DUE CORRIDOI PARALLELI: COME DELIMITARE LE VARIE IDENTITÀ POLITICHE ITALIANE NEL BIPOLARISMO DI COALIZIONE,  E LA DIFFERENZIAZIONE DELLE VARIE IDENTITÀ LOCALI NELL’INTERESSE NAZIONALE?

di Laura Lunghi,

Cultore di Diritto amministrativo nella Facoltà di giurisprudenza dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”

L’idea della necessità di una revisione costituzionale non può, certamente, dirsi appartenente alla cultura italiana. Si aggiunga, poi, che la cultura di una qualche quantomai opportuno adeguamento della disciplina alle contingenze economiche e la convinzione che il testo costituzionale costituisca l’oggetto di continue misure di aggiustamento è piuttosto in controtendenza rispetto alla scarsezza del numero delle riforme istituzionale che caratterizza il nostro Paese[1].

E’ pur vero, tuttavia, che dalla metà degli anni ’80, il legislatore italiano ha ripensato questo tradizionale atteggiamento peraltro limitato dall’idea che se la riforma costituzionale dovesse compiersi, avrebbe dovuto ottenere risultati determinanti e soprattutto definitivi. In qualche modo ne sono prova i lavori delle tre Commissioni bicamerali che sono state costituite - la Commissione Bozzi (1985), la Commissione De Mita-Iotti (1993), la Commissione D’Alema (1997) – dall’unica in realtà innovativa l. cost. 3/2001 e dal progetto “devolution [2]approvo dal Parlamento il 17 dicembre scorso e che, quasi sicuramente, sarà seguito da necessario referendum confermativo. Un correttivo, peraltro, di natura dubbia in quanto improntato ad una logica maggioritaria anch’esso efficace soltanto quando la maggioranza politica che ha votato la riforma in Parlamento non sia maggioranza politica nel Paese e, quindi, i cittadini votino contro.

Il quadro che si delinea è poco incoraggiante: una riforma con presunti effetti decisivi dovrebbe, infatti, essere il risultato di un’elaborazione dottrinale uniforme e, soprattutto, rappresentare il punto di arrivo al di là della coalizione che abbia maturato la scelta di proporla. Per il bene del nostro Paese. Sembrerebbero provare il contrario, i tre progetti di revisione costituzionale varati dall’attuale Governo nel corso della corrente legislatura: la devolution (la c.d. Bozza Bossi), approvato in prima lettura, dal Senato, il 5.12.2002 e dalla Camera il 14.4.2003[3]; la Bozza La Loggia (recante “Nuove modifiche al Titolo V, parte seconda, della Costituzione”), licenziata dal Consiglio dei Ministri l’11.4.2003 (e, cioè: tre giorni prima dell’approvazione della devolution da parte della Camera dei deputati); la bozza di Lorenzago, approvata nell’ultima stesura dai due rami del Parlamento il 15.10.2004 (Camera) ed il 23.3.2005 (Senato).

Sembrerebbe, inoltre, è che l’estrema difficoltà ad integrare fra loro le varie identità politiche italiane si accompagni di pari passo con l’analisi della differenziazione delle entità substatali e che siano sofferenti per una ragioni analoghe, o meglio, parallele: la presenza, per un verso, del bipolarismo di coalizione, per l’altro, delle ragioni di interesse nazionale.

Un’ipotesi, affatto remota, è che la corsa ai patteggiamenti ed agli scambi di partiti sia accelerata proprio da quella a conciliare le ragioni di uno Stato centrale a quelle delle Entità substatali elevate nell’art. 114 Cost al rango di interlocutrici dirette sia del potere centrale che di Bruxelles.

Il d.d.l.cost sulla devolution, approvato – come si è detto – in prima lettura da entrambi i rami del Parlamento tra il dicembre 2002 e l’aprile 2003 è stato più volte rivisto anche se ha mantenuta pressoché inalterata la formulazione. La devolution consiste nell’art. 117, comma 4, che, da un lato sostituisce la clausola residuale con un elenco di materie, d’altro lato, definisce “esclusiva” la competenza legislativa regionale da esso contemplata.

L’elenco è costituito dalle quattro materie del vecchio d.d.l. cost. sulla devolution rimaste invariate, salvo che la “polizia locale” sostituita con la “polizia amministrativa regionale e locale”.

Certo è che il ribaltamento delle aree di competenza è soltanto un effetto di una volontà ben precisa: quella di separare definitivamente il potere legislativo dal potere amministrativo e disporre quest’ultimo orizzontalmente e sotto la spinta di principi del tutto innovativi quali la differenziazione, l’adeguatezza e, primo fra questi, la sussidiarietà.

Ora, sul tema proprio il ruolo frenante dell’interesse nazionale e l’utilizzo che i fautori della devolution hanno deciso di fare, è interessante valutare sotto diversi profili. Il primo, in materia sanitaria e di istruzione in cui si elimina la competenza concorrente in materia di “tutela della salute” e la si sostituisce con una competenza statale esclusiva avente ad oggetto le “norme generali sulla tutela della salute”[4]. Per cui sembrerebbe che la competenza statale esclusiva regionale in materia di “assistenza e organizzazione sanitaria” sia anche statale e sia anche esclusiva statale. Analogamente, in materia di istruzione – seppure la legge costituzionale del 2001 aveva già assegnato allo Stato la legislazione esclusiva in ordine alle “norme generali sull’istruzione”.

Il secondo profilo riguarda la previsione del sindacato parlamentare sulle leggi regionali per contrasto con l’interesse nazionale; il progetto, infatti, demanda il potere al Parlamento di annullare le disposizioni legislative che la Regione non abbia modificato a seguito dell’invito governativo[5]

Il terzo profilo consiste nella nuova disciplina del potere sostitutivo. Con la modifica dell’art. 120, comma 2, il progetto affida il potere predetto allo Stato (anziché al Governo), e lo riferisce anche alle funzioni di cui all’art. 117 cost[6].

Una prima considerazione sull’astrattezza della locuzione “norme generali”. In sostanza, non è chiarito – perché non è possibile farlo – quale organo istituzionale sia deputato a definirne la natura; più probabile, dunque, che si tratti di norme definibili di volta in volta, rispetto alle opportunità e, quindi, risultato di valutazioni di natura politica perciò stesso discrezionale.

Una seconda considerazione riguarda l’utilizzo che i fautori della devolution hanno deciso di fare dell’interesse nazionale ed i profili sopra esaminati, è interessante valutare sotto diversi profili[7].

Ora, è doveroso chiarire che non tutto il dibattito sulla revisione del titolo V è rivolto a mediare posizioni tra loro configgenti per costringerle verso una sorta di imbuto giuridico unico tramite continui e mal assestati aggiustamenti. La riforma, infatti, ha giovato per vari aspetti. In questo senso, il testo approvato alla Camera, modificando il testo originariamente deliberato dal Senato, ha risvegliato tanto ambienti dottrinali quanto l’attenzione delle coalizioni verso lo studio e l’approfondimento di talune branche del diritto.

Si veda, ad esempio, la rivisitazione degli elenchi di materie di cui all’art. 117. Ad esempio riconduce opportunamente alla competenza esclusiva del legislatore centrale ambiti la cui sottoposizione alla legislazione concorrente non aveva mancato di suscitare riserve. Il rilievo vale, in particolare, per l’ordinamento della comunicazione, per le professioni intellettuale per l’ordinamento sportivo nazionale[8]

Vi sono poi altre novità che attengono, ad esempio, al rafforzamento del carattere amministrativo delle intese e degli organi interregionali di cui all’art. 117, comma 8[9], alla garanzia delle autonomie funzionali[10] - fermo restando che la disciplina del relativo “ordinamento generale” sia riservata allo Stato - [11].

Ancora, è stato riconosciuto alle “conferenze” un ruolo maggiore, soprattutto in relazione agli accordi ed alle intese che sono deputate a promuovere[12]. E’ stato, inoltre, rivisto il caso di morte del Presidente della Giunta regionale che, prima del progetto, comportava lo scioglimento della Giunta stessa e del Consiglio regionale mentre con le modifiche apportate fa salvi entrambi gli organi[13].

Si tratta d’innovazioni apprezzabili, le quali migliorerebbero sensibilmente la disciplina vigente. Il problema è che s’inseriscono in un contesto condizionato da esigenze di compromesso al limite dell’acrobazia. Con gli effetti, sul quadro complessivo, che ho cercato di illustrare

A questo punto è opportuno riflettere anche sul metodo e cioè su quale sia stata la piattaforma costituzionale che ha permesso la riforma e regola gli interventi del legislatore in Costituzione.

L’art. 138 consentendo che la Costituzione venga modificata a maggioranza assoluta, consente di accedere alla riforma la maggioranza politica di turno, in barba (si passi il termine) al concetto propriamente italiano di rigidità costituzionale. Si aggiunga, poi, che il sistema politico - elettorale del bipolarismo di coalizione (sistema che a quanto pare non ha risolto la questione del numero dei partiti e dell’assenza di maggioranze politiche stabili) e la tendenza a “federare” ha contribuito ad alimentare conflitti proprio all’interno delle due principali coalizioni.

Infatti, se questa modifica dell’art. 138 venisse adottata , avrebbe l’effetto di bloccare la riforma del titolo V voluta sostanzialmente dalla coalizione di centro sinistra.

Per risolvere questo problema e gli altri che ne seguono, la riforma del metodo (art. 138 Cost.) andrebbe seguita, studiata (a favore di un irrigidimento) ed approvata da entrambe le coalizioni, proprio sulla scorta delle considerazioni di cui sopra.

Perché la precarietà costituzionale può condurre soltanto ad un ulteriore precarietà politica e l’andamento delle due componenti, come supposto, è direttamente proporzionale, due corridoi paralleli: ove l’una cresce, l’altra fa altrettanto. A discapito, ritengo, dell’intero sistema giuridico e, soprattutto, della stabilità del Paese.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Si pensi, ad esempio, che in Germania, dal 1949, sono state approvate 44 leggi di revisione costituzionale; Parimenti, in Austria ed in Svizzera. Soltanto in Italia – e la Francia che, dal 1958, ha ritoccato il testo costituzionale 19 volte – nelle prime 12 legislature (1948-1996) – in circa 50 anni di storia – la Costituzione è stata rivisitata 7 volte.

 

[2] In particolare, si tratta del d.d.l.cost. S. n. 2544-B, approvato in prima lettura, il 15.10.2004, dalla Camera dei deputati, e il 23.3.2005, dal Senato della Repubblica.

 

[3] A.S. n. 1187-B

[4] Tale competenza è contemplata dall’art. 11, comma 2, lett. m-bis (secondo la previsione di cui all’art. 39 del progetto).

[5] Ai sensi dell’art. 45 del progetto: “All’articolo 127 della Costituzione, dopo il primo comma è inserito il seguente: «Il Governo, qualora ritenga che una legge regionale o parte di essa pregiudichi l’interesse nazionale della Repubblica, entro quindici giorni dalla sua pubblicazione invita la Regione a rimuovere le disposizioni pregiudizievoli. Qualora entro i successivi quindici giorni il Consiglio regionale non rimuova la causa del pregiudizio, il Governo, entro gli ulteriori quindici giorni, sottopone la questione al Parlamento in seduta comune che, entro gli ulteriori quindici giorni, con deliberazione adottata a maggioranza assoluta dei propri componenti, può annullare la legge o sue disposizioni. Il Presidente della Repubblica, entro i successivi dieci giorni, emana il conseguente decreto di annullamento»”.

[6] La modifica è prevista dall’art. 41 del progetto, il quale recita: “All’articolo 120, secondo comma, della Costituzione, sono apportate le seguenti modificazioni: a) le parole: «Il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni» sono sostituite dalle seguenti: «Lo Stato può sostituirsi alle Regioni, alle Città metropolitane, alle Province e ai Comuni nell’esercizio delle funzioni loro attribuite dagli articoli 117 e 118»; b) dopo le parole: «dei governi locali» sono inserite le seguenti: «e nel rispetto dei princìpi di leale collaborazione e di sussidiarietà»; c) è soppresso il secondo periodo.

[7] Si tratta del sindacato parlamentare di merito sulle leggi regionali contemplato dal vecchio art. 127 Cost. Un istituto privo di riscontri nel costituzionalismo federale e regionale, il quale, per giunta – nell’esperienza maturata in Italia –, è stato condannato alla totale inefficacia: non avendo mai – sottolineo: mai – funzionato.

 

[8] Cfr., art. 117, comma 2, lett. s-bis., art. 117, comma 2, lett. s-quinquies., art. 117, comma 2, lett. s-ter., art. 117, comma 2, lett. s-quarter ed infine art. 117, comma 2, lett. s-quater.

[9] L’art. 38 prevede, infatti, il seguente emendamento: “All’articolo 116, primo comma, della Costituzione, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «previa intesa con la Regione o Provincia autonoma interessata sul testo approvato dalle due Camere in prima deliberazione. Il diniego alla proposta di intesa può essere manifestato entro tre mesi dalla trasmissione del testo, con deliberazione a maggioranza dei due terzi dei componenti del Consiglio o Assemblea regionale o del Consiglio della Provincia autonoma interessata. Decorso tale termine senza che sia stato deliberato il diniego, le Camere possono adottare la legge costituzionale»”.

[10]L’innovazione è prevista dall’art. 39, comma 11, del progetto: “All’articolo 117 della Costituzione, l’ottavo comma è sostituito dal seguente: «La Regione interessata ratifica con legge le intese della Regione medesima con altre Regioni per il miglior esercizio delle proprie funzioni amministrative, prevedendo anche l’istituzione di organi amministrativi comuni»”.

 

[11] L’innovazione è prevista dal secondo periodo dell’art. 118, comma 6 (destinato a prendere il posto dell’attuale art. 118, comma 4), in cui si legge: “Essi (Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni e Stato) riconoscono e favoriscono altresì l’autonoma iniziativa degli enti di autonomia funzionale per le medesime attività e sulla base del medesimo principio (di sussidiarietà).”

[12] Cfr. il nuovo comma 3 dell’art. 118: “La legge, approvata ai sensi dell’articolo 70, terzo comma, istituisce la Conferenza Stato-Regioni per realizzare la leale collaborazione e per promuovere accordi ed intese. Per le medesime finalità, può istituire altre Conferenze tra lo Stato e gli enti di cui all’articolo 114”.

[13] L’emendamento è previsto dal comma 2 dell’art. 44 d.d.l.cost. S. 2544-B: “All’articolo 126, terzo comma, della Costituzione, al primo periodo, sono soppresse le parole: « , l’impedimento permanente, la morte» e il secondo periodo è sostituito dai seguenti: «Non si fa luogo a dimissioni della Giunta e a scioglimento del Consiglio in caso di morte o impedimento permanente del Presidente della Giunta. In tale caso, lo statuto regionale disciplina la nomina di un nuovo Presidente, cui si applicano le disposizioni previste per il Presidente sostituito. In ogni caso le dimissioni della Giunta e lo scioglimento del Consiglio conseguono alle dimissioni contestuali della maggioranza dei componenti il Consiglio»”.