6, del d.lgs 267/2000, norma simmetrica all’articolo 7, comma 6, del d.lgs 165/2001. Il vero contenuto innovativo del decreto legge, allora, sta nell’apertura alla possibilità che gli incarichi riguardino competenze della struttura amministrativa, che possano essere comunque conferiti nell’indefinibile ipotesi di “eventi straordinari” ….Il tenore della norma dovrebbe, in effetti, sortire l’effetto di un contenimento al dilagare della spesa per incarichi di consulenza registratosi negli ultimi anni. Tuttavia, data la problematicità interpretativa della disposizione …, lascia in piedi una domanda: è lecito chiedersi se non fosse stata più opportuna una nuova e diversa normativa sugli incarichi, realmente maggiormente restrittiva e basata su più chiari presupposti per il conferimento…”.

Infine, sempre con riguardo al tema delle consulenze, la legge 30 dicembre 2004, n. 311 (in G.U. n. 306 del 31 dicembre 2004 - Suppl. Ord. n. 192) - Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005) ha ribadito le disposizioni restrittive già previste dal decreto legge n. 168/2004 prevedendo che (comma 11) “ Fermo quanto stabilito per gli enti locali dal comma 42, la spesa annua per studi ed incarichi di consulenza conferiti a soggetti estranei all’amministrazione sostenuta per ciascuno degli anni 2005, 2006 e 2007 dalle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, esclusi le università, gli enti di ricerca e gli organismi equiparati, non deve essere superiore a quella sostenuta nell’anno 2004. L’affidamento di incarichi di studio o di ricerca, ovvero di consulenze a soggetti estranei all’amministrazione in materie e per oggetti rientranti nelle competenze della struttura burocratica dell’ente, deve essere adeguatamente motivato ed è possibile soltanto nei casi previsti dalla legge ovvero nell’ipotesi di eventi straordinari. In ogni caso, l’atto di affidamento di incarichi e consulenze di cui al secondo periodo deve essere trasmesso alla Corte dei conti. L’affidamento di incarichi in assenza dei presupposti di cui al presente comma costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale”. Per quanto attiene agli enti locali dispone espressamente il comma 42, per il quale “L’affidamento da parte degli enti locali di incarichi di studio o di ricerca, ovvero di consulenze a soggetti estranei all’amministrazione, deve essere adeguatamente motivato con specifico riferimento all’assenza di strutture organizzative o professionalità interne all’ente in grado di assicurare i medesimi servizi, ad esclusione degli incarichi conferiti ai sensi della legge 11 febbraio 1994, n. 109, e successive modificazioni. In ogni caso l’atto di affidamento di incarichi e consulenze di cui al primo periodo deve essere corredato della valutazione dell’organo di revisione economico-finanziaria dell’ente locale e deve essere trasmesso alla Corte dei conti. L’affidamento di incarichi in difformità dalle previsioni di cui al presente comma costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano agli enti con popolazione superiore a 5.000 abitanti”[46].

In tema di patto di stabilità interno il comma 32 stabilisce che “Per gli enti locali, l’organo di revisione economico-finanziaria previsto dall’articolo 234 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, verifica il rispetto degli obiettivi annuali del patto, sia in termini di competenza che di cassa, e in caso di mancato rispetto ne dà comunicazione al Ministero dell’interno sulla base di un modello e con le modalità che verranno definiti con decreto del Ministero dell’interno, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze”[47].

 

7. Tralasciando in questa sede l’analisi di ciascuna di tali funzioni[48] si può segnalare il tema dell’obbligo di denuncia che incombe sull’organo. Può ricordarsi come il d.lgs. 286/99 abbia previsto (art. 1 comma 6), una specifica eccezione, per gli addetti ai controlli interni a carattere “gestionale” (controllo di gestione, strategico e valutazione dei dirigenti) rispetto all’obbligo di denuncia di cui all’art. 1 comma 3, della legge 14 gennaio 1994 n. 20, ovvero l’obbligo di denuncia di danno erariale. Detta eccezione non è prevista per gli organi di controllo interno di “regolarità amministrativa e contabile” e pertanto anche per i collegi dei revisori, che quindi vi sono tenuti nei casi previsti, come peraltro ribadito dall’art. 239, comma 1, lettera e).

Soggetti tenuti, modalità e forme della denuncia di danno erariale sono comunque individuati ed illustrati nella nota I.C./16 del procuratore generale della Corte dei conti, in data 28 febbraio 1998, la quale, con specifico riguardo agli obblighi incombenti su “organi di controllo” richiama in particolare gli obblighi previsti dai collegi dei revisori degli enti locali e delle camere di commercio (artt. 56 e 70 DM 23 luglio 1997, n. 287). In tal modo “…gli organi di controllo e/o di revisione contabile …se nell’esercitare le proprie funzioni istituzionali rilevino un atto illecito produttivo di danno, sono tenuti a darne comunicazione alla procura territorialmente competente, quando vi sia stata omissione da parte degli organi amministrativi, anche se questo dovere non sia esplicitato da un precetto- C. conti, sez. I, 19.11.1982, n. 136; sez. I, 31.1.1983, n. 181; sez. riun. 29.1.1992, n. 743/A- È da ritenere, infine, che l’organo di controllo divenga senz’altro titolare dell’obbligo di denunzia in sostituzione dell’organo (monocratico o collegiale), di amministrazione attiva, quando quest’ultimo avrebbe dovuto denunziare “se stesso”…”[49].

 

Le previsioni anzidette hanno trovato specifica conferma nel già richiamato D.P.R. 97/2003 sugli enti pubblici istituzionali, che all’art. 90 espressamente prevede l’obbligo di denuncia per i vertici amministrativi degli enti che vengano a conoscenza di fatti integranti ipotesi di danno per l’erario. Per ciò che concerne i revisori, a differenza di quanto previsto nel TUEL, è stabilito che quando il danno sia accertato dal collegio, questo invita l’organo competente a provvedere alla relativa denuncia, provvedendovi direttamente nel caso di responsabilità facenti capo al consiglio di amministrazione o ad organo analogo e nel caso di inerzia da parte degli organi che vi siano tenuti.Il regolamento prevede inoltre (artt. 79-83) compiti e modalità di esercizio dell’attività di revisione che (art. 80) si conforma i principi di revisione contenuti in allegato (n. 17) del regolamento stesso. L’art. 82 specifica l’anzidetto obbligo di denuncia di danno erariale nonché di denuncia di reato ex art. 331 del codice di procedura penale, confermandosi così espressamente il ruolo di pubblici ufficiali rivestito dai medesimi.

 

8. I revisori[50], “….una volta accettata la nomina sono legati all’ente da un rapporto di servizio[51]. Ciò significa che ai revisori torna applicabile l’art. 83, comma 2 della legge sulla contabilità dello Stato (r.d. 18 novembre 1923, n. 2440 e successive modificazioni), secondo il quale i direttori generali e i capi servizio, che nell’esercizio delle loro funzioni, vengano a conoscenza di fatti che possono dar luogo a responsabilità per danno erariale debbono far denuncia al procuratore generale presso la Corte dei conti. Coordinando le due disposizioni (obbligo di denuncia e diligenza richiesta), si può, in linea di principio, affermare che il revisore deve agire in presenza di irregolarità gravi che possono essere scoperte usando la normale diligenza. Altro aspetto della problematica in esame riguarda l’individuazione dell’organo al quale, ricorrendone i presupposti, il revisore deve avanzare la denuncia o comunicazione…”.

Al riguardo può osservarsi che lo stesso TUEL toglie ogni dubbio, visto che indica i “competenti organi giurisdizionali”, quali destinatari delle denunce, e pertanto, direttamente il procuratore regionale della Corte dei conti, per le fattispecie di danno all’erario, ovvero il pubblico ministero penale, per le fattispecie di reato. A quest’ultimo proposito va ricordato che il revisore riveste la qualifica di pubblico ufficiale (art. 357 c.p.) il quale, ai sensi dell’art. 331 c.p.p., nell’esercizio o a causa delle sue funzioni abbia notizia di un reato, deve farne denuncia per iscritto, anche quando non sia individuata la persona cui il reato sia attribuibile. Ne consegue[52] “…che i verbali redatti dal collegio sono “”atti pubblici”” e le irregolarità connesse all’attività di revisione sono da considerarsi reati contro la pubblica amministrazione …”[53].

Va in proposito evidenziato che l’eccezione di cui all’art. 1 comma 6 del d.lgs. 286/99 per i soggetti preposti a servizi di controllo interno “gestionale” non si estende ai fatti di reato e pertanto, anche per essi, sussiste l’obbligo di denuncia di reato.

 

Il complesso degli obblighi anzidetti e la collocazione istituzionale dei revisori dei conti hanno trovato conferma nel citato D.P.R. n. 97/2003 contenente il nuovo regolamento di contabilità per gli enti pubblici istituzionali di cui alla legge 70/1995. L’art. 90 del regolamento, infatti espressamente prevede l’obbligo di denuncia per i vertici amministrativi degli enti che vengano a conoscenza di fatti integranti ipotesi di danno per l’erario. Per ciò che concerne i revisori, a differenza di quanto previsto nel TUEL, è stabilito che quando il danno sia accertato dal collegio, questo invita l’organo competente a provvedere alla relativa denuncia, provvedendovi direttamente nel caso di responsabilità facenti capo al consiglio di amministrazione o ad organo analogo e nel caso di inerzia da parte degli organi che vi siano tenuti. Il regolamento prevede inoltre (artt. 79-83) compiti e modalità di esercizio dell’attività di revisione che (art. 80) si conforma i principi di revisione contenuti in allegato (n. 17) del regolamento stesso. L’art. 82 specifica l’anzidetto obbligo di denuncia di danno erariale nonché di denuncia di reato ex art. 331 del codice di procedura penale, confermandosi così espressamente il ruolo di pubblici ufficiali rivestito dai medesimi.

 

Per ciò che attiene alle modalità di esercizio dei compiti revisionali, oltre alle norme di legge e regolamentari vi è, come prima indicato, il rinvio ai principi di revisione, elaborati appositamente per gli enti pubblici, riportati in allegato al regolamento e costituenti il risultato del lavoro di un’apposita commissione di studio istituita presso il ministero dell’economia e delle finanze (documento pubblicato dal Ministero dell’economia e delle finanze nell’anno 2002). Il documento della commissione e il regolamento n. 97/2003 fissano, le regole operative cui devono attenersi i revisori contabili negli enti pubblici, estendendo ad essi, in sostanza i principi già vigenti per la revisione contabile negli enti locali. In tal modo, anche negli enti pubblici istituzionali ai revisori dei conti sono attribuite funzioni di “collaborazione qualificata” e di vigilanza[54]. L’attività di collaborazione non va però intesa come compartecipazione all’attività degli organi di amministrazione[55]-[56].

 

9. Quanto alle responsabilità, la giurisprudenza contabile si è occupata, in vario modo di detto profilo.

Il TUEL dispone espressamente al riguardo all’art. 240 (“Responsabilità dell’organo di revisione”), stabilendo che “I revisori rispondono della veridicità delle loro attestazioni e adempiono i loro doveri con la diligenza del mandatario. Devono inoltre conservare la riservatezza sui fatti e documenti di cui hanno conoscenza per ragione del loro ufficio”.

Si rileva che l’art. 240 TUEL[57] è derivato “…dall’art. 2407 del codice civile, per il quale i sindaci devono ottemperare i loro doveri con la diligenza del mandatario. Per l’art. 1710 c.c. del codice civile il mandatario è tenuto ad eseguire il mandato con la diligenza del “”buon padre di famiglia””. In assenza di una definizione precisa, è opportuno ricorrere alla dottrina e alla giurisprudenza stabilendo dei criteri oggettivi, basati su concetti quali: sollecitudine, perizia, capacità professionale, ecc.. Da tenere presente che i concetti di correttezza (art. 1175 cod. civ.) e i concetti di buona fede (art. 1375 cod. civ.) esulano dalle fattispecie di diligenza. La non osservanza dell’obbligo di diligenza comporta ipotesi di responsabilità: a) disciplinari[58] (decadenza dalla carica, ammessa solo in presenza dell’inadempienza da accertare con garantito procedimento…); civile; penale;…”, nonché “patrimoniale” (amministrativo contabile). Viene tuttavia precisato che la diligenza che deve essere adottata è “….quella richiesta dalla natura della sua attività, ai sensi dell’art. 1176, 2° comma c.c. e poiché questa è intrinsecamente e sostanzialmente professionale, ne consegue che la diligenza che si deve pretendere …è quella dell’“”avveduto revisore contabile esterno indipendente”” che, pur non dovendo assicurare il risultato della corretta e veritiera rappresentazione contabile dei fatti gestionali, deve tendere alla migliore realizzazione possibile dell’incarico…”. Tale norma[59] “…impone al professionista una diligenza particolarmente qualificata dalla perizia e dall’impiego degli strumenti tecnici adeguati al tipo di attività dovuta. Sotto questo riguardo può dirsi che l’impegno del professionista è superiore a quello del comune debitore. Va però tenuto presente che il criterio applicabile è pur sempre quello della normale diligenza in quanto il professionista deve impiegare la perizia e i mezzi tecnici adeguati allo standard professionale della sua categoria. Tale standard servirà a determinare il contenuto della prestazione dovuta e la misura della responsabilità, conformemente alla regola generale. Non può quindi parlarsi di una responsabilità aggravata a carico del professionista. Al contrario, quest’ultimo sembra essere stato posto in una posizione di minore responsabilità da quella norma che dichiara il professionista intellettuale responsabile solo per dolo o colpa grave quando la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà (art. 2236 c.c.- cass. 11 agosto 1990, n. 8218). La prevalente interpretazione dottrinale di tale norma è tuttavia nel senso che il professionista risponde solo per dolo o colpa grave quando l’esecuzione della prestazione richiede una perizia superiore a quella ordinaria della sua categoria . In tal caso la colpa grave consiste nella disapplicazione del minimo di nozioni tecniche che il professionista generico deve possedere in relazione a prestazioni specializzate (Cass. 26 marzo 1990, n. 2428 ipotizza come casi implicanti la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà i casi clinici nuovi, non ancora dibattuti con riferimento ai metodi terapeutici da seguire). Il professionista generico[60] è però tenuto ad accertare la speciale difficoltà della prestazione e a far presente al cliente la necessità di richiedere l’opera di uno specialista…”.

Nel settore delle società commerciali viene riconosciuta la configurabilità di una responsabilità contrattuale[61] fra revisore mandatario e società revisionata mandante (Trib. Milano, 18 giugno 1992). Si osserva[62] che “…l’analisi della responsabilità contrattuale del revisore, sia nel caso di revisione obbligatoria, sia in quella di revisione volontaria, non presenta particolari problemi di carattere teorico. Infatti l’incarico che viene conferito …crea un rapporto che si svolge sempre (anche nel caso di revisione obbligatoria) in chiave prevalentemente privatistica; esso infatti trova la sua base in un contratto (che può definirsi,in un certo qual modo “”imposto”” per i casi di revisione obbligatoria. Il contratto che viene stipulato ….viene unanimemente qualificato come “”mandato”” …. Ciò premesso, occorre considerare che ogni comportamento scorretto o negligente de revisore sarà punibile, poiché contrario ai doveri imposti dal contratto; quindi il revisore sarà tenuto a risarcire i danni subiti dal cliente, ai sensi dell’art. 1218 c.c..Se ne deduce che, nel rapporto contrattuale di revisione, fondamentale importanza avranno i principi contabili e di revisione[63]…che costituiscono strumenti utilizzabili per determinare il grado di diligenza richiesto… E individuato lo standard di diligenza preteso, trattandosi di obbligazioni di mezzi, si individua conseguentemente il confine tra adempimento ed inadempimento contrattuale….”. Conclusivamente si rileva che l’elevata qualificazione professionale del revisore (comprovata dall’iscrizione nell’apposito albo) non consente agevolmente di individuare situazioni in cui vengano a porsi “problemi tecnici di speciale difficoltà”, sicché il revisore sarà contrattualmente responsabile per inadeguatezza allo standard di diligenza previsto, sia nel caso di dolo, sia nel caso di colpa grave o lieve[64]-[65].

Di particolare interesse è in questa sede il rapporto fra la responsabilità civile e quella amministrativo contabile.

Invero l’art. 240 TUEL sembra delineare anche per i revisori dei conti dell’ente locale una responsabilità civilistica di natura contrattuale, cui si contrappone tuttavia la loro posizione di soggetti legati da “rapporto di servizio” con l’ente pubblico e la conseguente configurabilità di una responsabilità amministrativo contabile, i cui parametri ed elementi costitutivi sono diversi.

 

10. La responsabilità amministrativa è stata configurata in modo peculiare (e tale da non potersi ricondurre integralmente né alla responsabilità civile contrattuale, né a quella extracontrattuale) dalle norme costituzionali e dalle leggi ordinarie, ed in particolare dalla legge 20 gennaio 1994 n. 20, come modificata dalla legge 639/1996. In presenza di un danno per l’erario derivante da attività amministrativa (in essa rientrando anche l’attività di controllo interno, in vario modo esplicitata), la responsabilità del pubblico amministratore o dipendente (o di un soggetto, anche persona giuridica legato alla P.A. da un rapporto di servizio in senso lato) può essere affermata solo in presenza di detti elementi e con le limitazioni previste nella stessa legge 20/1994 (art. 1), sicché in mancanza di essi non vi è una “diversa giurisdizione”, ma non vi è alcuna responsabilità da perseguire. Con la disciplina anzidetta, ma in particolare con la legge 142/1990, è stata infatti superata la precedente situazione, riguardante proprio gli amministratori e dipendenti degli enti locali, per i quali sussistevano, diversi tipi di responsabilità per danno erariale, fondate su diversi presupposti e con competenze giurisdizionali distinte (responsabilità formale e contabile- colpa lieve- Corte dei conti, per gli amministratori; responsabilità civile- colpa grave- giurisdizione ordinaria, per i dipendenti), stabilendosi per tutti espressamente (cfr. art. 93 d.lgs. n. 267/2000) la giurisdizione della Corte dei conti. Nell’attuale contesto normativo la responsabilità per danno all’erario (dello Stato o degli altri enti pubblici) ha una configurazione unitaria[66], risultante dalla “…combinazione di elementi restitutori e di deterrenza che connotano …” tale istituto, che risponde “…alla finalità di determinare quanto del rischio dell’attività debba restare a carico dell’apparato e quanto a carico del dipendente, alla ricerca di un punto di equilibrio tale da rendere, per i dipendenti e amministratori pubblici, la prospettiva della responsabilità ragione di stimolo e non di disincentivo…” (Corte costituzionale, sent. 11-20 novembre 1998 n. 371).

In mancanza di detti elementi caratterizzanti, non è configurabile, per gli amministratori e dipendenti pubblici una ulteriore responsabilità civile “ordinaria” per colpa lieve (seppure, con riguardo al ruolo dei revisori, con le attenuazioni derivanti dal rapporto professionale), nei confronti della P.A., pena il sostanziale stravolgimento dell’assetto “equilibrato” del rapporto fra azione amministrativa e responsabilità, evidenziato dalla Corte, né un’azione in tal senso risulterebbe ammissibile presso il giudice ordinario, potendosi far valere, nei confronti del pubblico amministratore o dipendente esclusivamente la responsabilità amministrativo contabile innanzi al giudice contabile, con azione pubblica affidata al procuratore regionale della Corte dei conti (art. 103, 2° comma, Cost., art. 82 r.d. 18 novembre 1023 n. 2440; art. 52, r.d. 12 luglio 1934 n. 1214, art. 58 legge 142/1990 ed ora art. 93 d.lgs. 267/2000; art. 1 legge 20/1994 come modificato dalla legge 639/1996)[67]-[68]. La configurazione della responsabilità amministrativa quale ipotesi di responsabilità rientrante nelle disposizioni generali sull’ordinamento civile”, e pertanto sottratta alla competenza legislativa concorrente o residuale delle regioni è stata di recente affermata dalla Corte costituzionale con la sentenza 15 novembre 2004 n. 345[69].

 

Le disposizioni normative e l’interpretazione dottrinale e giurisprudenziale conducono ad una configurazione unitaria della revisione contabile nell’ambito degli enti pubblici, sia territoriali che istituzionali, nella quale la posizione del revisore è caratterizzata dalla compresenza di competenze professionali particolarmente qualificate, cui debbono tuttavia si assommano specifiche funzioni pubbliche che diversificano nettamente la funzione di revisione in ambito pubblico rispetto a quella espletata a favore di imprese private, con conseguenti rilevanti effetti anche in ordine a particolari doveri funzionali e conseguenti responsabilità di natura pubblicistica[70].

La responsabilità “civile” dei revisori dei conti dell’ente locale (invero per i revisori degli altri enti pubblici[71] la giurisdizione contabile e la relativa responsabilità amministrativa, appaiono pacifiche – cfr. C. conti, sez. I 31 dicembre 1988, n. 198; sez. II, 23 ottobre 1991, n. 324; sez. II 6 febbraio 1992, n. 26; sezione I centrale 14 febbraio 2002, n. 47; 1° agosto 2002 n. 272 e 13 febbraio 2003, n. 64) potrà pertanto rilevare, come per gli amministratori e dipendenti (cfr. art. 93, comma 1 TUEL), solo con riguardo alle ipotesi di responsabilità “”verso terzi””,[72] di cui all’art. 28 Cost. ed al testo unico impiegati civili dello Stato (d.p.r. 10 gennaio 1957, n. 3) che, tra l’altro, prevedono anche in tal caso il requisito soggettivo della “colpa grave”[73].

Le disposizioni normative e l’interpretazione dottrinale e giurisprudenziale conducono ad una configurazione unitaria della revisione contabile nell’ambito degli enti pubblici, sia territoriali che istituzionali, nella quale la posizione del revisore è caratterizzata dalla compresenza di competenze professionali particolarmente qualificate, cui debbono tuttavia si assommano specifiche funzioni pubbliche che diversificano nettamente la funzione di revisione in ambito pubblico rispetto a quella espletata a favore di imprese private, con conseguenti rilevanti effetti anche in ordine a particolari doveri funzionali e conseguenti responsabilità di natura pubblicistica[74].

Per quanto attiene ad alcune specifiche vicende processuali in sede contabile, che hanno riguardato la posizione dei revisori, si possono segnalare alcune decisioni.

Può in primo luogo richiamarsi la sentenza n. 1179 del 21 marzo 2001, con la quale la sezione giurisdizionale regionale della Corte dei conti per la regione Toscana (cfr. “Il Sole- 24ore”, 15 aprile 2002, pag. 27), si è pronunziata, tra l’altro, su una questione di responsabilità amministrativo contabile, imputata anche ai revisori dei conti di un ente locale, con riguardo ad indebita corresponsione di compensi ad un dipendente[75].

La sentenza risulta interesse, per la questione affrontata in ordine alla posizione di responsabilità dei revisori dei conti.

La procura regionale della Corte dei conti per la regione Toscana, aveva infatti convenuto in giudizio i vertici politici dell’ente (sindaci ed assessori succedutisi nella carica per il periodo di realizzazione del danno), i segretari comunali ed i revisori dei conti. Senza entrare nella disamina delle singole posizioni, può qui evidenziarsi come, con riferimento ai revisori, il giudice regionale abbia respinto la richiesta risarcitoria nei loro confronti affermando che “…ritiene anzitutto il collegio di dover escludere una qualunque responsabilità dei componenti dell’organo di revisione …in considerazione del fatto che l’attività di controllo ad essi rimessa dalla legge non si estende alla verifica della legittimità degli atti adottati dalla giunta comunale, consistendo invece nella vigilanza sulla regolarità contabile e finanziaria nella gestione dell’ente locale ai fini della attestazione di corrispondenza del rendiconto alle risultanze di gestione. È ovvio che, in tale contesto possono emergere anche singole illegittimità di atti che rilevino a fini gestionali. Ciò posto, non può peraltro imputarsi ai revisori di non aver riscontrato l’illegittimità di atti specifici che essi non avevano l’obbligo di esaminare e che non risulta siano stati in qualche modo sottoposti al loro esame; e ciò proprio perché, come si è detto, il riscontro di legittimità esula dalla competenza del collegio dei revisori…”.

Questo secondo profilo della sentenza ha sollevato alcune perplessità, osservandosi che[76] “…la sentenza è formalmente esatta anche in riferimento al secondo interrogativo, ma essa fa sorgere alcuni problemi. Infatti, è vero che le funzioni dell’organo di revisione sono puntualmente previste nell’art. 239 del testo unico sugli enti locali, ed è stabilita la “”vigilanza” sulla regolarità contabile, finanziaria ed economica della gestione e non delle singole delibere. Ma nell’art. 14 della legge finanziaria 2002 è previsto un controllo sulla riduzione della spesa complessiva per il personale e vi sono delle delibere che si riverberano direttamente sulla regolarità contabile della “”effettuazione delle spese””, ipotizzate nello stesso articolo 239, comma 1, b). Oltre a ciò, come si è visto, l’organo di revisione ha anche una funzione di vigilanza, e questa funzione si traduce in un’attività attenta, solerte, dinamica, che si può effettuare (comma 2) anche mediante “”l’accesso agli atti ed ai documenti dell’ente”” e con “”ispezioni e controlli individuali””. I revisori dei conti non hanno quindi una posizione statica di controllo della gestione e l’attività di revisione economico finanziaria dell’ente locale è oggi, specie dopo l’abrogazione dell’art. 130 della costituzione, di determinante importanza. Appare quindi opportuno …che gli enti locali diano attuazione al comma 6 del citato articolo 239, che stabilisce che “”lo statuto dell’ente locale può prevedere ampliamenti delle funzioni affidate ai revisori…”.

La decisione ed il commento ora citati evidenziano come tuttora sussistano, nonostante le puntuali previsioni normative, differenze interpretative su ruolo e funzioni degli organi di revisione contabile negli enti locali ed in generale negli enti pubblici.

Ulteriori spunti possono trarsi dalla sentenza n. 146 del 23 marzo 1998 emessa dalla sezione giurisdizionale della Corte dei conti per il Piemonte, con la quale è stata affermata la responsabilità amministrativo contabile dei revisori dei conti di un collegio regionale di ordine professionale, in relazione ad un rilevante danno finanziario (oltre 700 milioni di lire), conseguente alla scoperta di ammanchi di cassa causati da appropriazioni realizzate dal tesoriere (decisione confermata, per ciò che attiene al ruolo dei revisori dei conti dalla sentenza n. 250 del 23 luglio 2002, della I sezione di appello).

La decisione ne ha individuato il profilo di responsabilità sulla base della deliberazione del collegio dell’ordine con il quale era stato approvato il “Regolamento del collegio dei revisori dei conti”, cui erano affidati precisi compiti quali “revisione contabile trimestrale, verifica della congruità e della legittimità della spesa e degli investimenti in conformità delle delibere del consiglio e delle leggi, attestazione del bilancio consuntivo, adempimenti stabiliti dall’art. 2403 e ss. codice civile...”. Si trattava di un’attribuzione di compiti ben determinati, non riduttivamente riconducibili alla mera formulazione di “mere proposte o suggerimenti” al collegio. Da tale regolamento emergevano con chiarezza i compiti di vigilanza affidati ai revisori, che comprendevano anche l’espresso richiamo all’art. 2403 c.c. (“doveri del collegio sindacale”), il quale “...deve controllare l’amministrazione della società, vigilare sull’osservanza della legge e dell’atto costitutivo ed accertare la regolare tenuta della contabilità sociale, la corrispondenza del bilancio alle risultanze dei libri e delle scritture contabili e l’osservanza delle norme stabilite dall’art. 2426 per la valutazione del patrimonio sociale...”. Il collegio sindacale, sempre a norma dell’art. 2403 deve anche “...accertare almeno ogni trimestre la consistenza di cassa e l’esistenza dei valori e dei titoli di proprietà sociale o ricevuti dalla società in pegno, cauzione o custodia...”. Inoltre i sindaci “...possono, in qualsiasi momento procedere, anche individualmente, ad atti di ispezione e controllo...” mentre “...il collegio sindacale può chiedere agli amministratori notizie sull’andamento delle operazioni sociali o su determinati affari...”. Per i componenti del collegio dei revisori pertanto, attraverso l’espresso richiamo ai compiti di cui all’art. 2403 c.c. vi erano precisi obblighi di controllo, riscontro e vigilanza, chiaramente esplicitati nei loro contenuti (cfr. Cass. civ. sez. I, n. 5263 del 7.5.1993, in Foro it., 1994, I, I, 130 “...il ruolo del collegio sindacale non si limita allo svolgimento di compiti di mero controllo contabile e formale ma si estende anche al contenuto della gestione...”). Non risultavano peraltro influenti sia la mancata, espressa previsione del collegio dei revisori nello statuto dell’ente, o la circostanza che si trattasse di un incarico gratuito demandato ad alcuni componenti del consiglio direttivo in quanto ai soggetti nominati revisori erano stati attribuiti i menzionati obblighi e poteri.Non risultava nemmeno rilevante il profilo di una presunta mancanza di competenza professionale (si trattava infatti di professionisti iscritti all’ordine ma non provvisti del titolo di revisori contabili). Infatti l’aver liberamente accettato il conferimento di un incarico di garanzia quale quello di revisore dei conti, anche da parte di soggetti privi di specifica qualificazione professionale non esime gli stessi dalle responsabilità conseguenti ad omissioni o inadempimenti relativi ai compiti affidati, essendo tali responsabilità ricollegate alla funzione esercitata e non alla competenza professionale posseduta. Peraltro l’attività di controllo era stata esercitata in modo talmente poco incisivo e penetrante, da evidenziare la mancata effettuazione di verifiche anche di carattere elementare e tali da poter essere richieste ad un qualsiasi soggetto, anche non specialista della materia, deputato ad una funzione di verifica e controllo. Veniva osservato al riguardo nella sentenza impugnata che “...dai verbali di revisione contabile emerge un’attività di controllo basata esclusivamente sui dati forniti dal tesoriere e limitata a rilievi di carattere formalistico...”. Era inoltre emerso che i revisori non avevano mai eccepito nulla in ordine all’assoluta mancanza di strumenti per le verifiche contabili (non esisteva un “libro giornale”) e che i controlli venivano effettuati in assenza di documenti originali, ma solo su fotocopie. Nemmeno la verifica di cassa veniva effettuata regolarmente, pur essendo la stessa prevista espressamente sia dal regolamento sia dal richiamo all’art. 2403 c.c..La sezione giudicante aveva pertanto evidenziato “...la sussistenza di una situazione di grave disordine amministrativo (in cui si inserivano gli ulteriori elementi costituiti dalla falsificazione degli estratti conto bancari, la pesante esposizione debitoria, la mancata predisposizione del bilancio preventivo) che risultava essere stata tollerata per anni senza che i revisori avessero posto in essere le necessarie verifiche...”. Ne conseguiva che la condotta censurata atteneva alla totale omissione degli adempimenti, alcuni anche espressamente previsti dalla disposizione regolamentare e dalla richiamata norma del c.c. (verifica trimestrale di cassa) che, se effettuati avrebbero consentito una regolare attività di riscontro cui sarebbe verosimilmente conseguita una diversa attività gestoria da parte del tesoriere.

Vanno anche segnalate due pronunce,di primo e secondo grado, riguardanti la materia del “dissesto” degli enti locali.

La sentenza della I sezione centrale di appello n. 149 del 16 aprile 2003, ha confermato, per la parte che qui rileva, le statuizioni della sentenza emessa in primo grado dalla sezione giurisdizionale per la regione Campania n. 41 dell’8 febbraio 2001. Con tale decisione era stata pronunciata condanna nei confronti dei consiglieri di un comune campano a risarcire all’ente locale la somma complessiva di lire 400 milioni ripartita fra i medesimi in quote uguali di lire 20 milioni, oltre ad interessi e spese del giudizio. La vicenda riguardava la situazione di deficit finanziario del comune, cui non era conseguita una tempestiva e doverosa dichiarazione di dissesto da parte del consiglio comunale, adottata solo successivamente dalla nuova amministrazione. Il consiglio comunale aveva approvato il bilancio di previsione (su progetto redatto dalla giunta) nel quale, al fine di finanziare il pagamento dei debiti fuori bilancio riconosciuti, nonché il disavanzo di amministrazione e le passività arretrate, era stata riproposta l’alienazione di beni del patrimonio comunale. Erano poi intervenute le dimissioni di 21 consiglieri comunali con conseguente nomina di un commissario prefettizio. Il nuovo consiglio comunale, insediatosi aveva rilevato uno squilibrio economico finanziario della gestione caratterizzato da deficit strutturale, reso evidente anche dall’infruttuosa procedura di alienazione degli immobili comunali e aveva deliberato l’annullamento del bilancio di previsione e dichiarato il dissesto ai sensi dell’art. 25 del d.l. 2 marzo 1989 n. 76 conv. nella legge n. 144/89 e dell’art. 21 del d.l. n. 8/1993.

In ordine a tali fatti, la procura regionale aveva osservato che il collegio dei revisori dei conti aveva indicato “…la strada del “”dissesto””[77], evidenziando il notevole disavanzo di amministrazione emerso dalle risultanze contabili e perplessità sui concreti margini di recupero delle finanze dell’ente, tenuto anche conto del mancato riscontro delle iniziative concernenti la dismissione dei beni patrimoniali, intraprese in sede di bilancio di previsione dell’anno precedente, in occasione della cui approvazione, pur esprimendo parere favorevole alla vendita di alcuni beni del patrimonio comunale, aveva formulato dubbi sull’ alienabilità di alcuni beni immobili demaniali. Aveva ancora evidenziato il PM che lo stesso collegio dei revisori, nel formulare pareri, negativo al bilancio di previsione del 1993 e favorevole alla dichiarazione di dissesto, aveva rappresentato (verb. del 26.6.1992) che le gare di vendita dei beni erano andate deserte; l’acquisto delle caserme non rientrava nei programmi economici dei competenti ministeri; l’ente non era in grado di onorare i propri impegni; si era formato un notevole scoperto di cassa. Con riferimento alle proposte avanzate dalla giunta municipale sulla realizzazione di entrate straordinarie collegate alla alienazione di nuovi immobili comunali, aveva rilevato che il collegio dei revisori aveva segnalato l’impossibilità o, quantomeno, la difficoltà della loro vendita in quanto la maggior parte di essi aveva specifica destinazione: se non era incontrovertibile, certamente difficile da cambiare. Elementi rilevanti per l’affermazione della responsabilità degli amministratori sono stati pertanto costituiti dai rilievi dei revisori dei conti[78]. Il collegio dei revisori aveva chiaramente manifestato in più occasioni e con la relazione allegata allo schema di deliberazione, la necessità di procedere a deliberazione di dissesto. Tale posizione ha avuto carattere decisivo. Tale parere infatti, si pone come l’elemento di valutazione più qualificato per il consiglio, perché reso da un organo indipendente dalla giunta e dalla struttura amministrativa e con funzioni di sua diretta collaborazione (art. 57 della legge 142/1990. Cfr. corte dei conti, sezione enti locali, deliberazione n. 2/1992- “…Circa i singoli compiti che la legge attribuisce ai revisori, di particolare rilievo sono quelli relativi alla collaborazione con il consiglio nella sua funzione di indirizzo e di controllo sull’attività della giunta e su quello degli altri organi cui è attribuita una competenza specifica…”). Tale organo, nel momento in cui il consiglio veniva ad esercitare una delle sue più importanti funzioni, veniva a fornire il suo qualificato parere che non poteva essere considerato alla stregua di una mera opinione, di pari livello o addirittura recessiva rispetto alle affermazioni o proposte di giunta, proprio perché in tale sede al consiglio competeva di svolgere un penetrante controllo su quanto veniva proposto. Ignorando le osservazioni del suo organo tecnico di diretto supporto (collegio dei revisori) il consiglio ha sostanzialmente abdicato alla sua funzione, limitandosi alla ratifica di quanto affermato dalla giunta.In tal modo divengono di scarso rilievo le argomentazioni concernenti una mancata o limitata conoscenza delle norme amministrative o di bilancio, ovvero la breve esperienza di consigliere, in considerazione della peculiare importanza dell’argomento, che ne imponeva un’adeguata ponderazione e della presenza dell’ausilio tecnico costituito dal consiglio dei revisori, che aveva adeguatamente fornito i necessari elementi di giudizio (e che eventualmente poteva essere ulteriormente interpellato)[79].

Circa il principio di indipendenza dei revisori viene in evidenza una recente determinazione assunta dalla Corte dei conti in sede di controllo (determinazione n. 22/2003 della Sezione del controllo sugli enti, in www.corteconti.it) riguardante il conferimento di un incarico di consulenza da parte dell’ANAS s.p.a. ad un membro del collegio sindacale della società che ha ribadito il principio, sulla base della disciplina generale valevole sia per i sindaci delle società, sia per i revisori degli enti pubblici, per il quale essi devono rimanere estranei all’attività gestionale dell’ente e non devono rendere prestazioni diverse da quelle dovute per la carica rivestita.

Il principio dell’autonomia e indipendenza dei revisori trova una indiretta affermazione nella sentenza resa dalla seconda sezione centrale di appello (n. 106/2002/A del 29 marzo 2002) ove è stata affermata la responsabilità amministrativa di amministratori provinciali per il danno connesso all’erogazione di una spesa di lire 11.374.615, relativa ad acquisto di “doni di fine mandato” a favore dei consiglieri provinciali, degli assessori esterni, del difensore civico e dei revisori dei conti e del difensore civico. Si è trattato infatti di spesa che non può rientrare fra quelle di rappresentanza “…in quanto non è possibile intravedere alcun collegamento con i fini istituzionali dell’ente, ma ne emergono aspetti che, semmai, attengono al rapporto di quotidianità con i componenti di altri organi e realizzano una sorta di sentimento di gratitudine – del tutto personale- dei componenti della giunta provinciale verso questi ultimi, in forza dell’atteggiamento collaborativi da essi dimostrato. Però non tengono conto, gli appellanti incidentali, che la collaborazione, o per lo meno, il positivo rapporto, posto a fondamento del dono, rientrano nel novero dei doveri e poteri degli organi gratificati, a carico dei quali sussiste l’obbligo di pronuncia, rigidamente regolato dall’ordinamento, organi i quali, sono privi di discrezionalità, essendo chiamati a rendere giudizi, aventi parametro la legge, sulla base della quale valutano l’attività dell’ente locale. Del resto la giurisprudenza ormai consolidata, ha chiarito che, per potersi definire una spesa come di rappresentanza, deve esistere lo stretto legame con i fini istituzionali dell’ente, la necessità dell’ente ad una proiezione esterna, o ad intrattenere pubbliche relazioni con soggetti estranei: lo stanziamento nel bilancio dell’ente ne costituisce uno dei presupposti, così come l’eventuale determinazione in regolamenti o atti amministrativi generali, anche se lo stanziamento ex se non rende lecita la spesa, che, invece, deve essere finalizzata direttamente al pubblico interesse. Soprattutto, deve escludersi che l’attività di rappresentanza possa configurarsi nell’ambito dei normali rapporti istituzionali e di servizio, come si verifica, ad esempio, in occasione del collocamento a riposo dei dipendenti (medagliette ricordo)e, aggiunge il collegio, come si è verificato nella fattispecie di causa, caratterizzata dalla normalità e istituzionalità dei rapporti di servizio tra ente beneficiante e organi beneficiati. La spesa in questione è, quindi, del tutto illecita, macroscopicamente illecita…perché completamente priva dei caratteri distintivi delle spese di rappresentanza: parimenti, ne consegue che l’intera entità della spesa costituisce danno per l’ente locale, in quanto tale da risarcire…”[80].

Con la sentenza n. 209 del 29 maggio 2003 la seconda sezione centrale di appello ha affermato la responsabilità sussidiaria dei revisori dei conti, della banca tesoriere e del segretario comunale di un comune in ordine all’ammanco di circa 740 milioni di lire relativo alle appropriazioni realizzate dal ragioniere – economo, attraverso l’emissione di falsi mandati di pagamento. L’articolata motivazione evidenzia come sia stata configurata la responsabilità anche dei componenti del collegio dei revisori per la carente azione di controllo che non aveva rilevato alcuna anomalia nella contabilità, pur caratterizzata da rilevanti irregolarità, nonché nel non aver eseguito, per più di due anni, le dovute verifiche di cassa.

In ordine alla responsabilità dei revisori dei conti, in questo caso di un istituto scolastico, è la decisione della prima sezione centrale di appello n. 64 del 13 febbraio 2003 (nella fattispecie ha modificato la sentenza di primo grado ritenendo non sussistente l’elemento soggettivo della colpa grave)[81].

La III sezione centrale di appello, con sentenza n. 440 del 28 ottobre 2003 ha parzialmente riformato la sentenza di primo grado (n. 82/2002 del 25 marzo 2002 della sezione regionale per il Friuli Venezia Giulia) che aveva affermato la responsabilità, oltre che dei componenti del consiglio di amministrazione, anche del presidente e di un componente del collegio dei revisori dell’ERSA (ente regionale per la promozione e lo sviluppo dell’agricoltura) in relazione alla concessione (senza alcuna valutazione economico finanziaria) di una fideiussione per il 90% di un mutuo contratto da una cooperativa successivamente fallita e per il quale l’ente, in relazione alla fideiussione concessa aveva fatto fronte al debito verso l’istituto di credito per un importo di 5. 700.000.000 di lire definito in sede transattiva. La sezione di appello, pur confermando la responsabilità dei componenti del consiglio di amministrazione e del direttore generale, ha prosciolto i revisori dei conti osservando che nella fattispecie il mero assistere alla seduta del consiglio di amministrazione non determina responsabilità amministrativa, non potendo i revisori inibire l’assunzione di deliberazioni rientranti nella responsabilità del consiglio di amministrazione (sentenza attualmente gravata di ricorso per cassazione).

La responsabilità amministrativa dei componenti del consiglio di amministrazione e del presidente del collegio sindacale di uno I.A.C.P. è stata affermata da sez. III centrale, sentenza n. 201/A del 24 marzo 2004 (in Riv. Corte dei conti, 2004, 2, pp. 164) che ha evidenziato come “…non possono non considerarsi in colpa grave e debbono, per l’effetto, rispondere del danno ingiusto cagionato, il presidente del collegio sindacale di un istituto autonomo case popolari e il consiglio di amministrazione dello stesso istituto per avere –rispettivamente – promosso e deliberato la liquidazione del compenso dovuto allo stesso presidente del collegio sindacale in ragione del miglior trattamento previsto, ai sensi dell’art. 107 del d.lgs. 25 febbraio 1995 n. 77, in favore dell’omologa carica degli enti locali, quando nella circostanza si sia ritenuto di poter trascurare il contrario parere espresso dalla ragioneria generale dello Stato riguardo alla possibilità di applicazione analogica del richiamato art. 107 d.lgs. n. 77…”.

La responsabilità è invece stata anche esclusa, nella sentenza n. 1 depositata l’8 gennaio 2004 della sezione regionale per la Calabria, nei confronti dei componenti di un collegio dei revisori dell’amministrazione scolastica in relazione ad ammanchi addebitabili ad attività illecite di falsificazione realizzate dal coordinatore amministrativo di un istituto statale d’arte.

La sentenza sez. Lazio n. 1463 del 13 maggio 2004 ha invece affermato la responsabilità del presidente del collegio sindacale di un importante ente previdenziale, unitamente a quella del direttore generale, per i danni cagionati all’ente nell’ambito di attività di acquisto di immobili caratterizzate dal compimento di illeciti penali (corruzione).

 



[1] Massima riportata in www.lexItalia.it, n. 7-8/2004

[2] M. R. SPASIANO, Funzione amministrativa e legalità di risultato, Milano, 2003; G. COPPOLA, Il controllo di gestione come strumento di valutazione dell’amministrazione per risultati nell’ottica del bene pubblico, in www.amcorteconti.it, 2004; in termini dubitativi circa l’attualità della formula v. S. CASSESE, Che cosa vuol dire amministrazione di risultati?, in Giornale di diritto amm., 2004,9, pag. 941.

[3] G. MELIS, in Atti del IV convegno COGEST-I costi dell’inefficienza- Roma, 28-29 maggio 1997 rivela che “…Il 12 gennaio 1870 a Firenze, il direttore capo della prima divisione del ministero dell’interno dovette condensare in una relazione indirizzata al ministro alcune notizie sulla produttività del personale in servizio all’amministrazione centrale. Dopo aver riferito il numero complessivo dei dipendenti (296 dei quali 248 nel ministero, 41 comandati da amministrazioni dipendenti e 7 diurnisti), il funzionario si domandava se quel numero eccedesse o meno ““il bisogno quotidiano del ministero””. Per rispondere alla domanda – aggiungeva subito- ““reputasi opportuno di ripartire gli impiegati del ministero in tante categorie quante sono le differenze generali degli incarichi loro affidati, poscia di constatare quanto sia il lavoro fatto da ciascuna categoria per conoscere finalmente l’opera di ciascun impiegato”“. Seguiva quello che era forse il primo prospetto ragionato della distribuzione del lavoro per funzioni e dei carichi di lavoro in un’amministrazione italiana. Secondo il prospetto elaborato dal capo di divisione, ai lavori di segreteria risultavano addetti 143 impiegati, che negli ultimi tre mesi del 1869 avevano ““spedito”” 372 affari giornalieri: ““ma per 372 affari - si annotava a margine - devono bastare cento minutanti e il loro numero può quindi ridursi di 43. Ai lavori di contabilità erano stati invece addetti 38 impiegati: i mandati di pagamento, che nel 1866 erano stati 15.292, erano divenuti 19.153 nel 1867 e nel 1868, 24.302 (per una somma di oltre 36 milioni); aggiungendovi i mandati legati al pagamento delle spese fisse mediante prospetti presso gli uffici finanziari (“dei quali – si avvertiva - non potei avere precisa individuazione”) il carico di lavoro per questo tipo di lavori saliva a circa 50 mila atti di contabilità all’anno, il che giustificava pienamente il numero degli addetti. I lavori di archiviazione e protocollo impiegavano 28 persone. Si potevano calcolare inoltre 360 registrazioni in arrivo e altrettante di partenza ogni giorno, il che suggeriva la possibilità di qualche minima diminuzione degli addetti, ma solo quando il personale avesse pienamente padroneggiato le tecniche di registrazione e fosse cresciuta di conseguenza la produttività individuale (per intanto giudicata bassa). Ai lavori di copiatura risultavano attribuiti 33 impiegati, impegnati nella copia dei 372 affari giornalieri: erano – arguiva da un rapido calcolo la relazione – circa 700 pagine al giorno, cioè circa 20 pagine al giorno per copista ““che difficilmente si riuscirebbe a sorpassare con impiegati e solo potrebbesi con scrivani pagati a giornata”“. Emergeva dunque l’uscita di sicurezza tipica dell’amministrazione ottocentesca: quella del ricorso all’avventiziato, pagato a cottimo, senza diritti, dotato strutturalmente di una capacità di lavoro più elevata di quanto non accadesse alla pur operosa burocrazia di quei primi anni. Infine la relazione menzionava i 3 impiegati addetti al servizio interno e i 10 assegnati alla matricola (uffici che nel 1870 erano stati appena istituiti) e si concludeva con alcune proposte di parziale diminuzione del personale. Questo tipo di indagini non era, all’epoca, un fatto isolato. L’abitudine alla statistica dell’attività, il calcolo degli affari e delle risorse disponibili, la ricerca di più elevati standard di produttività del lavoro burocratico (magari, come in questo caso, attraverso l’introduzione di personale precario da adibire a compiti di copia), erano, negli uffici del nuovo Regno d’Italia, abbastanza diffusi. Nel maggio del 1862 erano state addirittura emanate delle Disposizioni per conoscere la quantità e la qualità del lavoro eseguito da ciascun impiegato. Alcune amministrazioni (per esempio il Consiglio di Stato) tenevano annualmente la contabilità degli affari trattati, distinti per genere e tipologia. Inoltre il rapporto tra costi e tempi di esecuzione non era del tutto ignoto, come dimostra, nel 1866, una vera e propria simulazione messa in atto dallo stesso Ministero dell’interno, per stabilire quanto tempo e quanti passaggi burocratici occorressero per un mandato di pagamento qualunque (per pagare lire 20 ad una ballerina del Teatro San Carlo di Napoli, ad esempio, o per comprare 12 sedie della Regia Scuola di ballo della stessa città- (“I passaggi necessari erano risultati nel primo caso 15. Il tempo 1 ora e 17 minuti” in G. MELIS, Gli albori della produttività burocratica: organizzazione del lavoro e cultura dell’amministrazione nell’Italia postunitaria, in Rivista trimestrale di scienza dell’amministrazione, 1989, n. 3, pp. 95 e ss.). L’esasperata necessità di controllare la spesa, collegabile alla politica della lesina di quei primi anni di amministrazione unitaria, induceva insomma ad una ricerca di razionalizzazione, sebbene questa esigenza per così dire ““efficientistica”“ (ma l’aggettivo costituisce un consapevole anacronismo) entrasse in contrasto con la rigidità delle strutture e delle norme, con le prassi codificate che i primi regolamenti ministeriali imponevano al lavoro negli uffici.Piuttosto che i ritmi e le quantità di atti prodotte prendevano via via il sopravvento le superiori esigenze della regolarità, della uniformità, della legalità. Dopo il 1869 (per effetto della nuova legge di contabilità che porta il nome del ministro Cambray Digny) la complessità delle scritture contabili e la densità degli accertamenti avrebbero concorso a rallentare l’amministrazione, imponendo all’atto amministrativo una sequenza di ““stazioni”“ più lunga e faticosa di quanto non avvenisse nei primi anni di esperienza unitaria. Del resto era la complessità stessa dell’attività amministrativa, a sua volta dipendente dalla più fitta articolazione degli interessi nella società italiana di fine secolo, ad introdurre nuove e più elaborate forme di procedimentalizzazione e di controllo…”. Per un profilo storico dell’evoluzione della p.a. cfr. SEPE-MAZZONE-PORTELLI-VETRITTO, Lineamenti di storia dell’amministrazione italiana (1861-2002), Carocci, Roma, 2003

[4] Ora sostituito dal d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165 che ha espressamente abrogato l’art. 20 del d.lgs. 29/1993 fatta eccezione per il comma 8, confluito nell’art. 24 del d.lgs.165/2001 - cfr. F. CARINGELLA, Corso di diritto amministrativo, Milano, 2001, 1496. Cfr. anche S. AURIEMMA, Norme riunite sul rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici, in Notizie della scuola, ed. Tecnodid, Napoli, 2001

[5] F. CARINGELLA, op. cit., 1496

[6] F. CARINGELLA, op. cit., 1497

[7] B. MANNA, Controlli di gestione e metodi di valutazione, in Riv. Corte dei conti, 2001, 1, 281 e ss.; A. VILLA, Il controllo di gestione nella pubblica amministrazione, in Riv. Corte dei conti, 2001, 1, 310 e ss.

[8] L’attuazione di un coerente sistema di valutazione della dirigenza è risultato, almeno inizialmente a livello di amministrazione statale, l’ “anello debole” di tutto l’impianto. Se ne trovava conferma nella “Direttiva del presidente del consiglio dei ministri del 15 novembre 2001-Indirizzi per la predisposizione della direttiva generale dei ministri sull’attività amministrativa e sulla gestione per l’anno 2002” (in G.U., serie gen. 22 gennaio 2002, n. 18), che assumeva il valore di una “dichiarazione confessoria”, ove si affermava che “Nessuna amministrazione dello Stato attualmente è in possesso di un sistema valido e funzionante di valutazione dei dirigenti. E’ necessario che a partire dal 2002, tutte le amministrazioni dispongano di un sistema di valutazione delle prestazioni, dei comportamenti organizzativi e dei risultati conseguiti dai dirigenti utilizzabile per l’attribuzione della retribuzione di risultato”. Lo stato attuale del sistema di valutazione dei dirigenti nei ministeri è indicato in Presidenza del consiglio dei ministri-Comitato tecnico scientifico per il coordinamento in materia di valutazione econtrollo strategico nelle amministrazioni dello Stato-3^ rapporto-aprile 2004, pag. 31- “…in molte amministrazioni la valutazione dei dirigenti ha costituito, in realtà, la prima forma di controllo interno ad essere attivata, anche in assenza di sistemi informativi adeguati ad alimentare correttamente i processi valutativi….I rischi di questo modo di procedere sono evidenti: se la valutazione non è basata su criteri ““oggettivi”“, almeno in parte ricavati da sistemi di controllo strategico e di gestione funzionanti, c’è la possibilità che essa venga percepita come iniqua e ingiustificata; proprio per l’impatto della valutazione dei dirigenti sulla remunerazione individuale….”. In dottrina v.. M. RUSCIANO, Spunti su rapporto di lavoro e responsabilità “di risultato” del dirigente pubblico, in Riv. Trim. dir e proc. civ., 1998, 387 e ss.; M. RUSCIANO, Spunti su rapporto di lavoro e responsabilità “di risultato” del dirigente pubblico, in Riv. Trim. dir e proc. civ., 1998, 387 e ss.; S. RAIMONDI, La dirigenza nei comuni e nelle province, in Dir. Amministrativo, 1999, 403; E. CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2000, 154 e ss S. RUSSO, Il management amministrativo, Milano, 2000; M. CLARICH, Riflessioni sui rapporti tra politici e amministrazione (a proposito del T.A.R. Lazio come giudice della dirigenza statale), in Dir. Amministrativo, 2000, 361; L. TORCHIA, La responsabilità dirigenziale, Padova, 2000; L. OLIVIERI, Il sistema degli incarichi dirigenziali e delle revoche alla luce delle interpretazioni del giudice del lavoro, in www. giust.it.-n. 8- 2000; M. RENNA, Il responsabile del procedimento a (quasi) dieci anni dall’entrata in vigore della legge n. 241, in Diritto amm.vo, 2000, pagg. 505 e ss.; ; G. GARDINI, Imparzialità amministrativa e nuovo ruolo della dirigenza pubblica, in Dir. Amministrativo, 2001, 39 e ss,; F. CARINGELLA, Corso di diritto amministrativo, Milano, 2001, 971 e ss.; L. ANGIELLO, La valutazione dei dirigenti pubblici, Milano, 2001; L. OLIVIERI, Le principali novità della riforma della dirigenza pubblica, in www.giust.it- n. 10-2001; P. SANTINELLO, Dirigenza e incarichi, in L’ordinamento degli enti locali, a cura di M. BERTOLISSI, Bologna, 2002, 469 e ss.; A. PROVENZANO, Il nuovo assetto della dirigenza degli enti locali nel previsto scenario della riforma. Prospettive e soluzione delle problematiche in atto, in www.giust.it- n. 10-2002; L. OLIVIERI, La fattoria dei dirigenti, in www.giust.it-n. 6-2001; M. GRECO, Dirigenti, responsabili di procedimento e presidenza delle gare d’appalto, in www.giust.it, n. 6-2001; L. OLIVIERI, Organizzazione interna-Principi di flessibilità e distribuzione delle competenze tra la dirigenza, alla luce della normativa vigente negli enti locali, in www.giust.it, n. 11-2000; L. OLIVIERI, Le competenze della dirigenza nell’assetto degli enti locali disegnato dal testo unico - Il riparto in rapporto al segretario e al direttore generale, in www.giust.it, n. 10-2000; C. SAFFIOTTI, Ancora sulla figura del direttore generale dei comuni e delle province, in www.giust.it, n. 7/8-2000; R. NOBILE, Piccoli comuni e responsabili di servizi fra il d.lgs. 18-8-2000 n. 267 e la legge 23-12-2000 n. 388. Una querelle mai sopita, in www.giust.it, n. 1-2001; G.GARDINI, Imparzialità amministrativa e nuovo ruolo della dirigenza pubblica, in Dir. amm., 2001, 471 e ss.; A. RENDE, Elementi di criticità nell’attuale status dei segretari comunali e provinciali, in www.giust.it, n. 6-2001; M.CUCCURU, Il nuovo status dei segretari comunali e provinciali, in Foro amm., 2001 - n.7-8, 2219 e ss.; G. NICOSIA, I nuovi meccanismi di responsabilizzazione della dirigenza pubblica: gli incarichi di funzione dirigenziale, in Foro it., 2001, I, 720; G. D’AURIA, La privatizzazione della dirigenza pubblica, fra decisioni delle corti e ripensamenti del legislatore, in Foro it., 2001, I, 2965; S. TENCA, Natura giuridica degli atti compiuti dal datore di lavoro nel rapporto di pubblico impiego privatizzato con particolare riguardo al conferimento di incarichi dirigenziali, in Foro amm., 2001, 1436 e ss.; A. BALDANZA, Il ruolo unico della dirigenza: strumento di separazione fra politica e amministrazione o di soggezione?, in Foro amm., 2002, 1549 e ss.; L. OLIVIERI, Il problema del recesso ad nutum per la dirigenza degli enti locali, in www.LexItalia.it ; L. OLIVIERI, L’organizzazione intesa come ripartizione tra organi di uno o più uffici delle modalità di esercizio dei poteri attribuiti da altra fonte (nota a TAR Campania-Napoli, sez. II, 18 dicembre 2003, n. 15430), in www.LexItalia.it, 1/2004; M. L., Statuti e regolamenti comunali e principio di separazione tra attività di indirizzo politico e attività di gestione (nota a Cons. Stato, sez. V, 23 giugno 2003, n. 3717), in Foro amm., 2003, 7-8, 2264 e ss.; per la finalizzazione dei controlli interni anche in relazione alle nuove problematiche connesse al “mobbing” nelle amministrazioni pubbliche cfr. M. ORICCHIO, Il mobbing entra nella giurisprudenza costituzionale (nota a Corte cost. sent. 19 dicembre 2003 n. 359), in www.lexitalia.it-1/2004 - “…Una notazione particolare merita infine il mobbing nella pubblica amministrazione: qui è auspicabile una rivalutazione del primato del principio di legalità dell’azione amministrativa in uno al pieno utilizzo degli organi di controllo interno per monitorare la situazione dei dipendenti sotto il profilo non solo del loro rendimento, ma anche della corretta gestione delle risorse umane…”; circa le problematiche emergenti con riferimento alla valutazione della dirigenza v. S. CASSESE,Cosa vuol dire amministrazione di risultati?, in Giorn. dir. amm.,2004,9,. 941 cit.; v. anche M. MONTINI, La resistibile ascesa del diritto privato e la (incognita) natura degli atti di conferimento degli incarichi dirigenziali (nota a Cass. sez.. lav., 19 marzo 2004 n. 5565 e 28 luglio 2003 n. 11589), in Foro amm.-CdS., 2004, 7-8, 2069 e ss. e, M. NISPI LANDI, La via italiana allo spoil sistem (nota a Corte dei conti, sez. centr. contr. Di leg., 22 giugno 2004, n. 6/P, 7 luglio 2004, n. 7/P e 20 luglio 2004, n. 9/P, in Foro amm.-CdS., 2004, 7-8, pp. 2336 e ss.

[9] M. R. TESTA, Controlli interni: attori, strumenti, contesti, in Riv. Corte dei conti, 2003, 4, 287 e ss.;cfr. anche i documenti della Presidenza del Consiglio Dei Ministri - Comitato tecnico scientifico per il coordinamento in materia di valutazione e controllo strategico nelle amministrazioni dello Stato: Quaderno su stato e prospettive dei processi di programmazione strategica e controlli interni nei ministeri alla luce del secondo rapporto del comitato- Roma- Università di Tor Vergata-18 marzo 2003 e Milano-Politecnico 8 maggio 2003 e Processi di programmazione strategica e controlli interni nei ministeri:stato e prospettive- Terzo rapporto-aprile 2004

[10] A. CAROSI, La nuova disciplina dei controlli interni introdotta dal d.lgs. 286/99, in Enti pubblici, n. 9, 2000, 451 e ss. ove ancora viene osservato che “L’incompatibilità sancita per legge ha quale prima concreta conseguenza la decadenza dei servizi di controllo interno previsti dal previgente testo dell’art. 20 del d.lgs. 29/1993 entro tre mesi dall’entrata in vigore del decreto legislativo n. 286/99 (art. 10 comma 3): le funzioni esercitate saranno scomposte tra le strutture preposte alle nuove tipologie di controllo (art. 10 comma 2)…”.

[11] L’art. 3 del d.lgs. 286/1999 detta invece disposizioni sui controlli “esterni” di regolarità amministrativa e contabile, riferendosi espressamente alla Corte dei conti (per F. CARINGELLA, op. cit., 1496, tale collocazione è dovuta a mera “affinità” di materia), prevedendo da un lato (comma 1), l’abrogazione dell’art. 8 della legge 21 marzo 1958 n. 259 (legge riguardante il controllo della Corte dei conti sugli enti sovvenzionati dallo Stato) e al comma 2°, la espressa potestà autoorganizzativa della Corte, la quale, al fine di adeguare l’organizzazione delle proprie strutture di controllo al sistema dei controlli interni delineato nel d.lgs. 286/99, con la possibilità di ridefinire il numero, la composizione e la sede dei propri organi adibiti a “compiti di controllo preventivo su atti o successivo su pubbliche gestioni”, nonché degli organi di supporto, “…nell’esercizio dei poteri di autonomia finanziaria, organizzativa e contabile ad essa conferita dall’art.4 della legge 14 gennaio 1994 n. 20…”. In ordine all’ abrogazione dell’art. 8 della legge 259 secondo il quale “la Corte dei conti, oltre a riferire annualmente al Parlamento, formula, in qualsiasi momento, se accerti irregolarità nella gestione di un ente e, comunque, quando lo ritenga opportuno, i suoi rilievi al Ministro per il tesoro e al Ministro competente” va ricordato che la Corte costituzionale, con sentenza n. 139 del 9-17 maggio 2001 (G.U. 23 maggio 2001 n. 20, 1^ serie spec.) ha accolto il conflitto di attribuzioni sollevato dalla Corte dei conti, dichiarando la “non spettanza al Governo” del potere di adozione della norma contestata che è stata conseguentemente annullata, motivando in base al mancato rispetto dei limiti della delega legislativa contenuta nella legge n. 59 del 1997, all’art. 11, comma 1 lettera c che aveva attribuito al Governo una delega legislativa per ““riordinare e potenziare i meccanismi e gli strumenti di monitoraggio e di valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell’attività svolta dalle amministrazioni pubbliche”“ senza nulla prevedere con riferimento agli enti cui lo Stato contribuisce in via ordinaria, non potendosi comprendere tali enti nell’oggetto della delega (amministrazioni pubbliche - art. 11, comma 1, lettera c) poiché quella degli enti sovvenzionati è una categoria eterogenea, che nel sistema normativo vigente, conformemente a quanto accadeva nella legislazione precostituzionale, è oggetto di disciplina distinta da quella che riguarda le strutture della pubblica amministrazione. In generale, sulla distinzione fra controlli esterni ed interni può osservarsi che la dottrina amministrativa (E. CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2000, 126) colloca il controllo fra le “relazioni interorganiche” e consiste “…in un esame da parte in genere di un apposito organo, di atti e attività imputabili ad un altro organo controllato. Il controllo, che è sempre doveroso (nel senso che l’organo chiamato a svolgerlo non può rifiutarsi di svolgerlo), accessorio rispetto ad un’attività principale e svolto in forma tipiche, si conclude con la formulazione di un giudizio, positivo o negativo, sulla base del quale viene adottata una misura. Il controllo può anche essere esercitato da organi di un ente nei confronti di organi di un altro ente,in tal senso si distingue fra controlli interni o esterni, …può essere condotto alla luce di criteri di volta in volta differenti – conformità alle norme (controllo di legittimità),(ovvero a criteri di) opportunità, efficienza, efficacia e così via – ed avere …oggetti assai diversi tra di loro: organi, atti normativi (si pensi ai regolamenti),atti amministrativi di organi individuali e collegiali …contratti di diritto privato, attività…”. I controlli esterni non riguardano tuttavia solo rapporti fra organi ma in genere si riferiscono a quelli che si realizzano al di fuori dell’amministrazione (G. LADU, Il sistema dei controlli, in A.A.VV.,Contabilità di Stato e degli enti pubblici, Torino, Giappichelli,1993, 177 e ss.) “…Vi è così, innanzitutto un controllo parlamentare, proprio delle camere in relazione all’attività del Governo, con specifico riferimento all’attività finanziaria. Vi è, quindi, il controllo giudiziario, svolto dalla magistratura sugli atti della pubblica amministrazione, in ordine ai ricorsi proposti dai cittadini contro provvedimenti lesivi diritti e interessi. Vi è infine, ed è il più rilevante ai fini della contabilità pubblica, il controllo della Corte dei conti, la cui funzione è appunto riconosciuta a livello costituzionale…”. L’istituzione della Corte dei conti risale alla legge 800/1862 (cfr. A. CAROSI, Le funzioni di controllo della Corte dei conti. I meccanismi di raccordo con il sistema dei controlli interni, in Atti del Seminario permanente dei controlli della Corte dei conti, Roma, 2000) “…Fin dall’origine le funzioni principali della Corte furono quella di controllo e quella giurisdizionale. Il controllo era di natura preventiva su atti (art. 13 legge 14 agosto 1862, n. 800) e consuntiva sulle gestioni (artt. 28 e segg. legge citata). La giurisdizione riguardava essenzialmente il giudizio di conto (art. 33 e segg. legge citata) per estendersi successivamente al giudizio di responsabilità (art. 61 e segg. della legge di contabilità generale 22 aprile 1869, n. 5026). Nel 1865 la sede fu trasferita a Firenze e successivamente a Roma nel 1871. Negli anni trenta, con il testo unico approvato con r.d. 12 luglio 1934, n. 1214 e il regolamento di procedura approvato con r.d. 13 agosto 1933, n. 1038, le funzioni dell’istituto furono ridisciplinate in modo organico. Nella Costituzione Repubblicana (artt. 100 e 103), la disciplina della Corte è stata concepita in modo simmetrico a quella del Consiglio di Stato, individuando due fondamentali funzioni: quella di controllo e quella giurisdizionale. Riguardo al controllo, l’art. 100 prevede che “la Corte dei conti esercita il controllo preventivo di legittimità sugli atti di Governo, e anche quello successivo sulla gestione del bilancio dello Stato. Partecipa, nei casi e nelle forme stabilite dalla legge, al controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria. Riferisce direttamente alle Camere sul risultato del riscontro eseguito.”Nella sua ultracentenaria storia la Corte è stata valorizzata sia come organo ausiliario del Parlamento che del Governo. Nello Stato prefascista è stata enfatizzata, sulla scia dell’insegnamento di Quintino Sella, piuttosto la funzione ausiliaria al Parlamento. Nel periodo fascista, invece, l’attività della Corte era vista soprattutto come supporto al Primo Ministro. La Carta Costituzionale, pur codificando la tradizionale funzione di controllo della Corte dei conti, pone l’accento sul carattere ausiliario della funzione al Parlamento, non disconoscendo tuttavia l’importanza del rapporto con il Governo e con le amministrazioni assoggettate al controllo. La Costituzione ribadisce con forza il carattere di indipendenza dell’Istituto dal potere politico, la cui più alta espressione è la qualifica magistratuale dei funzionari di vertice preposti al controllo. Originariamente la funzione di controllo era svolta in modo accentrato. Con il decreto luogotenenziale n. 355/1945 l’attività fu decentrata mediante la istituzione delle delegazioni, aventi sede nei capoluoghi di Regione. Esse, tuttavia, facevano capo alla Sezione centrale del controllo e solo con la istituzione delle regioni a statuto speciale e delle province autonome si ebbero le prime sezioni regionali del controllo (con la eccezione della Valle d’Aosta). Con la legge 21 marzo 1958, n. 259, in attuazione dell’art. 100 della Costituzione, fu istituito il controllo della Corte dei conti sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria. Con il decreto legge 22 dicembre 1981, n. 786, convertito con modifiche nella legge 26 febbraio 1982, n. 51, fu istituito altresì un controllo sulla gestione finanziaria degli enti locali. Con la legge 20/94 il controllo della Corte dei conti è stato esteso a tutte le pubbliche amministrazioni… Le funzioni di controllo sono esercitate oggi da diverse sezioni articolate su base centrale e regionale, alcune istituite per legge, altre con regolamento delegato…La Riforma introdotta dalla legge del 1994, successivamente modificata ed in particolare dal decreto legge 23 ottobre 1996 n. 543, convertito nella legge 639/96, costituisce l’apice di un lungo dibattito dottrinale sulla natura e sulla funzione della suprema istituzione di controllo italiana…da un lato, gli atti assoggettati a controllo preventivo sono stati drasticamente ridotti alle tipologie indicate nell’art. 3, comma 1, della legge 20/94; dall’altro, la sfera del controllo successivo è stata ampliata a tutte le amministrazioni pubbliche ed è stato previsto il mantenimento del sindacato di legalità accanto ai nuovi parametri aziendalistici della efficacia, efficienza ed economicità. Il vigente ordinamento risultante dall’innesto delle leggi 19 (riguardante la giurisdizione) e 20 del 1994 (successivamente assoggettate a modifiche e integrazioni) sul vecchio testo unico del 1934 (e leggi complementari) attribuisce dunque alla Corte dei conti funzioni giurisdizionali, requirenti e di controllo. Pur tenendo conto delle profonde innovazioni intervenute nel tempo, si può dire che la Corte conserva le originarie attribuzioni di controllo preventivo, successivo e giurisdizionale e la originaria connotazione di Istituzione di controllo di tipo generalista, cioè con competenza estesa a più materie e più soggetti operanti nell’ambito amministrativo…Le tipologie di controllo esercitate dalla Corte dei conti sono essenzialmente due: controllo preventivo su atti, controllo successivo sulla gestione.Vi sono, peraltro, fattispecie aventi connotati differenziati. Il controllo successivo su atti, ad esempio, si svolge con le stesse modalità del controllo preventivo, ma non è condizione di efficacia dell’atto stesso e non è soggetto a termini perentori per il suo esercizio. La “parifica” ha per oggetto il rendiconto generale dello Stato e ne confronta i risultati tanto per le entrate, quanto per le spese, alle leggi del bilancio. Il controllo sui contratti collettivi ha modalità temporali di tipo preventivo ma contenuto di tipo successivo ed è essenzialmente limitato alla certificazione di congruità degli oneri assunti sul bilancio. Nel controllo di copertura delle leggi il sindacato, di carattere successivo, si concentra sulla congruità degli oneri finanziari introdotti dalle nuove leggi con le risorse di bilancio.Il controllo sugli enti sovvenzionati è di tipo squisitamente soggettivo, attenendo al complesso della gestione inerente al soggetto controllato. Il controllo sulla gestione in senso stretto, previsto dall’art. 3, comma 4, è indubbiamente il controllo più esteso sotto il profilo dei parametri e degli elementi di prova utilizzabili per le valutazioni finali. Esso può avere, oltre a quella successiva, anche una cadenza concomitante, cioè contestuale allo svolgimento della gestione amministrativa…”. Sotto il profilo dell’autoorganizzazione di cui all’art. 3 del decreto legislativo 30 luglio 1999 n. 286, le Sezioni riunite della Corte dei conti hanno approvato in data 16 giugno 2000 il regolamento per l’organizzazione delle funzioni di controllo della Corte dei conti (cfr. A. SCUDIERI, L ‘ordinamento della Corte dei conti,, in Atti del Seminario permanente dei controlli della Corte dei conti, Roma, 2000, 292 e ss.) prevedendosi in particolare, l’istituzione delle sezioni regionali di controllo (art. 2), per ogni regione a statuto ordinario (con sede nel capoluogo) e con le funzioni in precedenza attribuite alle delegazione e ai collegi regionali di controllo. In particolare esercitano ai sensi dell’art. 3 commi 4, 5 e 6 della legge 14 gennaio 1994 n. 20, il controllo sulla gestione delle amministrazioni regionali e loro enti strumentali ai fini del referto ai consigli regionali,nonché il controllo sulla gestione degli enti locali territoriali e loro enti strumentali, delle università e delle altre istituzioni pubbliche di autonomia aventi sede nella regione. Il controllo comprende la verifica della gestione dei cofinanziamenti regionali per interventi sostenuti con fondi comunitari nonché il controllo di legittimità su atti e il controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato aventi sede nella regione. Sono poi previste la “sezione centrale del controllo di legittimità su atti del Governo e delle amministrazioni dello Stato”, gli “uffici centrali di controllo di legittimità sugli atti” (art. 4) hanno competenze riferite a raggruppamenti di ministeri (atti ministeri istituzionali;- atti ministeri economico finanziari;- atti ministeri attività produttive; -atti ministeri delle infrastrutture e assetto del territorio;- ministeri dei servizi alla persona e dei beni culturali), la sezione centrale del controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato (art. 7), gli uffici centrali di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato (in numero di cinque) con competenze suddivise per tipologia di ministeri, in analogia con quanto previsto per gli uffici di controllo su atti. L’ufficio di controllo sui ministeri economico finanziari esercita inoltre il controllo sulla gestione delle contabilità di tesoreria, spese fisse e debito vitalizio mentre l’ufficio di controllo sui ministeri delle attività produttive esercita il controllo sulle gestioni fuori bilancio e sui fondi di rotazione. Il controllo sulle entrate, sull’esecuzione delle sentenze di condanna della Corte dei conti, sull’officina carte valori, Zecca e magazzini dello Stato, è svolto da un’apposita articolazione operante nell’ambito dell’ufficio di controllo sui ministeri economico finanziari, con assegnazione di congruo numero di magistrati da parte del Consiglio di Presidenza. La ripartizione di competenza non esclude che le indagini si estendano “ …a tutti i soggetti pubblici interessati al fenomeno gestorio…”. L’art. 5 definisce il processo di programmazione del controllo sulla gestione, stabilendo che le sezioni riunite in sede di controllo definiscono, entro il 30 ottobre di ciascun anno, il quadro di riferimento programmatico, anche pluriennale, delle indagini di finanza pubblica e dei controlli sulla gestione e i relativi indirizzi di coordinamento e criteri metodologici di massima; programmano, inoltre, entro il il 15 novembre, indagini relative a più sezioni, tenendo conto di eventuali richieste formulate dal parlamento e determinano, secondo criteri di prevalenza, la sezione competente, ovvero definiscono le modalità della collaborazione operativa tra le sezioni interessate. I programmi di indagine intersettoriale relativi ad analisi generali di finanza pubblica possono essere svolti direttamente dalle sezioni riunite anche in collaborazione con le sezioni di controllo. Le sezioni centrali e regionali di controllo, previa analisi di fattibilità e nel rispetto di quanto disposto dal comma 1 deliberano i propri programmi di controllo entro il 30 novembre di ciascun anno. I programmi individuano anche metodologie di analisi sul funzionamento dei controlli interni ai sensi delle norme vigenti, al fine di verificarne l’azione e di trarre indirizzi per la successiva programmazione delle attività di controllo. Oltre a svolgere l’attività di programmazione di cui al precedente art. 5, le Sezioni riunite in sede di controllo (art. 6), oltre alla competenza in tema di controllo preventivo di cui all’art. 25 t.u. Corte dei conti (visto con riserva), deliberano sul rendiconto generale dello Stato riferendo al Parlamento sulla finanza pubblica (giudizio di parificazione – artt. 39-40-41 t.u. Corte dei conti) e deliberano sulla regolarità del rendiconto generale della regione autonoma Trentino-Alto Adige e delle province autonome di Trento e Bolzano …. Svolgono le funzioni di certificazione del costo del lavoro pubblico e di informazione al parlamento di cui al già cit. d.lgs. 165/2001; riferiscono ogni quattro mesi sulla copertura finanziaria delle leggi (art. 11 ter, comma 6 legge 468/1978). Deliberano anche sulle questioni di competenza in tema di controllo. È anche prevista la “sezione autonomie”, (art. 9) che sostituisce la Sezione Enti locali, dovrebbe realizza il raccordo di omogeneizzazione fra la funzione di controllo svolta dalle sezioni regionali e rimane competente a riferire al Parlamento, almeno una volta in ciascun esercizio finanziario, sull’andamento generale della finanza regionale e locale anche tenuto conto dei referti delle sezioni regionali e con riferimento al rispetto del quadro delle compatibilità generali di finanza pubblica poste dall’Unione europea e dal bilancio dello Stato ed agli strumenti di riequilibrio e solidarietà definiti dalla costituzione e dalle leggi dello Stato. Vi sono infine la “sezione di controllo per gli affari comunitari ed internazionali” (art. 10) che riferisce almeno annualmente al Parlamento sulla gestione dei fondi strutturali comunitari da parte delle amministrazioni e degli altri organismi con riferimento all’attuazione dei quadri comunitari di sostegno ed al rispetto dei principi definiti dall’Unione europea, con particolare riferimento agli interventi nelle aree depresse, sull’utilizzo di altri finanziamenti e programmi comunitari, sullo stato delle risorse della comunità di pertinenza nazionale e dei relativi sistemi di verifica; sulla consistenza e sulla causa delle frodi ai danni della comunità e sulle relative misure preventive e repressive nonché la sezione di controllo sugli enti “sovvenzionati”, che svolge un compito attribuito alla Corte direttamente dalla Carta Costituzionale, la quale all’art.100 prescrive che “La Corte dei conti partecipa, nei casi e nelle forme stabilite dalla legge, al controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria. Riferisce direttamente alle Camere sul risultato del riscontro eseguito” e la cui attuazione è avvenuta con la legge 21 marzo 1958, n. 259. Sempre in tema di autoorganizzazione va anche segnalata l’adozione, da parte delle sezioni riunite della Corte dei conti del Regolamento per l’organizzazione ed il funzionamento degli uffici amministrativi e degli altri uffici con compiti strumentali e di supporto della Corte dei conti”, adottato con deliberazione 18 luglio 2001, n. 22, in G.U. 1.8.2001 n. 177. Nel corso del 2003, con l’approvazione della legge “La Loggia”, di attuazione della legge costituzionale n. 3 del 2001 è stata ribadita la funzione di controllo sulla gestione delle autonomie regionali e locali per le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti.

Per i vari tipi di controllo e anche con riguardo ai rapporti fra i controlli “interni” ed il controllo “esterno” esercitato dalla Corte dei conti, cfr. anche G. D’AURIA, Autonomie locali e controlli, in Foro it., 1994, I, 3309 e ss.; G. COGLIANDRO, I controlli sul personale pubblico, in Rass Amm.ne e contabilità, 1999, 5 e ss.; C. CHIAPPINELLI, Federalismo e aziendalizzazione in sanità: una riflessione sul sistema dei controlli interni ed esterni, in www.am.corteconti.it; M. CARABBA, Programmazione di bilancio e controllo di gestione, in www.amcorteconti.it; R. SCALIA, La valutazione dei piani e dei programmi, in www.amcorteconti.it; A. GALLIANI, Prime esperienze del controllo sulla gestione (esterno) mediante la contabilità economica negli enti locali territoriali, in www.amcorteconti.it; G. GINESTRA, Le sezioni regionali della Corte dei conti dopo la legge 5 giugno 2003, n. 131, cit.; M. NISPI LANDI, Controllo preventivo e successivo su atti: analogie e differenze, in Foro amm.- CdS, 2003,5, 1711 e ss.; M. NISPI LANDI, Questioni di costituzionalità in sede di controllo preventivo: la retromarcia della Corte dei conti, in Foro amm.- CdS, 2003, 1, 293 e ss. ; A. CAROSI, Le prospettive del controllo sulla gestione nel nuovo ordinamento federale, in Questa Rivista, 2003, 1-3, 77 e ss.; M. CIACCIA, Il controllo della Corte dei conti sugli enti sovvenzionati, in Questa Rivista, 2003, 4, 297 e ss.

[12] legge 22 dicembre 1996 n. 662, art. 1 comma 62 “Per effettuare verifiche a campione sui dipendenti delle pubbliche amministrazioni, finalizzate all’accertamento dell’osservanza delle disposizioni di cui ai commi da 56 a 65 (trasformazione dei rapporti di lavoro a tempo determinato in rapporti a tempo parziale e incompatibilità dei pubblici dipendenti), le amministrazioni si avvalgono dei rispettivi servizi ispettivi, che, comunque, devono essere costituiti entro il termine perentorio di trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge. Analoghe verifiche sono svolte dal dipartimento della funzione pubblica che può avvalersi, d’intesa con le amministrazioni interessate, dei predetti servizi ispettivi, nonché, d’intesa con il ministero delle finanze ed anche ai fini dell’accertamento delle violazioni tributarie, della Guardia di finanza”

[13] A. CAROSI, Le funzioni di controllo della Corte dei conti. I meccanismi di raccordo con il sistema dei controlli interni, in Atti del Seminario permanente dei controlli della Corte dei conti, Roma, 2000.

Sull’aspetto della programmazione “…può concentrarsi il riscontro della Corte dei conti per verificare se la pianificazione delle ispezioni tenga conto di settori amministrativi caratterizzati da alto rischio di irregolarità e/o illecito e contemporaneamente sia articolata con criteri obiettivi e modalità proporzionate…”

[14] P. SANTORO, I controlli di legalità degli atti normativi e amministrativi dei pubblici poteri, in Riv. Corte dei conti, 2001, 5, 310 e ss.e ancora P. SANTORO, Il controllo di legittimità su atti e gestioni statali, in Riv. Corte dei conti, 2003, 3, 356 e ss.; G. D’AURIA, La presidenza del consiglio dei ministri è un organo costituzionale? (a proposito della “restituzione” alla Corte dei conti del controllo preventivo di legittimità sugli atti della presidenza del consiglio dei ministri (nota a Corte cost., 29 maggio 2002, n. 221), in Foro it., 2003, I, 36 e ss.

[15] F. CARINGELLA, op. cit., 1007. V anche ; A. CATELANI, Controlli sull’attività amministrativa e rispetto della legalità da parte della pubblica amministrazione, in Rassegna parlamentare, 2004,3, 701 e ss. che propone decise affermazioni dirette a considerare la perdurante utilità di controlli che assicurino il rispetto del principio di legalità dell’azione amministrativa, la cui essenziale funzione di garanzia dei diritti fondamentali dei cittadini e in particolare delle minoranze è stata fortemente compromessa dal processo di soppressione dei controlli esterni di legittimità, soprattutto con riferimento alle autonomie regionali e locali (cfr. 716 “…Attraverso le più recenti riforme la legalità si fludifica in un fumoso controllo di gestione, nel quale tutto si può fare, ed è lecito. Le riforme introdotte vanificano il significato e la funzione della legge, della legalità, in nome di una vera o supposta efficienza amministrativa…”).

[16] A. CAROSI, op. cit., 452.

[17] A. CAROSI, op. cit., 453.

[18] G. COGLIANDRO, op. cit. 21 e ss.

[19] G. COGLIANDRO, op. cit. 21 e ss.

[20] V. TENORE, Il procedimento di controllo ispettivo, in www.amcorteconti.it; G. NOVELLO - V. TENORE, La responsabilità e il procedimento disciplinare nel pubblico impiego privatizzato, Milano, 2002, 206-212.

[21] V. TENORE, Il procedimento di controllo ispettivo, cit..

[22] Per una modificazione delle procedure di controllo ispettivo con l’applicazione, anche per esse, di metodologie di auditing aziendale può evidenziarsi l’ esperienza in corso presso l’Agenzia delle entrate- Cfr. W. PARDINI, I controlli interni nelle aziende private e nella pubblica amministrazione. L’esperienza dell’Agenzia delle entrate, Roma, 2003.

[23] Sulla revisione aziendale, quale genus più ampio rispetto alla revisione contabile, cfr. L. MARCHI, Revisione aziendale e sistemi di controllo interno, Milano, 2004, 3-5 - “La revisione aziendale include l’insieme dei procedimenti di controllo amministrativo contabile e gestionale realizzati a partire dall’analisi e valutazione dei sistemi di controllo preesistenti. Le verifiche successive sono svolte attraverso comparazioni spazio-temporali (revisione indiretta) e/o sul fondamento di indagini sia fisiche che documentali e nuove rilevazioni dei fenomeni economico ammnistrativi di azienda, normalmente su base campionaria (revisione diretta). Per comprendere il significato della suddetta definizione, conviene analizzare in dettaglio le diverse parti che la compongono. In primo luogo la revisione aziendale è parte dell’economia d’azienda in quanto, attraverso l’analisi dei sistemi di controllo, studia le diverse classi dei fenomeni aziendali. Nell’ambito dell’economia aziendale, si collega funzionalmente alla ragioneria, in quanto, al pari di quest’ultima, ha per oggetto primariamente i sistemi informativi e di controllo. Di conseguenza utilizza gli strumenti di indagine tipici sia dell’economia d’azienda che della ragioneria, pur adattandoli alla particolarità delle funzioni di controllo oggetto specifico del suo studio. In secondo luogo, la funzione revisionale può essere svolta a livelli e da organi diversi, dando luogo alle seguenti classificazioni principali…:- in rapporto al grado di approfondimento dell’indagine: -a) ispettorato amministrativo; b) revisione contabile;c) revisione gestionale.- in rapporto ai soggetti incaricati: 1) revisione interna (svolta da organi interni) ; 2) revisione esterna (svolta da organi esterni). In terzo luogo, la revisione realizza un controllo cosiddetto di secondo grado, in quanto interviene per verificare il sistema di controllo di primo grado (strutture organizzative, sistemi informativi e sistemi di protezione del patrimonio aziendale), oltre che l’accuratezza, la sicurezza e l’integrità dei dati a quello collegati. In ultimo, le verifiche revisionali sulla validità e accuratezza dei dati e dei sistemi di controllo interno aziendale possono essere sia “dirette” sull’evidenz reale e/o documentale, con l’ausilio delle tecniche di campionamento statistico e soggettivo, sia “indirette”, col ricorso alle tecniche di analisi organizzativa, ambientale ed economico finanziaria. …Ritornando alle diverse classi della revisione aziendale, questa si distingue anzitutto in rapporto al livello di svolgimento delle funzioni di controllo….”. Vi sono, ad un primo livello “…le funzioni cosiddette di ispettorato amministrativo. Queste sono svolte sulle persone, o meglio sui comportamenti delle persone, in rapporto alle norme di legge ed alle direttive aziendali,al fine di scoprire furti, frodi ed irregolarità amministrative in genere, compreso il non rispetto delle procedure e delle norme di tenuta delle scritture. A livello intermedio abbiamo la cosiddetta revisione contabile (financial auditing) che comprende anche le verifiche sugli errori tecnici e sull’applicazione delle procedure informativo-contabili. L’obiettivo è quello di esprimere un giudizio sull’attendibilità delle informazioni. Questa revisione si svolge attraverso l’analisi della documentazione aziendale e dei diversi ordini di scritture si estende in genere ai valori del bilancio di esercizio. In questo caso si parla, più specificamente, di revisione di bilancio. Le suddette verifiche contabili sono dette verifiche per progressione se seguono lo stesso percorso utilizzato per l’originaria rilevazione delle operazioni aziendali. Sono dette verifiche per derivazione se si svolgono in senso inverso:dalle scritture di sintesi (in particolare il bilancio di esercizio) alla documentazione originaria ed alla realtà verificabile dei fatti aziendali….” Infine vi è la revisione gestionale (management auditing) .”… L’obiettivo è quello di esprimere un giudizio sull’efficacia, efficienza ed economicità delle operazioni (operational auditing) e quindi di fornire al management “suggerimenti” per interventi sui sistemi di controllo preesistenti, sui sistemi operativi e sulle strutture organizzative, realizzando di fatto una consulenza gestionale (management consulting)…”.

[24] A. CAROSI, op. cit., 453.

[25] F .G. GRANDIS, I principi di revisione contabile privatistici nella certificazione dei conti pubblici, Intervento al Convegno su La certificazione dei conti pubblici in Italia e in Europa: tradizione e prospettive evolutive, Roma- Corte dei conti- 8 marzo 2002.

[26] P. CRISO, Grazie ai revisori P.A. più efficiente, in Italia Oggi, 13 luglio 2001, 21 – “…oggi però, se possiamo vantare una pubblica amministrazione più efficace ed efficiente, una parte del merito va anche al revisore degli enti locali. La sua attività di attestazione, verifica e di indicazione costituisce una garanzia per la comunità amministrata. Certo non vanno bene i revisori incapaci e vagabondi, ma non vanno nemmeno bene le scelte sui revisori che prescindono dalle professionalità e guardano solo allo schieramento…”.

[27] AA. VV., Ipotesi di sistemazione metodologica del procedimento di controllo sulla gestione, Roma, Corte dei conti-Seminario permanente dei controlli- Atti dell’incontro di studio del 17 dicembre 2002.

[28] v. anche E. F. SCHLITZER - A. BALDANZA, Il controllo di regolarità amministrativa e contabile, in AA.VV. (a cura di E. F. SCHLITZER), Il sistema dei controlli interni nelle pubbliche amministrazioni, Milano, 2002, 21 e ss.

[29] F. G. GRANDIS, op. cit..

[30] Sullo stato di adeguamento ai principi internazionali cfr. T. PITTELLI, Revisione, Italia in ritardo sui principi internazionali, in Italia Oggi, 3 gennaio 2002, 8- Peraltro la vicenda “ENRON” ha imposto una generale riflessione sul ruolo dei revisori e sindaci – cfr. C. BARTELLI, Riflettori accesi sulla revisione contabile-Difesa del proprio operato e dei metodi utilizzati, e L. DE ANGELIS, I controlli contabili alle grandi manovre, entrambi in in Italia Oggi, 25 marzo 2002, 40; F. FALLICA, L’indipendenza del revisore, in Notiziario della Guardia di Finanza, 2002, n. 6, 447-467. Gli IAS sono stati tradotti in normativa comunitaria dal regolamento n. 1725/03 dell’Unione europea. La legge n. 306/03 (comunitaria per il 2003) art. 25, esercitando la facoltà concessa dal regolamento 1606/02, ha previsto l’estensione obbligatoria degli IAS ai bilanci di esercizio delle società quotate e ai bilanci di esercizio e consolidati delle banche, nonché la facoltà di utilizzo (bilanci di esercizio e consolidati) per tutte le altre società che redigono il bilancio in forma completa (non abbreviata). Medesima previsione con riferimento ai bilanci di esercizio e consolidati delle società emittenti strumenti finanziari diffusi tra il pubblico e ai bilanci consolidati delle imprese di assicurazione, nonché ai bilanci di esercizio delle stesse, se sono quotate ma non redigono il consolidato. La legge comunitaria per il 2004 ha poi recepito la direttiva 51/03, introducendo nel codice civile innovazioni fissate negli IAS in materia di bilancio e in tema di disposizioni tributarie- cfr. IL SOLE 24ORE-Guida ai principi contabili internazionali-n. 1 ottobre 2004 (La redazione del bilancio IAS) e n. 3 –dicembre 2004- v. anche AA.VV. (Introduzione di B. LIBONATI) Diritto delle società, Milano,2004; per considerazioni su alcuni aspetti problematici cfr. R. RORDORF,La revisione contabile nelle società, in Foro it., 2004, 11, V, 130 e ss. che segnala, tra l’altro la questione dell’indipendenza evidenziando che “…Il requisito dell’indipendenza è da sempre fortemente ipotecato dal fatto stesso che la società di revisione sia di volta in volta designata dalla società la cui contabilità ed i cui bilanci sono da revisionare…”.

[31] Cfr. Principi contabili nazionali annotati con normativa e prassi, a cura di A. TAMBORRINO, A. VIGANO’ e M. CARATOZZOLO, Milano, 2002 ; Per i profili storici cfr. C. PRIVITERA, Origine ed evoluzione del pensiero ragionieristico, Milano, 2003 (in particolare 397 e ss. sulla “nascita della revisione contabile”); P. DI CAGNO – M. TURCO, Origine, evoluzione, attualità dei significati assunti dai principi contabili, in Rivista italiana di ragioneria e di economia aziendale (RIREA), 2002, 451 e ss,; G. BRUNI, Nuove competenze e responsabilità del collegio sindacale, in RIREA, 2001, 2 e ss.; G. CAPODAGLIO, I principi contabili in Italia e le loro prospettive future, in RIREA, 2002, 416 e ss.

[32] F. GRANDIS, I principi di revisione contabile privatistici nelle certificazione dei conti pubblici, in Atti del Seminario permanente dei controlli della Corte dei conti - La revisione dei conti pubblici in Italia e in Europa: tradizione e prospettive evolutive, Roma, 2002, 163 e ss.; V.si anche S. POZZOLI, I principi contabili internazionali e nazionali: una riflessione, in Azienditalia, 9/2003, 546 e ss.; A. GIUNCATO, I principi contabili in Italia, in Azienditalia, 11/2003, inserto.; M. MARCHI, Revisione aziendale e sistemi di controllo interno, Milano, 2004.

[33] F. GRANDIS, op. cit., 190, che richiama anche ISA 500-501 (elementi probativi), ISA 510 (incarico iniziale), ISA 530 (Il campionamento della revisione), ISA 540 (revisione delle stime contabili), ISA 550 (parti correlate), ISA 570 (requisiti della permanenza dei requisiti necessari alla continuità aziendale), ISA 600 (utilizzo del lavoro di altri revisori), ISA 610 (utilizzo del lavoro di revisione interna), ISA 620 (ricorso all’opera di un esperto), ISA 800 (esame dei bilanci e dati revisionali).

[34] Per gli enti locali cfr. “Principi di revisione e di comportamento dell’organo di revisione negli enti locali”, a cura di A. TAMBORRINO e W. SANTORELLI, Milano, EGEA-2003

[35] G. DE SETA, Gestioni statali autonome ed enti non territoriali, in AA.VV., Contabilità di Stato e degli enti pubblici, Torino, 1993, 332 “L’attività svolta dal collegio dei revisori, non diversa da quella propria dei sindaci delle società commerciali (art. 2403 c.c.) è un dato di diritto positivo e generalmente, per gli enti di più antica origine, testimonia della loro natura privata anteriormente all’assunzione di personalità giuridica pubblica…”.

[36] G. FARNETI, Richiamo alla collaborazione come attività centrale dell’organo di revisione, in Azienditalia, n. 4/2003.

[37] L. PUDDU, Ragioneria pubblica - Il bilancio degli enti locali, Milano, 2002, 90 “…Il principio della veridicità significa che le previsioni di bilancio devono essere formulate in modo che i valori risultino ““attendibili”“, rispetto a quelli che si prevede di conseguire nel futuro esercizio: sono quindi in contrasto con il principio della veridicità ogni sopravvalutazione o sottovalutazione sia di entrate che di spese. Pur nella aleatorietà che contraddistingue ogni previsione, la loro veridicità o attendibilità può essere ragionevolmente sostenuta e documentata mediante: a) analisi riferita ad un adeguato arco di tempo; b) altri idonei parametri di riferimento quando, per la novità del fatto amministrativo, manchino informazioni basate su serie storiche di dati; c) la coerenza dei dati revisionali nei vari prospetti di bilancio: pluriennale, relazione revisionale e programmatica, annuale, piano esecutivo di gestione. In particolare la verifica del rispetto della veridicità, in fase di previsione e di gestione, è una funzione professionale specifica attribuita al responsabile del servizio finanziario o di ragioneria. Più in generale, fra i principi che caratterizzano sotto un profilo teorico e di prassi una corretta amministrazione perché idonei a conferire il massimo di attendibilità ai valori di bilancio, alla veridicità si accompagna anche il principio della ““chiarezza”“. Il concetto di ““chiarezza”“, anche se non espresso in modo esplicito dalla legge di contabilità degli enti locali, impone una stesura del bilancio che lo renda leggibile e comprensibile ai cittadini; dato che questo obiettivo risulta influenzato da una molteplicità di fattori personali, la chiarezza si ritiene rispettata quando:a) il bilancio rispecchia separatamente e nell’ordine la struttura e le voci previste nello schema-tipo disposto per tutti gli enti locali dal regolamento approvato con il d.p.r. 31 gennaio 1996, n. 194; b) non ci sono raggruppamenti di voci; non sono stati operati compensi di partite; d) le denominazioni di voci lasciate alla discrezionalità dell’ente sono precise ma anche comprensibili; e) il bilancio è corredato – oltre che dagli allegati e schemi riassuntivi previsti dalla legge – da note preliminari ed esplicative che chiaramente indichino i criteri adottati per pervenire alle previsioni contenute nel bilancio medesimo…”.

[38] C. A. MANFREDI SELVAGGI, Effetti del nuovo assetto costituzionale sull’ordinamento finanziario e contabile degli enti locali, in www.giust.it-2-2002; R. NOBILE, Le potestà legislative dello Stato e delle Regioni ad autonomia ordinaria nel testo di riforma del titolo V, parte II della costituzione. Riflessioni in margine al nuovo testo dell’art. 117 cost., in www.giust.it-7-8-2001.

[39] V. G. LOMBARDI, Controlli preventivi di legittimità sugli atti degli enti locali: il Consiglio di Stato, dopo la legge cost. 18 ottobre 2001 n. 3, “reintroduce” il controllo su richiesta del prefetto, in www.lexitalia .it.

[40] Sui compensi per i revisori dispone l’art. 241 T.U.E.L.- cfr. anche L. DE ANGELIS, Subito in bilancio i nuovi compensi dei revisori locali, in Italia Oggi, 30 novembre 2001, 30.

[41] La caratteristica delle funzioni dell’organo di revisione esclude l’opportunità che i revisori facciano parte, come componenti, o che partecipino comunque all’attività del nucleo di valutazione dell’ente- cfr. . Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti - Consiglio Nazionale dei Ragionieri Commercialisti, Principi di revisione e di comportamento dell’organo di revisione negli enti locali, con presentazione di A. TAMBORRINO e W. SANTORELLI, Milano, 2003, 11.

[42] In particolare l’art. 23, comma 5 della legge 289/2002 prevede che “i provvedimenti di riconoscimento di debito posti in essere dalle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1 comma 2 del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165, sono trasmessi agli organi di controllo ed alla competente procura della Corte dei conti. Tale disposizione, ha fissato per “tutte le amministrazioni pubbliche” un obbligo di comunicazione per tale particolare tipologia di atto contabile, determinando una specifica attività di controllo, sia “interno” (segnalazione agli organi di controllo interno) sia “esterno” e “successivo” per le sezioni di controllo della Corte dei conti (sezioni regionali o centrali a seconda dell’amministrazione interessata) e una generalizzata informativa alle procure regionali della Corte dei conti, in tal modo evidenziando il particolare interesse del legislatore per tali fattispecie, quasi a voler evidenziare la loro specifica potenzialità dannosa per l’erario pubblico.Infatti la generalizzata comunicazione alle sezioni del controllo appare in controtendenza rispetto alla attività di controllo successivo sulla gestione affidata alla Corte dei conti dall’art. 3 della legge 20/1994 gli enti (con limitate competenze in tema di controllo preventivo di cui allo stesso art. 3 della legge 20/94), che per gli enti locali è confermata dall’art. 148 T.U.E.L. (“La Corte dei conti esercita il controllo sulla gestione degli enti locali ai sensi delle disposizioni di cui alla legge 14 gennaio 1994, n. 20, e successive modificazioni ed integrazioni), nonché della più recente legge n. 131/2003, che è caratterizzato dalla programmazione e dalla campionatura delle verifiche. Ugualmente il coinvolgimento delle procure regionali configura un ampliamento delle loro competenze, fissate dalla disciplina generale della responsabilità amministrativo contabile (in particolare v. leggi 19/1994, 20/1994 e 639/1996), e consistenti nel perseguimento delle fattispecie di danno erariale che vanno segnalate alle stesse procure in presenza degli elementi evidenzianti ipotesi concrete di danno.

                L’obbligo di comunicazione di tutti i provvedimenti richiama, per gli enti locali, l’analoga disposizione di cui all’art. 246, 2° comma T.U.E.L., che prevede la trasmissione della deliberazione di dissesto dell’ente locale, oltre che al ministero dell’interno anche alla procura regionale della Corte dei conti, competente per territorio unitamente alla relazione dell’organo di revisione. Si vuole pertanto che su questioni dalla portata finanziaria “critica “ per definizione, vi sia una informazione generale e puntuale dell’organo requirente contabile.

Sul punto va segnalata una puntualizzazione operata dalla Corte dei conti- sezione centrale di controllo di legittimità - del. del 30 dicembre 2003 n. 17 (in Riv. Corte dei conti, 2003, 6, 3 e ss.) chiamata a pronunciarsi in sede di controllo preventivo su alcuni atti di riconoscimento di debito trasmessi dal ministero dell’economia e delle finanze. Ha premesso la sezione che l’atto di riconoscimento di debito ai fini dell’eventuale sua sottoposizione a controllo preventivo va assimilato ai contratti passivi dello Stato in ragione della “equivalenza degli effetti da essi prodotti” (Sez. controllo Stato, deliberazioni n. 74, 112, 132, e 146 del 1994; n. 53, 101 e 163 del 1995). Le deliberazioni richiamate avevano comunque precisato che, in relazione alla limitazione del controllo preventivo assegnato alla Corte dei conti dall’art. 3 della legge 20/1994 esso doveva effettuarsi solo sui contratti (e atti di riconoscimento di debito) di importo superiore ad un decimo della soglia comunitaria. Si poneva quindi il problema se la previsione dell’art. 23 della legge 289/2002 avesse comportato l’estensione del controllo preventivo a tutti gli atti di riconoscimento di debito, anche se di importo inferiore al limite anzidetto.

La sezione centrale, nella deliberazione n. 17/2003 ha escluso tale effetto osservando però che “…l’art. 23 più volte citato, dalla formulazione generica e indeterminata, ha inteso richiamare l’attenzione di tutti i soggetti rientranti nella vasta gamma della pubblica amministrazione, tra i quali istituti e scuole di ogni ordine e grado, e le istituzioni educative, le aziende e le amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le regioni, le province, i comuni, le comunità montane e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli istituti autonomi case popolari, le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le aziende e gli enti del servizio sanitario nazionale, sulla necessità che i provvedimenti di riconoscimento di debito, suscettibili di prestarsi ad abusi attraverso la elusione delle ordinarie procedure di negoziazione vengano vagliati e controllati dai rispettivi organi di controllo, siano questi organi di controllo interno che esterno… Sul piano della correttezza del riconoscimento del debito non è inopportuno rammentare come la giurisprudenza di questa Corte nonché della suprema corte di cassazione abbiano enunciato, prima e dopo l’avvento della legge n. 20/1994 importanti principi che essendo ancora attuali validi la pena di richiamare di seguito: in Corte dei conti, sez. contr. N. 519 del 1973 e, analogamente in Corte di cassazione n. 9859 del 1990 e 9531 del 1996 si afferma che ““in correlazione col carattere di sussidiarietà dell’azione di arricchimento, non è praticabile il riconoscimento di debito laddove esiste già un legittimo rapporto contrattuale che di per sé esclude che la locupletazione sia avvenuta senza giusta causa”“; in Corte dei conti, sez. contr. n. 1340 e 1398 del 1983, idem n. 1542 del 1984, si afferma che il riconoscimento di debito non può essere utilizzato per eludere norme cogenti ivi comprese quelle contabili, quale l’effettuazione di spese oltre le disponibilità di bilancio o in violazione dei principi di annualità e di competenza; in Corte dei conti, sez. contr. n. 53 del 1992 si legge che il riconoscimento di debito non può essere utilizzato per eludere pattuizioni contrattuali e riconoscere prestazioni in esso (rapporto contrattuale) non comprese o escluse . Inoltre, in Corte dei conti, sez. contr. n. 123 del 1995 si afferma che il riconoscimento di debito non può essere adoperato come strumento ricorrente e sistematico. Peraltro i cennati principi, la cui osservanza va particolarmente verificata in sede di controllo e di giurisdizione contabile, appaiono riecheggiare nei lavori preparatori del recnte e più volte citato art. 23 legge 289/2002 e che così si esprimono ““…l’obbligo di denuncia alla Corte dei conti, nell’ipotesi di provvedimenti emanati per il riconoscimento di debito risponde alle finalità di porre una remora al ricorso a tale istituto giuridico da parte della pubblica amministrazione. L’istituto stesso, il cui uso si intende scoraggiare, ha finito per rappresentare, nel corso del tempo, una via comoda per eludere le procedure ordinarie e l’accertamento previo della disponibilità di bilancio. Con la cennata previsione viene, pertanto, restituito all’istituto giuridico in rassegna la sua originaria connotazione di strumento residuale dell’ordinamento, il ricorso al quale si legittima soltanto in presenza di comprovate ed obiettive difficoltà ad accedere agli ordinari mezzi previsti per la costituzione di rapporti con soggetti terzi…”. In tema di debiti fuori bilancio cfr. G.SAVIANO, Riconoscimento di debito: configurabilità del danno e obbligo di denuncia, in Atti del Consiglio dei procuratori reg. della Corte dei conti, Roma; G. BIANCO - S. AMORE, Riconoscimento di debito nel diritto amministrativo, in Digesto, Disc. Pubbl., 379. P. EVANGELISTA, Consiglio di presidenza della Corte dei conti- Seminario su “Problematiche sull’attività di procura- L’individuazione delle responsabilità singole e collegiali negli enti territoriali. La suddivisione delle competenze tecniche, amministrative e politiche alla luce della vigente disciplina, degli statuti e dei regolamenti” -Roma 20 novembre 2002; G. ALBANESE, Debito fuori bilancio e ambito di intervento del Consiglio comunale, in Nuove Autonomie, 5-6, 1998; R. DI MARTINO, L’evoluzione normativa dei debiti fuori bilancio, in Azienditalia n. 6/2001; G. CASCONE, L’attuale disciplina dei debiti fuori bilancio degli enti locali, in La finanza locale, n.7/8, 1998 e Il profilo contabile dei debiti fuori bilancio, in Azienditalia, n. 2/1999 ; A. FINOTTI, Passività pregresse e debiti fuori bilancio, in L’Amministrazione italiana, n. 7-8/2000, 1087; S. BOZZI, Alcune considerazioni sugli effetti civili dei debiti fuori bilancio In Foro amm., 2001, 2273 e ss.,; S. PILATO, La responsabilità nei debiti fuori bilancio, in Riv. Corte dei conti, 2003, I; G. DI MAIO, Brevi note su i debiti fuori bilancio negli enti locali con riferimento al profilo strutturale e alle connesse questioni di responsabilità amministrativa e contabile, in Il Diritto della Regione, Cedam, 2002, n. 6, 907 e ss. ; E. GARGANO, I debiti fuori bilancio alla luce della normativa vigente e relativo riconoscimento, in www.lexitalia.it-10/2004.

La disciplina concernente il divieto di indebitamento per il finanziamento delle spese correnti di cui all’art. 119 della costituzione eall’art. 30, comma 15 della legge 289/2002 è stato integrato dall’art. 3, commi 16 e 21 della legge 24 dicembre 2003 n. 350 (finanziaria per il 2004) con l’estensione del vincolo (oltre che per le regioni, province e comuni) anche alle aziende ed organismi compresi nel sistema delle autonomie locali (città metropolitane, comunità montane, comunità isolano e di arcipelago,unioni di comuni, aziende speciali, consorzi, istituzioni), con la sola esclusione delle società di capitali costituite per l’esercizio di servizi pubblici. L’art. 30 comma 15 della legge 289/2002 ha superato anche il vaglio di costituzionalità –cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 320 del 2004, in www.consultaonline.it con nota di M. BARBERO. In argomento v. S. GRECO, Responsabilità per violazione del divieto costituzionale di indebitamento per finanziare spese correnti, in www.corteconti.it-atti del convegno di Milano del 4 ottobre 2004 su “Funzioni decentrate della Corte dei conti:giurisdizione e controllo referto” e anche M.SMIROLDO, Nuove tecniche di tutela degli interessi erariali: brevi osservazioni su alcuni profili sostanziali e processuali riguardanti l’applicazione dell’art. 30 comma 15 della legge 27 dicembre 2002 n. 289, in atti del convegno di Palermo dell’11 dicembre 2004 in memoria di Francesco Rapisarda.

Sui nuovi strumenti di ricorso al credito per gli enti pubblici v. art. 41, comma 1 della legge n. 448 del 2001; decreto ministro economia e finanze n. 389 del 1° dicembre 2003; art. 3 commi da 16 a 21 della legge 350/2003; circolare ministero economia e finanze del 27 maggio 2004 in G.U. ser. gen. n. 128 del 3 giugno 2004; circolare Cassa depositi e prestiti in G. U. del 16 aprile 2004 n. 89 –”Comunicato concernente chiarimenti sulla finanziabilità dei debiti fuori bilancio”. V anche le osservazioni contenute nelle deliberazioni n. 9/2004 e 10/2004 della Corte dei conti sezione delle autonomie, in www.corteconti.it e G. P. MANZELLA, Funzione di coordinamento e debito degli enti locali, in Giornale di diritto amministrativo, 2004, 4, 441 e ss.; G. P. MANZELLA, L’indebitamento degli enti territoriali: disciplina ed assetti, in Giornale di diritto amministrativo, 2004, 5, 507 e ss. ; M. NIGRO, Strumenti derivati e finanza creativa: rigidi paletti all’ingegneria contabile, in Guida agli enti locali, 18 giugno 2004, n. 24, 60 e ss.; Per alcune pronunce della Corte dei conti in tema di responsabilità amministrativa collegata a fattispecie di indebitamento o di investimento mobiliare cfr. C. conti, sez. III centrale n. 440 del 28 ottobre 2003; sez. giur. reg. per il Lazio n. 1004 del 25 marzo 2004; sez. giur. reg. per il Veneto n. 879 del 29 giugno 2004.

[43] Per un commento alla legge n. 246/2002 (di conversione del cd “decreto taglia spese”) v. AA.VV. (a cura di R. PEREZ), Le limitazioni amministrative della spesa, Milano, 2003; A. MONORCHIO - L. G. MOTTURA, Compendio di contabilità di Stato, Bari, 2004.

[44] L. OLIVIERI, Il rispetto del patto di stabilità non ha salvato gli enti locali dai tagli che la legge 289/2002 aveva riservato agli enti non virtuosi, in www.lexitalia,it-2004-7/8-. Sulla legge 30 luglio 2004, n. 191 v. anche T. TESSARO, Il nuovo procedimento amministrativo per l’affidamento di incarichi di consulenza e l’assunzione degli impegni di spesa per l’acquisto di beni e servizi, in Comuni d’Italia, n. 11/ 2004; CORTE DEI CONTI- Sez. delle autonomie deliberazione n. 16 del 22 ottobre 2004, n. 16-Atto di indirizzo per la prima attuazione del decreto legge 12 luglio 2004 n. 168 (convertito con legge 30 luglio 2004 n. 191); Corte dei conti - Sezione del controllo per la regione Lombardia- deliberazione n. 2 del 24 settembre 2004-Procedure per l’attuazione dell’art. 1, commi 5 e 9 del decreto legge 12 luglio 2004 n. 168 (convertito con legge 30 luglio 2004 n. 191) (entrambe le deliberazioni in www.corteconti.it); “Decreto tagliaspese- Il consiglio delle autonomie della regione Toscana propone un ricorso alla Corte costituzionale”- in www.euro-pa.it.

[45] Sez. reg. per l’Abruzzo n. 350 del 14 settembre 2004; e sentenza n. 463 del 2004 della sezione regionale della Corte dei conti per l’Emilia Romagna, che riassume i principi affermati in materia (“…Per individuare le predette condizioni di legalità del conferimento di incarichi a soggetti esterni all’Amministrazione è necessario prendere le mosse dal principio generale, unitariamente e pacificamente riconosciuto dalla giurisprudenza, che l’attività delle Amministrazioni deve essere svolta dai propri organi od uffici, consentendosi il ricorso a soggetti esterni soltanto nei casi previsti dalla legge o in relazione ad eventi e situazioni straordinarie non fronteggiabili con le disponibilità tecnico-burocratiche esistenti, correlato all’altrettanto generale pacifico principio che ogni pubblica Amministrazione deve caratterizzarsi per una struttura snella che impieghi anzitutto le risorse umane già esistenti all’interno dell’apparato, potendosi far ricorso a professionalità esterne solo nella documentata e motivata assenza delle stesse. Altro altrettanto pacifico principio è che le professionalità esterne alle quali ricorrere debbono essere individuate in base a criteri predeterminati, certi e trasparenti, essendo altresì necessario che il provvedimento di conferimento dell’incarico contenga i criteri di scelta, non sia generico o indeterminato ed abbia quale indefettibile presupposto la ricognizione e la certificazione dell’assenza effettiva nei ruoli organici delle specifiche professionalità richieste.La giurisprudenza della Corte dei conti, condivisa anche da questo Collegio, ha ritenuto che, per la nomina dei consulenti esterni, debbano essere rispettati i seguenti principi: a) che i conferimenti di incarichi di consulenza a soggetti esterni possono essere attribuiti ove i problemi di pertinenza dell’Amministrazione richiedano conoscenze ed esperienze eccedenti le normali competenze del personale dipendente e conseguentemente implichino conoscenze specifiche che non si possono nella maniera più assoluta riscontrare nell’apparato amministrativo;b)che l’incarico stesso non implichi uno svolgimento di attività continuativa bensì la soluzione di specifiche problematiche già individuate al momento del conferimento dell’incarico del quale debbono costituire l’oggetto espresso; c) che l’incarico si caratterizzi per la specificità e la temporaneità dovendosi altresì dimostrare l’impossibilità di adeguato assolvimento dell’incarico da parte delle strutture dell’ente per mancanza di personale idoneo;d)che l’incarico non rappresenti uno strumento per ampliare surrettiziamente compiti istituzionali e ruoli organici dell’ente al di fuori di quanto consentito dalla legge;e)che il compenso connesso all’incarico sia proporzionato all’attività svolta e non liquidato in maniera forfetaria;f)che la delibera di conferimento sia adeguatamente motivata al fine di consentire l’accertamento della sussistenza dei requisiti previsti; g) che l’ organizzazione dell’Amministrazione sia comunque caratterizzata per il rispetto dei princìpi di razionalizzazione, senza duplicazione di funzioni e senza sovrapposizione all’attività ed alla gestione amministrativa, per la migliore utilizzazione e flessibilità delle risorse umane nonché per l’economicità, trasparenza ed efficacia dell’azione amministrativa, per il prioritario impiego delle risorse umane già esistenti all’interno dell’apparato; h)che l’incarico non sia generico o indeterminato al fine di evitare un evidente accrescimento delle competenze e degli organici dell’Ente, il che presuppone la previa ricognizione e la certificazione dell’assenza effettiva nei ruoli organici delle specifiche professionalità richieste; i) che i criteri di conferimento non siano generici perché la genericità non consente un controllo sulla legittimità dell’esercizio dell’attività amministrativa di attribuzione degli incarichi…”. Cfr. anche P.DELLA VENTURA, Conferimento di incarichi di consulenza, in AA.VV.,(a cura di E.F. SCHLITZER), L’evoluzione della responsabilità amministrativa, Milano, 2002, 242 e ss. In tema ancora G. MAROTTA, Applicazione del decreto legge 12 luglio 2004, n. 168 ed individuazione dei criteri di calcolo, in www.lexitalia.it, 9/2004. Ancora sul conferimento delle consulenze esterne ci si permette il rinvio a Presupposti e limiti del conferimento di consulenze esterne da parte delle pubbliche amministrazioni fra decreto ““tagliaspese”“ del luglio 2004 e giurisprudenza contabile, in www.amcorteconti.it e in Riv. Corte dei conti, 2004, 3, pp. 456 e ss..

[46] Una eccezione è prevista al comma 261 secondo il quale “ Per le attività di monitoraggio delle politiche pubbliche adottate dal Governo, di analisi del loro impatto sul Sistema-Paese, di informazione e comunicazione istituzionale sulle riforme attuate, il Presidente del Consiglio dei ministri, ovvero il Ministro a ciò delegato, può avvalersi di enti o istituti di ricerca, pubblici o privati, di istituti demoscopici nonchè di consulenti dotati di specifica professionalità. A tal fine è autorizzata la spesa di 3 milioni di euro per ciascuno degli anni 2005 e 2006”.

[47] La legge finanziaria per il 2005 contiene inoltre una disposizione riguardante i collegi sindacali degli enti previdenziali (comma 159) che esclude per i componenti di detti collegi il requisito dell’iscrizione nel registro dei revisori contabili “Limitatamente ai soli enti gestori di forme di previdenza obbligatoria i collegi sindacali continuano ad esercitare il controllo contabile e per essi non trova applicazione l’articolo 2409-bis, terzo comma, del codice civile”. Si richiama anche il decreto del ministro della giustizia 29 dicembre 2004 n. 320 (in G.U. s. gen., n. 13 dell’8 gennaio 2005)- “Individuazione delle professionalità abilitate a comporre ilo collegio sindacale, ai sensi dell’art. 2937, secondo comma del codice civile” secondo cui “I membri del collegio sindacale, previsti dal secondo comma dell’art. 2937 del codice civile, possono essere scelti fra gli iscritti negli albi professionali tenuti dai seguenti ordini e vigilati dal ministero della giustizia:a) avvocati; b) dottori commercialisti; c) ragionieri e periti commerciali; d) consulenti del lavoro”.

[48] Per un’articolata illustrazione delle singole funzioni cfr. CSR, Revisione degli enti locali, cit, pagg. 17- 21, ove tra l’altro si richiama, con riguardo all’attività di collaborazione, definita obbligatoria, la deliberazione n. 2/1992 della Sezione enti locali della Corte dei conti., nonché Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti - Consiglio Nazionale dei Ragionieri Commercialisti, Principi di revisione e di comportamento dell’organo di revisione negli enti locali, con presentazione di A. TAMBORRINO e W. SANTORELLI, Milano, 2003.

[49] Sull’obbligo di denuncia v. V. TENORE, Profili ricostruttivi dell’obbligo di denuncia alla Corte dei conti di fatti dannosi per l’erario, in Foro amm., 1997, pp. 1236 e ss.(nota a Corte dei conti, sez. riun., n. 6/A del 28 febbraio 1996) e F.G. GALEFFI, Responsabilità amministrativa per omessa denuncia, in Riv. Corte dei conti, 2004, 3, 487 e ss..

[50] CSR, op. cit., 22.

[51] La sussistenza di un “rapporto di servizio” integra uno dei presupposti della giurisdizione della Corte dei conti, secondo la consolidata giurisprudenza della Corte di cassazione. Esso è integrato dal mero inserimento funzionale del soggetto privato, anche persona giuridica (cfr. Cass. S.U. n. 123 del 21 marzo 2001, relativamente a Unicredito s.p.a.) che comporti in concreto la partecipazione del soggetto all’esercizio dell’attività amministrativa (Cass. sez. un. civ. n. 6177 del 1983; n. 2083 del 14.3.1990; n. 13411 del 12.12.1991; n. 3358 dell’ 11.4.1994; n. 10963 del 17 ottobre 1991, n. 10963, n. 11309 del 28 ottobre 1995 n. 11309; n. 926 del 23 settembre 1999; n. 400 del 5 giugno 2000 ; n. 515 del 24 luglio 2000; n. 14473 dell’ 11 ottobre 2002 n. 14473; n. 340 del 13 gennaio 2003. In argomento v. A. CIARAMELLA, Il concessionario privato di lavori pubblici e la giurisdizione della Corte dei conti, in Foro amm. - CdS, 2004, 6, 1831 e ss..

[52] CSR, op. cit., 30.

[53] Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti-Consiglio Nazionale dei Ragionieri Commercialisti, Principi di revisione e di comportamento dell’organo di revisione negli enti locali, con presentazione di A. TAMBORRINO e W. SANTORELLI, Milano, 2003, pag. 59 “…L’obbligo di denuncia da parte dell’organo di revisione scaturisce ..dopo che è stata accertata la grave irregolarità di gestione, mentre le mere ipotesi di irregolarità richiedono da parte dell’organo di revisione solo una più accentuata vigilanza per la possibile correzione degli effetti o la rimozione delle irregolarità, ed eventualmente anche la semplice segnalazione al consiglio..”.

[54] Ad esempio, per la specificazione delle modalità con cui effettuare le verifiche di cassa v. pag. 51 e seguenti del documento (che riporta la “Circolare Vademecum della ragioneria generale dello Stato). Per la tecnica del campionamento v. pag. 126 e ss..

[55] Va evitata qualsiasi impropria “commistione” dell’attività dei revisori con la gestione amministrativa come il caso di accettazione di doni da parte della giunta finanziati con spese di rappresentanza-cfr. C. conti, sezione II centrale, 17 gennaio 2002, n. 106. Sull’esigenza di autonomia del revisore cfr. determinazione sez. Enti 22/2003, di cui oltre nel testo, che richiama anche la disciplina di incompatibilità stabilita dal rinnovato art. 2399 c.c. adottato con d.lgs. 17 gennaio 2003 n. 6 (Riforma organica del diritto societario) e la VIII direttiva comunitaria in materia societaria che impone nettamente il principio di indipendenza dei sindaci. Il citato d.lgs. 6/2003 ha apportato anche modifiche al sistema dei controlli sindacale e di revisione. In proposito cfr. C. FERIOZZI, Il nuovo controllo legale dei conti nelle spa, in Italia Oggi, La riforma delle società, n. 6 del 5 febbraio 2003, 26 e ss..

[56] Per le specificazione dei compiti dei revisori pubblici nell’ambito delle Istituzioni scolastiche v. Decreto interministeriale n. 44/2001 concernente le “Istruzioni generali sulla gestione amministrativo contabile delle istituzioni scolastiche”- artt. 57 e ss.

[57] CSR, op. cit., 30.

[58] Per una fattispecie di responsabilità disciplinare, di due revisori contabili (operanti nell’ambito di una società di revisione) cfr. Cons. Stato, sez. VI, 10 luglio 2002, n. 3845, in Foro amm., 2002, 3007 e ss. ove è stato affermato che “…. Deve ritenersi momento essenziale dell’attività di una società di revisione proprio la verifica delle modalità di esposizione dei ““fatti di gestione”“ nelle scritture contabili, per la quale il legislatore ha fissato il parametro della ““esattezza”“ dell’esposizione; ciò comporta che la relazione di certificazione, in ossequio al dovere di correttezza nell’adempimento della specifica prestazione professionale, deve fornire un’informazione piena, non reticente, né limitata ai soli aspetti formali e documentali, bensì corredata dai dati, dalle notizie e dagli elementi di fatto a disposizione, tali da renderla non solo veritiera, ma altresì completa, anche in relazione alle prospettive aziendali. È solo in questo contesto, d’altra parte che si giustifica l’affidamento dei terzi sulla credibilità non solo dal punto di vista contabile, ma anche economico, finanziario ed operativo, della società il cui bilancio sia stato regolarmente certificato…”. V. anche la relativa nota di E. ROSSI, Gli obblighi di disclosure delle società di revisione contabile, ivi, 3012 e ss. Le anzidette precisazioni del Consiglio di Stato appaiono particolarmente pregnanti se si considera la recente vicenda “Parmalat”, ove sono emerse rilevanti responsabilità delle società di revisione.

Sulla responsabilità penale cfr. N. PISANI, Controlli sindacali e responsabilità penale nelle società per azioni, Milano,Giuffrè, 2003.

[59] M. BIANCA, Diritto civile, La responsabilità, Milano, 1994, 28.

[60] B.QUATRARO, La responsabilità civile della società di revisione e la responsabilità penale del revisore contabile, in Il controllo legale dei conti, 1997, 24- “…nella sua specifica attività il ““buon revisore deve curare: a) la pianificazione del lavoro, l’ampiezza, i tempi e la tipologia del controllo, il numero dei collaboratori da utilizzare; b) la programmazione, volta alla elaborazione del programma di revisione,alla valutazione dell’adeguatezza del sistema aziendale di controllo interno, alla determinazione delle procedure di revisione da utilizzare nel lavoro futuro; c) l’esecuzione di questo al fine di esprimere un giudizio in ordine alla completezza, autenticità e correttezza dei dati e dell’informazione di bilancio…”.

[61] B. QUATRARO, op. cit., 21 e ss.

[62] B. QUATRARO, op. cit., 29.

[63] Per una loro elencazione cfr. B. QUATRARO, op. cit., 24.

[64] B. QUATRARO, op. cit., 31, con specifico riferimento alla società di revisione.

[65] Per un’ipotesi invece di responsabilità civile “verso terzi” della società di revisione cfr. Cass. civ., 18 luglio 2002, n. 10403, in Foro it., 2003, 7-8, I,2147 e ss.”…La responsabilità extracontrattuale di una società di revisione per i danni derivati a terzi dall’attività di controllo e certificazione del bilancio di una società quotata in borsa sussiste anche nell’ipotesi di revisione volontaria, effettuata su incarico della società medesima (nella specie è stata confermata la sentenza di merito che aveva ritenuto la responsabilità extracontrattuale della società di revisione per l’erronea certificazione dello stato patrimoniale di una società, compiuta su incarico di quest’ultima, nei confronti degli acquirenti delle quote societarie relative, che non avrebbero stipulato il contratto definitivo, esercitando il diritto di recesso stabilito nel preliminare, ove avessero conosciuto il reale e inferiore valore della società…”V. anche la nota redazionale a firma di A. FABRIZIO - SALVATORE, che esamina la dottrina e giurisprudenza in argomento. Per quest’ultima richiama TAR Lazio, sez. I, 21 marzo 1997, n. 480, in Foro it., 1997, III, 309 (con nota di G. SACCHI) secondo cui ““l’attività di revisione non può in alcun modo intendersi limitata al mero controllo formale dei dati contabili, ma deve necessariamente comprendere la sostanziale valutazione di tutti i comportamenti, le situazioni e gli atti comunque ricollegabili non al solo formale dato di bilancio, ma all’attività concretamente posta in essere dalla società revisionata, pertanto costituisce obbligo della società di revisione la verifica della pianificazione finanziaria e gestionale degli intermediari finanziari e la segnalazione, ove necessario o anche solo opportuno, nell’interesse dei fiducianti, di tutte le situazioni che pongano in serio dubbio la continuità aziendale del soggetto revisionato””. La nota richiama anche l’opinione di A. ROSSI, Revisione contabile e certificazione del bilancio, in CARNEVALI (a cura di) Diritto commerciale ed industriale, Milano, 1981, pagg. 767 e ss., secondo cui ““l’impegno a carico del revisore importa non solo l’obbligo di applicare diligentemente i principi di revisione raccomandati, ma anche e soprattutto di valutare se essi siano adeguati e consoni al caso preso in esame: ove risulti che tale adeguatezza non ricorre, spetta al revisore, tenendo presente l’interesse della società revisionata, svolgere ulteriori indagini, compiere gli accertamenti e porre in essere quelle procedure che il caso richiede. Solo in tal modo potrà affermarsi che la diligenza dovuta è stata concretamente impiegata””.

                Ancora Cass. civ. sez. I, 17 settembre 1997, n. 9252, in Foro it., 2000, I, 243 e ss, con nota di L. DELLE VERGINI, Natura dei doveri del collegio sindacale, loro inosservanza e rapporto di causalità .In generale per un’analisi complessiva della responsabilità civile della pubblica amministrazione, anche con riferimento a quella dei dipendenti “verso terzi”, cfr. A. PIAZZA, Responsabilità civile ed efficienza amministrativa, Milano, 2001.

[66] Sinteticamente può dirsi che la responsabilità amministrativo contabile si pone fra le varie possibili forme di responsabilità cui sono tenuti gli amministratori e funzionari pubblici come previsto dall’art. 28 della Costituzione (“...I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili secondo le leggi penali, civili ed amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti....”), e si caratterizza come responsabilità per danni cagionati allo Stato o agli enti pubblici sulla base di norme sia “civili” che “amministrative” (art. 82 r.d. 18 novembre 1023 n. 2440-legge sulla contabilità di Stato; art. 52 r.d. 12 luglio 1934 n. 1214 - t.u. delle leggi sulla Corte dei conti; art. 18 d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3- t.u. impiegati civili dello Stato). Gli elementi essenziali di tale responsabilità sono individuati nell’elemento oggettivo (danno patrimoniale, ma anche non patrimoniale, nel particolare profilo del pregiudizio per l’immagine) per le finanze dello Stato o di un ente pubblico) ed in quello soggettivo (dolo o colpa grave), nel nesso di causalità fra la condotta e l’evento dannoso e nella sussistenza del rapporto di servizio fra autore del danno erariale e pubblica amministrazione intesa in senso lato (Cass. Sez. un civ. ord. n. 19667/03 di cui anche oltre e Cass. Sez. un. civ. n. 20132 del 12 ottobre 2004 (vicenda “quote latte”, con interessanti affermazioni anche in ordine alla configurabilità di responsabilità amministrativa per violazione di regolamenti comunitari). La responsabilità amministrativo contabile che attiene ai danni cagionati allo Stato o agli enti pubblici, va peraltro tenuta distinta dalla responsabilità contabile “in senso stretto”, (di cui peraltro la responsabilità amministrativa è una derivazione) e che riguarda i soggetti aventi la qualifica di “contabile” di diritto o di fatto e che viene fatta valere nell’ambito di un speciale giudizio (giudizio di conto) anch’esso di competenza della Corte dei conti ovvero attraverso l’azione promossa dal pm.

La giurisdizione contabile è stata recentemente estesa anche agli amministratori e dipendenti di enti pubblici economici, modificandosi una consolidata giurisprudenza (Cass. sez. un civ., ordinanza n. 19667 del 22 dicembre 2003) e finanche di società per azioni in mano pubblica (ordinanza n. 3899 del 26 febbraio 2004).

[67] Cfr. Cass. sez. un. n. 933/99 SU del 21 ottobre 1999, resa in sede di regolamento preventivo di giurisdizione promossa nel corso di un giudizio civile promosso da un’amministrazione comunale nei confronti di un ex sindaco, secondo cui “...la giurisdizione della Corte dei conti è esclusiva, nel senso che è l’unico organo giudiziario che può decidere nella materie devolute alla sua cognizione...” e pertanto “...va esclusa una concorrente giurisdizione del giudice ordinario, adito secondo le regole normali applicabili in tema di responsabilità e di rivalsa...”.

[68] La configurabilità della responsabilità amministrativo contabile anche con riferimento ai revisori degli enti locali, come sostenuto nel testo, è condivisa anche nel documento del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti - Consiglio Nazionale dei Ragionieri Commercialisti, Principi di revisione e di comportamento dell’organo di revisione negli enti locali, con presentazione di A. TAMBORRINO e W. SANTORELLI, Milano, 2003, 76.

[69] “…La Regione Veneto ha impugnato il comma 4 dell’art. 24 della legge n. 289 del 2002 anche sotto il profilo dell’incompetenza dello Stato a dettare la disciplina sostanziale della responsabilità amministrativa dei dipendenti della Regione e degli enti pubblici regionali e locali, sostenendo che si versi in tema di competenza residuale della Regione in materia di ordinamento dei propri uffici (art. 117, quarto comma, della Costituzione). La questione non è fondata. La ricorrente trascura che, in proposito, vengono in evidenza le disposizioni dell’art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, secondo le quali spettano alla competenza esclusiva dello Stato le materie della giurisdizione e dell’ordinamento civile. Nella disciplina generale della responsabilità amministrativa i profili sostanziali sono strettamente intrecciati con i poteri che la legge attribuisce al giudice chiamato ad accertarla (come si rileva, ad esempio, dalla disposizione dell’art. 52 del regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214, recante il “Testo unico delle leggi sulla Corte dei conti”, secondo la quale “la Corte, valutate le singole responsabilità, può porre a carico dei responsabili tutto o parte del danno accertato o del valore perduto”), ovvero fanno riferimento a situazioni soggettive riconducibili alla materia dell’ordinamento civile. Ne discende che la potestà legislativa residuale delle Regioni a statuto ordinario in materia di ordinamento dei propri uffici (art. 117, quarto comma, della Costituzione), se può esplicarsi nel senso di disciplinare il rapporto di impiego o di servizio dei propri dipendenti, prevedendo obblighi la cui violazione comporti responsabilità amministrativa, non può tuttavia incidere sul regime della stessa….”.

[70] F. G. GRANDIS, Le funzioni del revisore contabile negli enti locali e il superamento delle dicotomie dei controlli, in Enti pubblici, 2001, 7-8, 387 e ss.. Sulla nascita della revisione contabile, storicamente sviluppatasi in funzione di gestioni pubbliche poi sviluppatesi in funzione di certificazione dei bilanci delle società per azioni nel contesto anglosassone, cfr. C. PRIVITERA, Origine ed evoluzione del pensiero ragionieristico, Milano, 2003, 397 e ss., che richiama anche il lavoro di F. DE LEONARDIS, Il contributo genovese all’uso e alla pratica contabile nell’alto medioevo. I primi revisori contabili, in Atti del Convegno internazionale straordinario per celebrare fra’ Luca Pacioli, Ipsoa, Corsico (MI), 1995, 155.

[71] L’art. 82 del D.P.R. 97/2003 non riproduce la disposizione dell’art. 240 TUEL in ordine alla responsabilità, stabilendo soltanto che “I revisori sono responsabili delle attestazioni fatte e devono conservare il segreto sui fatti e sui documenti di cui hanno conoscenza per ragione del loro ufficio, salvo il dovere di informazione previsto nei confronti degli organi vigilanti e di controllo dalle disposizioni di legge”.

L’omesso richiamo alle disposizioni del codice civile, come il riferimento agli obblighi di denuncia di danno erariale di cui si è prima riferito consentono di confermare quanto enunciato nel testo, in ordine alla esclusiva configurabilità, per i revisori pubblici, della responsabilità amministrativo-contabile.

[72] Per la responsabilità extracontrattuale dei revisori contabili, cfr. B. QUATRARO, op. cit.,31.

[73] Per un’analisi complessiva della responsabilità civile della pubblica amministrazione, anche con riferimento a quella dei dipendenti “verso terzi”, cfr. A.PIAZZA, Responsabilità civile ed efficienza amministrativa, Milano, 2001.

[74] F. G. GRANDIS, Le funzioni del revisore contabile negli enti locali e il superamento delle dicotomie dei controlli, in Enti pubblici, 2001, 7-8, 387 e ss.. Sulla nascita della revisione contabile, storicamente sviluppatasi in funzione di gestioni pubbliche poi trasferitasi alla certificazione dei bilanci delle società per azioni nel contesto anglosassone, cfr. C. PRIVITERA, Origine ed evoluzione del pensiero ragionieristico, Milano, 2003, 397 e ss., che richiama anche il lavoro di F. DE LEONARDIS, Il contributo genovese all’uso e alla pratica contabile nell’alto medioevo. I primi revisori contabili, in Atti del Convegno internazionale straordinario per celebrare fra’ Luca Pacioli, Ipsoa, Corsico (MI), 1995, 155.

[75] V. ITALIA, Contratti collettivi inderogabili, aumenti al personale illegittimi, in Il Sole 24 Ore, 15 aprile 2002, 27.

[76] V. ITALIA, op. cit..

[77] Per un approfondito studio in materia cfr. R. DE DOMINICIS, Il dissesto negli enti locali, Milano, 2000.V. anche F. ZITO, Enti locali deficitari e dissestati, in AA.VV., a cura di M. BERTOLISSI, in L’Ordinamento degli enti locali, Bologna, 2002, 791 e ss..

[78] “…il collegio dei revisori dei conti aveva contestato nei predetti verbali in ordine all’impossibilità di far fronte agli impegni assunti, all’esistenza di una notevole massa di debiti fuori bilancio, ad inattendibili previsioni di entrate, allo stanziamento in diminuzione di alcune spese rispetto alla loro reale consistenza, a discutibili allocazioni in bilancio di importi per mere esigenze di quadratura: rilievi in base ai quali i revisori avevano valutato inesistente l’equilibrio economico finanziario e sollecitato la tempestiva dichiarazione di dissesto…”.

[79] L’omessa considerazione della segnalazione da parte dei revisori dei conti circa l’irregolarità dell’inquadramento di dipendenti è stata considerata elemento significativo ai fini della configurazione della colpa grave nei confronti di presidente di comitato di gestione e direttore amministrativo di USL (sentenza sez. reg. Calabria, n. 665 del 5 agosto 2002).

[80] Va anche ricordato che la mancata formulazione di rilievi da parte del collegio dei revisori non esclude, di per sé, la configurabilità di responsabilità a carico degli amministratori dell’ente che abbiano deliberato spese illegittime- cfr. C. conti, sez. I centrale di appello, n. 101/2001/A del 24 aprile 2001 “…Nella fattispecie …non vengono in rilievo le modalità amministrative di effettuazione della spesa, ma la sua rispondenza ai fini dell’ente. In questo senso la partecipazione silente dei componenti del collegio dei revisori, anche se concreta un comportamento contrario ai doveri di ufficio, non è escludente della responsabilità dei consiglieri di amministrazione, i quali comunque dovevano conoscere i fini dell’ente e ad essi rapportare le iniziative assunte…”.

[81] La vicenda riguardava un rilevante ammanco di oltre 600 milioni, in ordine al quale, oltre a quella dei revisori era stata configurata la responsabilità dell’istituto di credito tesoriere, del segretario amministrativo e del preside. La disciplina della revisione nelle istituzioni scolastiche è regolata dal decreto interministeriale 1° febbraio 2001 n. 44 - Istruzioni generali sulla gestione amministrativo-contabile delle istituzioni scolastiche (G.U. 9 marzo 2001, n. 57) Per una approfondita e puntuale disamina cfr. S. GRANELLO, Il collegio dei revisori dei conti dell’istituzione scolastica autonoma, ed. Tecnodid, Napoli, 2003.