L’istituto della
comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza
nei procedimenti previdenziali
del Dott. Giovanni
Aronica
L’istituto della comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento
della richiesta dell’interessato, nell’ambito dei procedimenti amministrativi
ad istanza di parte, è stato disciplinato dall’art.
10-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, come introdotto dalla legge 11
febbraio 2005, n. 15.
La norma prevede che, prima dell’adozione di un provvedimento
negativo per l’interessato, la pubblica amministrazione, tramite il
responsabile del procedimento o l’autorità competente, ha l’obbligo di
comunicare agli istanti i motivi che ostano all’accoglimento dell’istanza, con effetto interruttivo
dei termini per la conclusione del procedimento. Entro il termine di dieci
giorni dal ricevimento della comunicazione, gli istanti possono presentare
osservazioni per iscritto, con eventuali documenti allegati. Le osservazioni
e/o risultanze documentali vanno puntualmente
riscontrate dalle amministrazioni procedenti che, a tal fine, devono dare
ragione, nel provvedimento finale, dell’eventuale loro mancato accoglimento. La
norma esclude dal proprio ambito applicativo le procedure concorsuali e i
procedimenti in materia di prestazioni previdenziali e assistenziali,
sorti a seguito di istanza di parte e gestiti dagli enti previdenziali.
L’analisi dell’art. 10-bis della legge 241/90
implica una serie di considerazioni di carattere generale sulle nuove modalità dell’agire amministrativo, sulla compatibilità dei
principi generali che lo orientano, sulle altre norme presenti nella legge sul
procedimento amministrativo, come riformulata alla luce dell’approvazione della
legge 11 febbraio 2005, n. 15.
Va, innanzitutto, evidenziato che la
comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza
segue una disciplina analoga all’innovativo regime del provvedimento limitativo
della sfera giuridica dei privati[1].
Il provvedimento amministrativo negativo
è assimilato all’atto recettizio nel diritto privato:
in relazione alla sua incidenza negativa sugli
interessi dei destinatari e, prima di poter svolgere i propri effetti tipici ed
essenziali, deve essere necessariamente portato alla conoscenza degli stessi
destinatari onde consentirne l'attenuazione delle conseguenze afflittive o di evitare gli ulteriori pregiudizi derivanti
dall'esecuzione del suo contenuto precettivo.
Da una prima ricostruzione
interpretativa, in considerazione dell’esiguo o inconsistente spazio consentito
all’interessato nel caso di analisi di elementi di
discrezionalità amministrativa o di c.d. discrezionalità tecnica, i casi
previsti dall’art. 10-bis dovrebbero ricondursi, principalmente se non
esclusivamente, alle istanze rigettate per carenze nella documentazione
prodotta o per scarsa chiarezza del contenuto di esse o altre situazioni in cui la P.A., coinvolgendo l’interessato al
fine di evitare declaratorie definitive di rigetto di provvedimenti, riesamini
il diritto o l’istanza insieme al richiedente, alla luce delle osservazioni e/o
integrazioni che quest’ultimo potrebbe fornire, correggendo eventuali errori
formali o incompletezza nella documentazione prodotta.
Aderendo a tale opzione
interpretativa, lo strumento delineato si porrebbe in logica continuità con il
complesso delle regole di “legalità sostanziale”, direttamente connesse
all’attuazione dei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento
dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.), attraverso il coinvolgimento
dell’interessato che si traduca in una effettiva partecipazione al
procedimento, non limitata alla comunicazione formale, ma finalizzata al
controllo preventivo, verifica e riesame dell’atto per la realizzazione degli
intenti di deflazione del contenzioso amministrativo in autotutela.
Secondo un recente orientamento
giurisprudenziale, invece, la mancata comunicazione dei motivi ostativi
all’accoglimento dell’istanza, determinando
un’illegittima preclusione della partecipazione dell’interessato al
procedimento determina, ex se, l’illegittimità del provvedimento amministrativo
per violazione del principio del giusto procedimento[2].
Tale norma prevede che non si possa chiedere l’annullamento del
provvedimento amministrativo, che abbia profili di illegittimità
limitati alla violazione di norme procedimentali e ad
aspetti formali, quando, per la sua natura vincolata, sia palese che il
provvedimento finale non avrebbe potuto essere in concreto diverso rispetto a
quello che è stato adottato nonostante le violazioni di norme e di regole sul
procedimento.
L’art. 21-octies specifica, inoltre, che il provvedimento
amministrativo non è comunque annullabile per mancata
comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in
giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso
da quello in concreto adottato, ma non richiama, espressamente, la
comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza ex art. 10-bis
della legge 241/90.
Ci si chiede se le Pubbliche
Amministrazioni abbiano comunque l’obbligo di
comunicare agli interessati i motivi ostativi all’accoglimento della domanda,
ai sensi dell’art. 10-bis, anche nei casi contemplati dall’art. 21-octies.
Dal testo degli atti parlamentari, è possibile desumere alcuni
elementi utili a fini interpretativi dell’art. 21-octies, emersi nel corso del
dibattito all’aula del Senato in sede di dichiarazioni di voto finale[3]: la norma va nella
direzione del principio di economia dell’attività
amministrativa, che può consentire una maggiore agilità e speditezza nel
funzionamento delle amministrazioni e ridurre il contenzioso.
La Relazione della I
Commissione Permanente Affari Costituzionali della Camera dei Deputati[4],
illustrando i contenuti dell’articolo 21-octies, ha chiarito che la norma si
propone di sancire, sul piano normativo, l’istituto dell’irregolarità che,
secondo la giurisprudenza e la dottrina prevalenti, consiste in una difformità
o anomalia dello schema normativo, di minima rilevanza, tale da non dare luogo
ad invalidità dei provvedimenti amministrativi.
L’irregolarità prevista è relativa alla
violazione di norme procedimentali o comunque di
regole di corretta redazione degli atti, prescriventi adempimenti di carattere
formale, o comunque marginali rispetto al contenuto e alle finalità del provvedimento
finale.
Alla base di tale previsione vi è la
convinzione secondo cui l’illegittimità “formale” assume rilievo, ai fini
dell’annullamento, solo quando essa riverbera i propri
effetti, diretti o indiretti, sul contenuto del provvedimento.
Emerge, con evidenza, la compressione
dei principi di pubblicità e trasparenza, che vengono
subordinati alle superiori esigenze di celerità del procedimento, di analogo
tenore alle modalità atipiche di comunicazione dell’avvio del procedimento[5].
Va osservato che i principi di partecipazione del privato e del
giusto procedimento non costituiscono principi indefettibili ed inderogabili
dell’ordinamento, ma vanno opportunamente bilanciati con quelli della
speditezza e celerità del procedimento stesso, nella direzione di una tutela
rafforzata proprio del cittadino stesso che a quelle prestazioni accede, cui deve essere garantita la certezza della corretta
risposta amministrativa nel più breve tempo possibile, anche al fine di
scegliere le più consone forme di tutela successive all’adozione del
provvedimento negativo.
La mancata comunicazione ex art. 10-bis della legge 241/90
produce effetti anche sul principio, di carattere generale, del “giusto
procedimento”, ossia della garanzia che il procedimento giunga
a compimento a seguito di una istruttoria adeguata e, nel corso di
quest’ultima, siano sentiti i destinatari dell’azione amministrativa.
Su questo aspetto, occorre precisare
che il legislatore può, in taluni casi, operare legittimamente un bilanciamento
che conduca al sacrificio, totale o parziale, degli strumenti a garanzia del
giusto procedimento, tuttavia, al fine di rendere comprensibile ed adeguato
tale sacrificio, occorre esprimere le ragioni o le motivazioni di tale scelta.
In questo senso, la giurisprudenza precedente all’entrata in
vigore della legge 11 febbraio 2005, n. 15, afferma che il diritto di
partecipazione del privato va salvaguardato con la tutela sanzionatoria
dell’eventuale annullamento del provvedimento per omessa comunicazione
dell’avvio del procedimento quando il richiedente,
attraverso la sua partecipazione, avrebbe potuto fornire elementi innovativi
rispetto alla conclusione del procedimento stesso[6].
Applicando il medesimo principio nei casi di provvedimento
negativo vincolato affetto da vizio del procedimento per inosservanza dell’art.
10-bis, in analogia con quanto previsto espressamente in
ordine alla mancata comunicazione dell’avvio del procedimento di cui
all’art. 7 della legge 241/90, il provvedimento finale non potrebbe comunque essere
annullato, in tutti i casi in cui la comunicazione dei motivi ostativi
all’accoglimento dell’istanza nei confronti del privato risulterebbe
ininfluente ai fini della modifica del provvedimento stesso e, pertanto, non
obbligatoria[7].
In presenza di provvedimenti
vincolati, a contenuto negativo, dunque, il procedimento in cui non si sia dato
conto al privato dei motivi ostativi alle sue richieste, potrebbe risultare
legittimo nei casi di cui all’art. 21-octies della legge 241/90.
Questa ricostruzione interpretativa
deve, però, tenere conto della diversità di fattispecie descritte dal medesimo
articolo 21-octies:
- nel caso dei vizi formali e
procedurali dei provvedimenti a contenuto vincolato (art. 21-octies, 2° comma,
primo periodo) la non annullabilità è soggetta al presupposto per cui deve risultare “palese” che il contenuto dispositivo
dell’atto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato,
anche se affetto dal vizio formale e/o procedurale;
- nel caso di mancata comunicazione dell’avvio del procedimento
per la generalità dei provvedimenti[8] (art. 21-octies, secondo
comma, secondo periodo) l’amministrazione procedente deve “dimostrare in
giudizio” che la mancata comunicazione non avrebbe apportato
sostanziali modifiche al provvedimento finale.
Pertanto, mentre nel primo caso deve ritenersi che
l’Amministrazione non sia onerata della prova volta a dimostrare la mera
“irregolarità” dell’atto, posto che essa risulta
evidente (circostanza, deve ritenersi, rilevabile d’ufficio), nel secondo caso,
in assenza dell’assolvimento di tale onere probatorio, la giurisprudenza più
recente[9] ha ritenuto che l’atto
debba essere ugualmente annullato, non essendosi in presenza di una sanatoria
indiscriminata
Esaminati
i contenuti dell’articolo 10-bis e dell’articolo 21-octies legge 241/90, con
riferimento ai provvedimenti a contenuto vincolato, occorre, brevemente,
considerare le peculiarità dei procedimenti per l’erogazione dei provvedimenti
di carattere previdenziale ed assistenziale.
L’attività degli
Istituti previdenziali si esplicano, prevalentemente,
nella gestione di procedimenti amministrativi caratterizzati da vincolatività
del provvedimento finale rispetto ai requisiti o presupposti di legge.
L’art. 1,
comma 2 della legge 9 marzo 1989, n. 88 (di ristrutturazione dell’Istituto
Nazionale della Previdenza Sociale) stabilisce che l’INPS adempie
alle funzioni attribuitegli dalla legge con criteri di economicità ed
imprenditorialità, adeguando la propria organizzazione all’esigenza di
efficiente e tempestiva acquisizione dei contributi ed erogazione delle
prestazioni.
Di analogo tenore sono le disposizioni relative all’istituzione
dell’Istituto Nazionale di previdenza per i dipendenti dell’amministrazione
pubblica, cui viene affidato il compito di provvedere all’erogazione del
trattamento pensionistico per i dipendenti dello Stato e di raccogliere le
corrispondenti contribuzioni secondo termini di decorrenza, aliquote e modalità
stabilite dalla legge[10].
Ciò vale sia per le prestazioni previdenziali, per le quali la
presenza dei requisiti assicurativi e contributivi contemplati dalla legge
determina, in concreto, il costituirsi dell’obbligazione, sia nel campo
dell’assistenza sociale, cui l’obbligo di comunicazione all’interessato di eventuali motivi ostativi all’accoglimento della sua
richiesta non apporterebbe alcun elemento utile anche ai fini dell’autotutela
amministrativa.
Va, peraltro, osservato che la grande
mole di procedimenti previdenziali impegna gli enti gestori ad un riscontro
immediato degli elementi necessari per la definizione dell’istanza, sin
dall’avvio del procedimento.
Ne consegue l’inutilità ed inopportunità di appesantimenti
procedurali che non risultino necessari alla razionalizzazione della tempistica
e della celerità degli adempimenti (scanditi, peraltro, da interazione a flusso
continuo con il richiedente attraverso l’utilizzo diffuso di procedure
informatiche e la gestione atipica “per processi” orientata al
cittadino-cliente), considerata l’esigenza della stessa amministrazione a dover
rispondere nella maniera più celere possibile alle istanze e ai bisogni
dell’utenza.
Tali richieste si articolano su piani differenti dalle tipologie
procedimentali usuali alla gran parte delle Pubbliche
Amministrazioni, non solo sotto il profilo della discrezionalità, ma anche e
soprattutto per la complessità tecnica dei requisiti e delle condizioni da
accertare al fine di erogare le prestazioni richieste.
Gli Istituti previdenziali, inoltre, si avvalgono della
collaborazione o coinvolgimento di strutture di supporto e di consulenza
(sindacati, patronati, consulenti del lavoro) che, oltre ad avere accesso alle
procedure informatiche e alle banche dati su mandato degli interessati, possono
assicurare le competenze e la collaborazione tecnica per la tutela delle
posizioni giuridiche dei soggetti che si sono attivati attraverso la
presentazione formale dell’istanza.
In questo senso, e con
queste modalità, si pongono le premesse per un’opportuna lettura e corretta
applicazione delle nuove norme sull’autotutela[11] (riferite alla generalità
delle pubbliche amministrazioni e, dunque, applicabili anche agli enti
previdenziali) che dovranno essere calibrate sulle specialità e peculiari
esigenze degli enti previdenziali analogamente a quelle già presenti ed
applicate ad es., seppure con modalità e fonti regolative diverse [12] , dall’amministrazione
finanziaria.
Il legislatore ha, in definitiva, giustamente
optato per l’inserimento di una norma esplicita nel testo
di legge con la quale si escludono espressamente gli enti e altri soggetti
amministrativi che gestiscono procedimenti per l’erogazione di prestazioni
previdenziali ed assistenziali, dalle incombenze istruttorie volte
all’accertamento delle condizioni di non obbligatorietà della comunicazione dei
motivi ostativi all’accoglimento delle relative istanze in quanto sproprozionate e inadeguate rispetto alla particolarità
tecnica e alla rilevanza quantitativa delle procedure da essi gestite.
[1] Art. 21-bis della legge 241/90 come introdotto dall'art. 14 della legge 11 febbraio 2005, n. 15.
[2] T.A.R. Lazio, sez. II bis, 18 maggio 2005, n. 3921.
[3] Vedi Resoconto stenografico dell'Assemblea della Camera dei Deputati, della seduta n. 406 del 14/1/2004, relativo al disegno di legge n. 3890.
[4] Vedi Relazione allegata al DDL n. 3890/C, presentata alla Presidenza il 6 novembre 2003.
[5]Vedi art. 8, comma 3, della legge 241/90.
[6] C.d.S., sez. V, 16 novembre 1998, n. 1615, sez. V, n. 2823 del 22 maggio 2001, n. 516 del 4 febbraio 2003, sez. VI, n. 686 del 7 febbraio 2002.
[7] In questo senso T.A.R. Lombardia, sentenza 22 aprile 2005, n. 857.
[8] La giurisprudenza recente si è orientata nel senso che l’obbligo dell’avviso dell’avvio del procedimento vale sia per gli atti discrezionali che per quelli a contenuto totalmente vincolato, posto che la pretesa partecipativa del privato riguarda anche l’accertamento dei presupposti sui quali si deve fondare la determinazione amministrativa (C.d.S. sez. VI 20 aprile 2000, n. 2443, C.d.S. 2953/2004, 2307/2004, 396/2004).
[9] In questo senso, T.A.R. Campania, sez. II, sentenza del 29 aprile 2005, n. 5223.
[10] Art. 4 del decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 479.
[11] Art. 21-nonies della legge 241/90 e art. 1 comma 136 della legge 30 dicembre 2004, n. 311.
[12]Art. 68, D.P.R. 27 marzo 1992, n. 287, art. 2-quater del D.L. 30 settembre 1994, n. 564 conv. dalla legge 30 novembre 1994, n. 656, D.M. 11 febbraio 1997, n. 37.