Laddove l’opinione è con la iniziale
maiuscola per indicare l’omonimo quotidiano, che si fregia di una ulteriore
specificazione: “delle libertà”. Concetto che ben comprendiamo e pienamente
condividiamo ma che, nel caso del quale discuteremo, fa pensare piuttosto ad
opinioni “in libertà”. Perché il quotidiano diretto da
Arturo Diaconale, che orgogliosamente ricorda sul
sito web di essere stato fondato da Camillo di Cavour, in un articolo firmato Il
centrista discetta su “La questione morale e l’emendamento Fuda” in termini che sicuramente agiterebbero nella tomba
del Riposo Eterno l’illustre Statista piemontese.
Ebbene, a proposito
dell’emendamento Fuda ed altri (n. 1346) che, come è noto, prevedeva che il termine iniziale della prescrizione
nelle azioni di responsabilità amministrativa per danno al pubblico erario
decorresse da quando “è stata realizzata la condotta produttiva di danno”,
anziché, com’è oggi, da quando “si è verificato il fatto dannoso” (art. 1,
comma 2, della legge 14 gennaio 1994, n. 20) devo dire che anche l’Opinione procede nelle sue
valutazioni da più di un dato errato.
In primo luogo che
sarebbe “a tutti noto che l’ancoraggio del termine di decorrenza della prescrizione alla scoperta dell’evento generativo del
danno erariale, discende dalla giurisprudenza, pretoria,
della Corte dei conti. Ed è altrettanto noto che, per
principio generale del diritto, la prescrizione decorre dalla data in cui
l’evento si è verificato”.
Non è così. Il
“principio generale del diritto” è diverso e correttamente, a tutela del
danneggiato, secondo l’art. 2935 del codice civile, “la prescrizione comincia a
decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere”.
E quando il diritto può essere fatto valere? Da quando il
danneggiato percepisce esattamente nel suo patrimonio l’effetto del danno
“ingiusto” subìto per il fatto “illecito” (aggettivi
mai usati dai difensori dell’emendamento Fuda ed
altri nella polemica di questi giorni), cioè da quando
colui che ha patito la lesione di un suo diritto sa esattamente quale
risarcimento deve chiedere.
Ho fatto un esempio
nella nota di risposta alle dichiarazioni del Ministro Mastella e voglio
ripeterlo, perché mi sembra di facile comprensione, un fatto che accade tutti i
giorni. L’esempio di un incidente stradale, con danni a
persone e cose. Avviene un determinato giorno. Quello della “condotta
produttiva di danno”, secondo l’emendamento Fuda ed
altri, ma non c’è ancora danno in termini economici. Non è
stato riparato il mezzo, non sono state indennizzate le persone per i
danni fisici subiti.
Anzi, può passare del tempo prima che lo stesso danneggiato sia consapevole
dell’entità effettiva dei danni subiti. Deve munirsi di una perizia che
quantifichi i danni, sia materiali che fisici.
Solo in questo momento
potrà chiedere al responsabile dell’evento di essere risarcito.
Il “principio di
diritto” racchiuso nell’art. 2935 del codice civile dice
che da questa data il danneggiato può chiedere il risarcimento del danno al
responsabile o eventualmente al giudice. Tanto è vero che, nel caso di sinistri
stradali, quando si denuncia alla compagnia del responsabile il danno subito,
si descrivono i fatti e si fa riserva di quantificare il danno, che al momento
non si conosce.
Il
giorno in cui il diritto “può essere fatto valere”, caro “centrista”, nel caso
dell’Amministrazione pubblica coincide con l’emissione del titolo di pagamento
a carico del bilancio. Lo stesso vale
per una minore entrata (da quando si poteva riscuotere
e non si è riscosso, ad esempio perché è scaduto il termine per procedere
all’accertamento del tributo o si è prescritto il diritto erariale alla
riscossione di un’entrata patrimoniale). Ovvero, da
quando il patrimonio ha perduto dei beni o il loro valore è diminuito per il
comportamento illecito di un amministratore o dipendente.
Prima di quella
conseguenza finanziaria o patrimoniale nessun Pubblico Ministero potrebbe
agire, come non potrebbe agire nessun cittadino per un
danno che non fosse ancora attuale. Nessun giudice potrebbe liquidare il
risarcimento ad un attore che richiedesse in sede civile il risarcimento di un
danno generico non determinato nel suo ammontare.
Ed allora, caro “centrista”, che scrivi sul giornale
fondato da Cavour, diciamo le cose come stanno. L’emendamento Fuda ed altri non avrebbe avuto
altro effetto che quello di una colossale sanatoria di amministratori e
pubblici funzionari i quali “con dolo o colpa grave” (culpa lata dolo aequiparatur
dicevano i romani) hanno danneggiato l’erario, cioè hanno speso il denaro del
cittadino con gravissima trascuratezza degli interessi generali alla buona
gestione. Qualche esempio? Conferendo incarichi di consulenza
non necessari, solo per favorire amici e clientes.
Oppure consentendo la realizzazione di opere pubbliche
non costruite “a regola d’arte”. In questi casi da quando decorre la
prescrizione? Da quando l’opera è deliberata o da quando è realizzata in
difformità dal progetto o con materiali scadenti?
L’assurdità
dell’emendamento Fuda ed altri è ancora una volta
evidente!
Ma poi, servono esempi? Se ogni cittadino passeggiando per
le strade delle grandi città come dei piccoli borghi può
de visu percepire il degrado della gestione
pubblica? Per non dire di come sono utilizzate le risorse pubbliche
destinate alla sanità, come dimostrano le inchieste giornalistiche, e non solo
di questi giorni.
Ma non tutta l’Italia è così. Per fortuna ci sono tanti
amministratori e dipendenti di valore ed onesti. Ma era proprio necessaria
l’iniziativa Fuda ed altri, e la difesa che ne è stata fatta da alcuni, per salvare qualche migliaio di
incapaci e di disonesti (quelli che finiscono sotto processo dinanzi alla Corte
dei conti), in sostanza mortificando i tanti capaci ed onesti?
Una conclusione,
tuttavia, s’impone. E dimostra la manomissione della
verità, e non solo dei “principi di diritto”, quelli veri. L’emendamento Fuda ed altri avrebbe solo
determinato una sanatoria per gli illeciti commessi con dolo o colpa grave, non
dobbiamo mai dimenticarlo, alla data dell’entrata in vigore della norma. Con
l’effetto, da allora in poi, di costringere le Procure a prendere in considerazione fatti solo ipoteticamente produttivi di
danno, quindi a monitorare situazioni nel tempo, cercando di interrompere i
termini, con una fatica improba e con evidente forzatura di quei “principi di
diritto” che, seppure impropriamente richiamati sembrano essere tanto a cuore
del “centrista”.