Osservatorio Costituzionale
 a cura di Salvatore Sfrecola

Presentazione

La Costituzione è sempre più al centro del dibattito politico istituzionale, tra iniziative dei partiti e riflessioni degli studiosi, tra chi la vorrebbe immutabile e chi pensa che sia possibile impunemente stravolgerla. Sembra difficile, come accade spesso in Italia, trovare una soluzione equilibrata che, fatti salvi i principi che la qualificano, cioè i valori condivisi (basti pensare, ha osservato Augusto Barbera, che fu votata da un socialista radicale come Lelio Basso e da un liberista come Luigi Einaudi), modifichi della Carta ciò che risente del decorso del tempo, che non è più funzionale, ad esempio, alla prospettiva federale, già abbondantemente percorsa con la modifica dell’art. 117, entrata in vigore nel 2001. È il tema, ad esempio, della Camera delle Regioni.

È aperto anche il dibattito sul bilanciamento fra i poteri, fra Parlamento e Governo in particolare, da ridefinire per chi ritiene che sia necessario disegnare un nuovo esecutivo con l’elezione diretta del Presidente del Consiglio, che diventerebbe titolare di poteri che a qualcuno sono parsi “troppi”, una sorta di “premierato assoluto” (L. Elia, La Costituzione aggredita, Il Mulino, Bologna, 2005, 70), senza che contestualmente siano indicati i contrappesi che dovrebbero accompagnare la riforma. Per mantenere l’equilibrio tra Premier e Parlamento, entrambi eletti dal popolo, un assetto che delinea una sorta di regime costituzionale “puro”, simile a quelli nei quali, nell’Ottocento, i ministri non dovevano avere la fiducia delle Camere essendo sufficiente quella del sovrano, oggi dell’elettorato. Un bilanciamento di poteri che coinvolga anche il Capo dello Stato e la Corte costituzionale, nel quale va evidentemente ridefinita la responsabilità politica dell’esecutivo, mentre la funzione di controllo che la magistratura esercita appare correttamente definita dall’obbligatorietà dell’azione penale. L’obbligatorietà, infatti, e non “la semplice facoltatività, in presenza di fatti di reato, completa il quadro della indipendenza del potere giudiziario, in adesione al principio della eguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge” (Ambrosini, Costituzione italiana, Introduzione, Einaudi, Torino, 2005, XXXV).

Il potere politico, da sempre e ovunque, non tollera controlli giuridici. Li subisce infastidito e cerca di limitarli in vario modo, restringendo l’area degli atti assoggettati alla verifica della legalità o rendendoli formali. Cede alla pressione dell’opinione pubblica ad ogni scandalo di grandi dimensioni e, quando si accorge che la borsa del Tesoro è troppo impunemente violata, introduce ipotesi di responsabilità tipizzate. Poi torna a mettere paletti a giudici e controllori, che indirizza verso valutazioni “di gestione” che offrono spunti critici soprattutto al controllo politico che, peraltro, la maggioranza non teme. Ha in uggia la legalità, tanto che in Bicamerale l’aveva espunta in sede di riordinamento del controllo “sulla gestione” affidato alla Corte dei conti dalla legge 14 gennaio 1994, n. 20. Eppure la legalità è “valore primario” di ogni ordinamento, “precondizione di qualunque politica che si ponga obiettivi di giustizia sociale” (P. Borgna e M. Cassano, Il Giudice e il Principe, Magistratura e potere politico in Italia e in Europa, Donzelli, Roma, 1997,31).

Il pericolo di stravolgimenti dell’assetto dei poteri, da taluni auspicati e perseguiti, sta nella sostanziale indifferenza dell’opinione pubblica che può indurre alla rassegnazione. Non è di oggi questo diffuso atteggiamento della gente nei confronti della Carta fondamentale dello Stato. Lo aveva notato Costantino Mortati, che dell’elaborazione della Costituzione è stato uno dei protagonisti, il quale così descriveva il clima nel quale i costituenti lavoravano: “indifferenza del paese di fronte all’attività iniziata, mancanza di quei contatti e di quegli scambi di motivi e di ispirazioni fra il popolo e l’Assemblea, che si pongono quali indici rivelatori di un’ansia profonda di rinnovamento, dalla quale l’opera costituente dovrebbe trarre la sua linfa e la vera garanzia di buona riuscita”.

Allora come oggi la responsabilità è nella “mancanza di iniziativa dei partiti, cui incombe la massima responsabilità sia nel suscitare l’interesse pubblico […], sia nel raccogliere e dare espressione alle tendenze ed aspirazioni di quel popolo del quale si dicono interpreti”, mentre si diffonde il “senso di illegalismo, di deprezzamento dei valori giuridici, quale si palesa non solo in vasti ceti cittadini, ma proprio negli stessi supremi organi dello Stato” e dal quale, come osserva Zagrebelsky (Introduzione a A. C. Jemolo, Che cos’è la Costituzione, Donzelli, Roma, 2008, 8) facendo proprio il pensiero di Mortati, “non può che derivare scetticismo circa l’importanza stessa dell’opera costituente, circa cioè il tentativo di ricondurre a diritto ciò che altrimenti è solo rapporto di forza”.

Anche oggi si respira un clima rarefatto, non una vera tensione morale, quella che accompagna un confronto di idee sui vari aspetti dell’ordinamento costituzionale che si vorrebbero modificare, simulando gli effetti delle proposte, sempre essenziale perché le riforme siano veramente tali, cioè innovative con effetti positivi e non un semplice cambiamento. Il dibattito, invece, soffre per la consapevolezza che le riforme prospettate camminano sulle gambe di interessi che si presentano come di corto respiro, diretti a governare la realtà immediata piuttosto che ispirate ad una prospettiva di più lungo periodo. Le costituzioni sono destinate a durare, per la loro natura, per la loro funzione resa palese dalla parola stessa che lascia immaginare una salda struttura giuridica sui temi essenziali del funzionamento della società ordinata in stato. “Una democrazia vale se vale la sua Costituzione, ha scritto Maurizio Fioravanti in apertura della prefazione del suo Il valore della Costituzione, Laterza, Bari, 2009). Ma questa, a sua volta, vale se si è stati capaci di esprimere in essa principi fondamentali condivisi, sufficientemente radicati nella storia di una certa collettività storicamente intesa”

La riforma del 2001, con tre voti di maggioranza, non è stata un buon esempio. Ripresa dalla successiva maggioranza con una revisione frettolosa di molti articoli ha subito la bocciatura nel referendum popolare. In un caso e nell’altro due maggioranze diverse e opposte hanno tentato soprattutto di esorcizzare con iniziative poco meditate le pressioni dei federalisti più accesi. Continuo, ad esempio, ad essere molto perplesso sulla riforma dell’art. 117, che fa delle regioni il legislatore generale, secondo un modello costituzionale del tutto originale, con tratti di anomalie che hanno frenato la legislazione ordinaria statale spesso impantanata nelle sabbie mobili di defatiganti conferenze Stato-Regioni, ed appesantito il lavoro della Corte costituzionale.

In questo dibattito, e con i limiti della diffusa indifferenza dell’opinione pubblica denunciata da Mortati, è sempre più centrale il ruolo della Corte costituzionale, “organo di garanzia, che non risponde ad alcun potere e ad alcun altro organo costituzionale ma si pronuncia come essa, dopo approfondita riflessione, ritiene sia conforme a costituzione” (C. Ruperto, La Costituzione in mezzo a noi, Giuffré, Milano, 2005, 61). La Corte, con le sue pronunce che “limano” una legislazione spesso affrettata, condizionata da sollecitazioni di parte non sempre rispettose delle esigenze generali, ovvero con sentenze dirette ad orientare l’interpretazione del complesso sistema normativo, che a noi interessa soprattutto per quanto riguarda la legislazione pubblicistica, contribuisce in misura determinante al dibattito sui temi della legislazione e della giurisprudenza. In particolare ci occuperemo della normativa diretta al riordino dell’amministrazione, strumento essenziale eppure non compiutamente compreso, della realizzazione dell’indirizzo politico amministrativo prevalso in sede elettorale, perché l’apparato dello Stato e degli enti pubblici, locali e istituzionali, sia sempre più rispettoso dei principi dell’imparzialità e del buon andamento e il cittadino non sia ritenuto un fastidioso seccatore da chi siede dietro lo sportello.

La sempre più incerta distinzione tra politica e gestione, nettissima sulla carta, ma nella realtà alterata da atteggiamenti che quelle regole svuotano di significato quando non disattendono concretamente, è altro tema del dibattito costituzionale, per le continue regolarizzazioni che violano il principio secondo il quale “agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso” (art. 97, comma 3), e uno spoil system esasperato che incide sull’altro essenziale principio per il quale “i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione” (art. 98, comma 1).

Attenzione essenziale sarà assicurata ai temi della finanza pubblica, alle regole dei bilanci e della gestione del patrimonio, materie sulle quali l’attenzione dei partiti e dell’opinione pubblica sembra cedere rispetto ad argomenti ritenuti più “politici”, quando giustamente Cavour, con il suo senso vivo dell’Amministrazione, soleva dire “datemi un bilancio ben fatto e vi dirò come un paese è governato”, perché nei bilanci sta l’immagine stessa delle nazioni, la loro propensione alla pace o alla guerra, l’attenzione per l’istruzione o la salute, la tutela dei diritti alla sicurezza. Sicché a presidio delle regole e della loro applicazione sta la Corte dei conti, “il primo Magistrato civile che estende la sua giurisdizione in tutto il Regno”, come ebbe a sottolineare Quintino Sella, Ministro delle finanze, in occasione dell’istituzione della Corte dei conti, a Torino, il 1° ottobre 1862, quando la Corte di cassazione sarebbe stata unificata solo nel corso del secolo successivo.

C’è, poi, l’attuazione del federalismo fiscale, che deve prevedere un ruolo incisivo della Corte dei conti, perché è essenziale sia garantita la certezza dei dati di bilancio di regioni ed enti locali, dacché essi sono posti a base degli interventi statali di perequazione e di erogazione di risorse aggiuntive. Certezza dei dati e correttezza della gestione, ad evitare furbizie che espongano esigenze che, in realtà, discendono da cattiva gestione.

Alla Corte costituzionale, nel suo quotidiano impegno di dare certezza alle regole spetta tener conto alla distinzione tra “norme generali” e “principi fondamentali”, alla delimitazione della competenza statale e regionale, nel rispetto del principio di leale collaborazione tra gli enti territoriali che costituiscono la Repubblica. Un ruolo di approfondimento dei profili costituzionali della legislazione statale e regionale nel quale concorre anche la giurisprudenza delle magistrature superiori, soprattutto della Corte di Cassazione a Sezioni Unite.

A questo dibattito “Amministrazione e Contabilità” non intende rimanere estranea e, mentre darà conto tempestivamente delle pronunce della Corte costituzionale con brevi riferimenti ai precedenti ed alla dottrina e note di commento, si propone di offrire all’attenzione dei lettori riflessioni di studiosi operanti nelle magistrature, nell’università e nell’Avvocatura, per approfondire le tematiche di maggiore attualità, anche per richiamare l’attenzione dell’interprete e del legislatore sulla necessità di evitare percorsi che potrebbero rivelarsi pericolosi per il futuro della democrazia e dei diritti.

I fronti sono tanti, come dimostra la quantità e la varietà delle questioni portate all’attenzione del Giudice delle leggi su aspetti fondamentali dei poteri assegnati allo Stato ed alle regioni nello spirito di quella leale collaborazione che deve caratterizzare i rapporti tra le istituzioni della Repubblica, che troppo spesso appaiono prese da un incontenibile desiderio di recuperare o contestare spazi di decisione. Tenendo sempre presente che il federalismo attuato e quello che si prospetta non deve far dimenticare che la Repubblica è “una e indivisibile” (art. 5). Per cui essenziale è l’attenzione degli studiosi e della Corte alla legislazione concorrente.

Su queste pagine sarà anche possibile approfondire il senso di alcune riforme normative appena attuate e di quelle in itinere, delle iniziative ancora solo prospettate nel dibattito politico e scientifico, sperate o temute, con riguardo alla giustizia ed alla Magistratura contabile, il cui ruolo centrale nel sistema delle garanzie per la gestione del denaro e dei patrimoni pubblici sembra non compiutamente percepito da parti della classe politica che ritengono spesso controlli e giurisdizione contabile un fastidioso retaggio dello stato liberale di diritto. Per cui emergono, ad esempio, confuse proposte che patrocinano l’istituzione di un’“Autorità per i conti pubblici”, sulla base di una presunta inadeguatezza della Corte dei conti a fornire al Parlamento determinate elaborazioni dei dati di bilancio. Naturalmente è un pretesto, neppure troppo camuffato, in quanto la Corte è in condizione di fornire alle Camere i dati elaborati come esse vogliono. È evidente, dunque, che l’iniziativa muove dall’interesse di alcuni, in ambienti parlamentari bipartisan e non solo, ad occupare posti di nomina politica lautamente retribuiti.

Anche l’espansione del diritto comunitario, in rapporto al diritto interno, ha affaticato la giurisprudenza costituzionale, considerata l’ampiezza delle materie di competenza dell’Unione Europea, anche nella prospettiva del nuovo rapporto che si è instaurato tra Parlamento europeo e Parlamenti nazionali con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona e del rilievo dato ai principi propri della normativa comunitaria, in particolare ai principi di sussidiarietà e di leale collaborazione tra le istituzioni comunitarie. Principi anche dell’ordinamento interno. Quello di sussidiarietà, soprattutto nella sua configurazione orizzontale, stenta a diventare realtà in Italia, nonostante la previsione contenuta nell’art. 118 Cost., mentre al rispetto del principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni la Consulta ha dovuto più volte richiamare l’uno e le altre.

I temi di interesse, dunque, sono molti. Su tutti intendiamo misurarci. La collaborazione è aperta a quanti ritengono di avere qualcosa da dire in un dibattito di sicuro interesse culturale e professionale.

Salvatore Sfrecola


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